Un Giro di attese e delusioni. Ma c'è stata anche bellezza
Primoz Roglic ha chiuso con un finale destinato agli annali una corsa rosa numero 106 partita sotto il segno di Remco Evenepoel e passata attraverso notevoli momenti problematici
Partiamo dalle cose belle, vi va? L'ultima, le assolate strade della Capitale che accolgono la volata vincente di un incredibile Mark Cavendish e tutti i protagonisti della carovana; la penultima, il fantastico bagno di folla nel Monte Lussari trasformato per un pomeriggio in enclave slovena in Friuli, e quella fiumana umana che trova la gioia nella felicità di Primoz Roglic, ribaltatore del Giro d'Italia 2023, autore di una cronometro piena di thrilling e di forza, fisica e mentale. Il riconoscimento della sconfitta da parte di Geraint Thomas, signore oltre ogni limite. Il riscatto di Primoz tre anni dopo La Planche des Belles Filles: storie nate per essere già romanzo. Un finale che resterà in ogni caso negli annali.
Come, nella piccola storia italiana che sta intorno al Giro, resterà memorabile la prima volta della presenza del Presidente della Repubblica a premiare il vincitore della corsa rosa. Sergio Mattarella ha voluto omaggiare quello che è un pezzo di cultura popolare del nostro Paese, riconoscendone la centralità e l'importanza. Speriamo che questa vicinanza delle istituzioni sia sempre più accentuata in futuro.
La partenza tutta nel segno di Remco, lui che vince la prima crono e prende subito la maglia rosa, ma poi le mezze controprestazioni tra Fossombrone e Cesena, quelle inattese piccole débâcle (anche se la crono romagnola l'ha vinta) che aprivano il Giro a tutte le possibilità del mondo, in una seconda metà che - in quel momento - si annunciava vivacissima. E che invece non ci sarebbe mai stata.
Derek Gee, personaggio esploso in tre settimane piene di fughe e di sconfitte, quattro volte secondo (e due quarto) per uno che non è né velocista né scalatore rappresentano uno score impressionante, perché costruito tutti di nervi e fantasia, buon futuro, Derek! In un Giro in cui non sono mancati i grandi battuti, Thibaut Pinot porta a casa una bella maglia azzurra dei Gpm e un quinto posto tutt'altro che banale nella generale, ma accanto a questi risultati lascia un ricordo indelebile nella faida con Jefferson Cepeda sulla strada di Crans Montana (ne approfittò Einer Rubio).
Non rientra nel club dei grandi battuti nemmeno Jonathan Milan, perché una tappa l'ha conquistata e soprattutto sua è la maglia ciclamino, simbolo di una regolarità ad altissimi livelli attraverso tre settimane che proiettano il friulano molto in alto; i quattro secondi posti, incrociati con i margini di miglioramento, lasciano presagire un futuro ancor più dolce per il ragazzone di Buja.
Cose belle, ancora, andiamo elencando: i due giorni in rosa di Bruno Armirail, e in particolare la sua faccia quando ha avuto la certezza di aver conquistato il simbolo del primato, con la fuga di Cassano Magnago; il Giro memorabile di Nico Denz, vincitore di due tappe in tre giorni (proprio a Cassano Magnago, tra l'altro, oltre che a Rivoli), unico con Remco a doppiare, per gli altri sono stati tutti successi singoli, ognuno indimenticabile a modo suo, evitiamo la lista che tanto sarebbe oziosa. Divertente la lotta per le classifiche secondarie, per quella a punti solo fino a quando è stato in gara Mads Pedersen, poi col ritiro del danese la cosa è fatalmente scemata; e quella dei Gpm, con Davide Bais e poi Ben Healy a contenderla a Thibaut Pinot, che l'ha vinta di forza e prepotenza.
Con Bais e Healy citiamo due altri temi rilevanti della corsa rosa: quello di un altro super personaggio che si è imposto all'attenzione generale dopo aver già fatto benissimo nelle classiche (ci riferiamo all'irlandese, protagonista anche al di là della vittoria di Fossombrone), e quello delle vittorie italiane, quattro in tutto, la volata di Milan l'abbiamo citata e richiama quella conquistata da Alberto Dainese (in cui la DSM ha creduto troppo poco, e lui giustamente s'è riscattato alla grande); e poi Davide Bais a Campo Imperatore e Filippo Zana a Val di Zoldo, due fughe in porto, molto diverse tra di loro, la prima composta da comprimari, la seconda dai migliori cacciatori di tappe, ma il bello di un Giro in definitiva è anche che possono vincere tanto i comprimari quanto i più rinomati trapper (nel senso western del termine, non musicale).
Bais è un trait d'union su tanti fronti. Da un lato il ruolo delle Professional (bella la cenerentolesca Corratec che nella stessa frazione abruzzese conquista un secondo posto con Karel Vacek; la Green Project-Bardiani CSF-Faizanè ha centrato proprio all'ultimo sprint il proprio podio di tappa con Filippo Fiorelli), con la Eolo-Kometa che si conferma il faro della categoria italiana; dall'altro lato, la rinuncia dei big a battagliare più dello stretto necessario, attitudine lampante proprio nella frazione di Campo Imperatore.
Possiamo passare al brutto del Giro 2023, quindi. A fronte di fughe solitamente divertenti, il confronto di classifica è stato troppo sparagnino. No contest a Lago Laceno e sul Gran Sasso; un accenno di battaglia sulla salita dei Cappuccini nella tappa di Fossombrone; no contest a nord-ovest tra Rivoli e Crans Montana; appena un accenno a Bergamo, ma solo sull'ultimissima Boccola a un passo dall'arrivo.
Le cose sono moderatamente cambiate nella terza settimana, senza che ciò abbia però costituito un elemento di memorabilità. Con l'importante vittoria del Bondone João Almeida ha più illuso i propri tifosi che altro, anche se sicuramente si è conquistato con quell'impresa un personale upgrade nella considerazione pubblica, ponendo le basi per il primo podio in