Se anche il favorito fa flop
A Rio non tutti gli eventi hanno visto affermarsi chi godeva del pronostico
In buona parte dei casi, alle competizioni finora disputatesi ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, chi era giunto in Brasile con le aspettative di cogliere la medaglia del metallo più pregiato ha confermato le attese. Vale, a titolo di esempio, per le Fiji nel rugby maschile, per la Gran Bretagna nell'inseguimento a squadre o la Corea del Sud nella prova a squadre del tiro con l'arco, sia maschile che femminile.
Ma ci sono sempre le eccezioni che confermano la regola, anche perché altrimenti non avrebbe neppure senso gareggiare: se vincesse sempre il più forte, che gusto c'è? Tra chi ha provveduto a smentire le speranze su di lui riposte c'è Kim Woo-jin: il ventiquattrenne arciere sudcoreano, quattro volte campione del mondo tra prova individuale e a squadre, si è appena gustato l'oro della prova a squadre. La sua forma era stata confermata anche nelle qualificazioni dove, per un punteggio massimo di 720, è riuscito ad infilare lo strabiliante punteggio di 700, primo atleta della storia a valicare tale barriera psicologica. Il tabellone gli riserva un comodo esordio contro un atleta dello Zimbabwe (puntualmente schiantato); al turno successivo c'è l'indonesiano Riau Ega Agatha, numero 33 in base ai risultati dei preliminari con 660 punti conquistati. E invece chi vince nello scontro diretto? Ovviamente il più debole sulla carta, che fa sua la sfida per tre set a uno. Indonesiano poi battuto per tre a zero dall'azzurro Nespoli.
Anche l'atletica non è stata immune da sorprese: la maggiore si è registrata mercoledì, nelle qualificazioni del lancio del martello maschile. La giornata non è delle migliori per lanciare, con il caldo e l'umidità che già opprimono chi gareggia allo Stadio Olimpico. E si capisce subito che la mattinata può fare delle vittime: tra di loro c'è l'azzurro Marco Lingua, una costante visto che, tra Pechino 2008 e Rio 2016, riesce nell'impresa di fare sei lanci nulli su sei paventando. Se non è record, poco ci manca. Ma nella rete cade anche un pezzo grosso, non solo per i 128 kg dichiarati: è Pawel Fajdek, vincitore delle ultime due edizioni dei Mondiali. In tre lanci riesce a mandare l'attrezzo a soli 72 metri, quasi 1 metro e mezzo in meno della misura necessaria per entrare nella finale. Il gigante polacco, dopo aver capito il suo destino, si distende a terra iniziando a piangere a dirotto per diversi minuti. Il suo era uno degli ori più scontati nella regina degli sport, visto che le prime dieci misure al mondo del 2016 sono state fatte segnare solo ed esclusivamente da lui.
Negli sport di squadra c'è una vittima eccellente nel settore femminile. Campionesse del mondo in carica (vittoria nel 2015 in Canada), prime in quattro dei cinque tornei olimpici (d'argento solo a Sydney 2000): questo è lo score della nazionale statunitense di calcio, squadra ultrafavorita per un nuovo oro. La squadra di campionesse quali Alex Morgan e Hope Solo, Carli Lloyd e Becky Sauerbrunn è uscita (con tante polemiche nei confronti del catenaccio delle avversarie - e senza una alcunché minima autocritica) ai quarti di finali contro la Svezia, perdendo ai rigori ed impedendo così un poker leggendario. E le scandinave si sono poi ripetute anche in semifinale, superando ancora ai rigori un'altra rappresentativa di qualità come il Brasile padrone di casa e guidato dalla leggendaria Marta, pallone d'oro per cinque anni e votata undici volte tra le tre migliori calciatrici nelle ultime dodici stagioni.
Ad uscire con le ossa rotte vi è anche Serena Williams: la numero 1 del tennis femminile si apprestava a difendere i titoli conquistati a Londra quando vinse nel singolare e nel doppio, in coppia con la più anziana sorella Venus. Ma la seconda giocatrice più vincente nei tornei del grande slam (22 come Steffi Graf, due in meno di Margaret Court) non ricorderà certo con piacere la settimana carioca. Nella competizione individuale, dopo aver portato a casa i primi due match contro l'australiana Daria Gavrilova e la francese Alizé Cornet, sulla sua strada incontra l'ucraina Elina Svitolina, atleta che negli fra aprile e luglio aveva inanellato sette vittorie ed altrettante sconfitte. Ma il 9 agosto la quasi trentacinquenne del Michigan ha una giornata no e per la bionda avversaria si realizza il sogno di superare cotanta campionessa con un netto 6-4 6-3. Il medesimo risultato, ma a parziali invertiti, si era già registrato nel primo turno del torneo di doppio dove le sorelle Williams avevano dovuto soccombere alle cece Lucie Safarová e Barbora Strycová. Meglio tornare nel circuito WTA e concentrarsi all'imminente US Open, dove simile figure non sono ammesse. Anche perché, a differenza dell'appuntamento olimpico, in palio ci sono ricchi premi (3 milioni e mezzo di dollari per la vincitrice) e cotillon (contratti e bonus pubblicitari).