SkyExit, cronaca di un lungo addio
Lo sponsor più potente del ciclismo si ritira a fine 2019: ripercorriamo la storia del team, provando ad analizzare le cause di questa decisione
Oggi avevamo in programma di pubblicare un articolo dedicato al mercato delle formazioni Professional. Sempre di mercato parliamo, in un certo senso, ma proiettandoci già nel prossimo futuro. La notizia odierna è destinata a cambiare il mondo del ciclismo: Sky, ovvero sia lo sponsor più munifico nella storia delle due ruote, ha deciso di interrompere il 31 dicembre 2019 la sponsorizzazione con la formazione dominatrice degli anni '10 del ventunesimo secolo.
La genesi e la storia del team, fra iniziali delusioni e successivi trionfi
La creazione del primo team britannico della massima categoria viene annunciata il 26 febbraio 2009: finanziatore della già vincente nazionale su pista, il colosso delle telecomunicazioni decide di espandere il proprio impegno. Il propiziatore di questa scelta è il delfino (è proprio il caso di dirlo) dello squalo Rupert Murdoch, ovvero sia il figlio James, che incarica il responsabile di British Cycling Dave Brailsford di gestire questa ambiziosa compagine, con l'obiettivo di vincere entro cinque anni il Tour de France.
Oltre a giovani promesse del ciclismo locale come Chris Froome, Peter Kennaugh, Ian Stannard e Geraint Thomas, il roster del 2010 prevede nomi di spessore come il "nuovo Merckx" Edvald Boasson Hagen, il coriaceo Juan Antonio Flecha o il signore degli anelli Bradley Wiggins, desideroso di ripetere su strada le prestazioni mostrate nei velodromi. La vittoria inaugurale giunge già nella prima corsa, con l'australiano Chris Sutton e il neozelandese Greg Henderson che fanno uno-due nell'ultima tappa del Tour Down Under. Non mancano successi di prestigio come la Omloop Het Nieuwsblad con Flecha e tappe a Paris-Nice, Tirreno Adriatico, Critérium du Dauphiné, Eneco Tour ma la gioia più grande è la vittoria nell'apertura di Amsterdam al Giro d'Italia, con Wiggins di rosa vestito.
Nel 2011 arrivano le vittorie generali al Critérium du Dauphiné e all'Eneco Tour a cui si sommano tappe anche al Tour (EBH per due volte) e alla Vuelta, con Sutton e soprattutto con Froome, al momento di svolta della carriera; grida però ancora vendetta l'incapacità, fra il keniano e Wiggins, di far saltare il semisconosciuto Juan José Cobo dal trono finale. Il 2012 è l'anno iniziale della "tirannia": in concomitanza con i propri Giochi Olimpici, i britannici dominano un Tour de France in lungo e largo, con sei successi parziali e piazzando Wiggins e Froome sui primi due gradini del podio. L'obiettivo da cui è partito il progetto è stato centrato prima del previsto: da qui in poi, però, non smettono più di vincere.
Il palmares e i corridori: numeri e nomi da far spavento
Sei Tour de France (in sette anni), un Giro d'Italia, una Vuelta a España, una Milano-Sanremo, una Liège-Bastogne-Liège, una Strade Bianche, una Clásica de San Sebastián, una EuroEyes Cyclassics, due E3 Harelbeke, tre Omloop Het Nieuwsblad, tre Kuurne-Bruxelles-Kuurne, due GP de Plouay, un GP de Montréal, una Cadel Evans Race, un Gran Piemonte, una Coppa Agostoni, un Giro di Toscana. E ancora, sei Critérium du Dauphiné, cinque Paris-Nice, tre Tour de Romandie, una Tirreno Adriatico, una Volta a Catalunya, un Eneco Tour, un Tour de Pologne, due Tour of California, un Tour of Guangxi, tre Giri del Trentino, due Tour of Oman, una Vuelta a Andalucía, una Volta Valenciana, quattro Volta ao Algarve, un Tour of Britain. Diciassette tappe al Tour, dodici al Giro, nove alla Vuelta. E tanto, tanto altro ancora.
Chris Froome è, indiscutibilmente, l'uomo simbolo del team. Ma non vanno dimenticati nomi quali Bradley Wiggins e Geraint Thomas, Mark Cavendish e Elia Viviani, Michal Kwiatkowski e Wout Poels, Richie Porte e Michael Rogers, Edvald Boasson Hagen e Juan Antonio Flecha, Egan Bernal e Rigoberto Urán, Simon Gerrans e Gianni Moscon, Mikel Landa e Mikel Nieve, Sergio Henao e Vasil Kiryienka, Ian Stannard e Luke Rowe, Peter Kennaugh e Nicolas Roche. C'è solo l'imbarazzo della scelta.
I perché di questa decisione, con la finanza (e la Brexit?) a farla da padrona
Dunque, come mai questa decisione improvvisa, comunicata ad un per altro sorpreso Brailsford solamente la scorsa settimana? Innanzitutto giova ricordare che rimanere dieci anni come sponsor è un lasso di tempo superiore alla media corrente (certo, ci sono fortunatamente le eccezioni positive come Lotto, AG2R, FDJ, Quick Step e via dicendo). La ragione è, principalmente, una sola: nell'ottobre scorso Sky è stata definitivamente acquisita dagli statunitensi di Comcast, andando così a formare il più grande conglomerato nel mondo delle telecomunicazioni.
L'investimento di quasi 40 milioni di euro annui non viene ritenuto congruo dai nuovi vertici che non hanno quella passione che animava James Murdoch, che ora si divide fra i ruoli di amministratore delegato 21st Century Fox, asset per altro ora condiviso con Disney, e di consigliere ascoltato di Tesla, di cui per altro viene indicato come potenziale nuovo presidente. Finisce fra un anno, dunque, l'epopea del team britannico, pressoché in contemporanea con cambiamento epocale in terra albionica, quella Brexit per altro ben vista nell'entourage Murdoch.
Brailsford alla ricerca di soldi: dalla sua i contratti già firmati
Chi ora è chiamato ad un duro lavoro è Dave Brailsford: il baronetto, descritto dai media britannici come scioccato dalla notizia, deve lanciarsi ora alla ricerca di un'azienda munifica per poter prolungare l'avventura. Il futuro l'aveva già programmato alla perfezione, con i recenti rinnovi di Thomas (triennale) e Bernal (addirittura quinquennale) e i contratti già sicuri per il 2020 di cardini quali Froome, Kwiatkowski e Moscon.
Trovare un nuovo partner che, nel caso, garantisca il medesimo ammontare della Sky appare irreale; riuscire a sottoscrivere un accordo di primo piano (diciamo sulla ventina di milioni) è già più probabile. Il manager ha indicato in fine giugno la scadenza per definire il destino della sua creatura: quasi sette mesi a disposizione è un tempo considerevole per poter prima intavolare e poi definire trattative di questo spessore. Sarà curioso comprendere anche il destino di due partner pressoché esclusivi del team quali Pinarello e Castelli, che per altro contribuiscono al budget in maniera sostanziale.
Le conclusioni: per il ciclismo è sicuramente un colpo, da capire quanto duro
In vista della riforma che entrerà in vigore nel 2020, questo è indubbiamente un colpo significativo per il ciclismo (e per l'UCI): la perdita dello sponsor più noto e ricco può essere visto come un segno di debolezza per il sistema, eventualmente "impaurendo" eventuali interessati ad entrare nell'ambiente. Certo, non è neppure una novità: il mondo del pedale è sopravvissuto all'addio di Flandria, Peugeot, Mapei, Deutsche Telekom e via andare. Sopravviverà anche senza Sky, ne siamo certi.
Nell'orizzonte di Froome e soci vi è quindi un anno in continuo divenire: come per uno yogurt la loro avventura con la squadra ha una data di scadenza ben impressa, ma non è affatto detto che si arrivi in quel momento con il prodotto ancora invenduto sugli scaffali del supermarket. Spetterà anche a loro dimostrare che un simile patrimonio umano, tecnico e di conoscenze non merita di essere mandato in archivio.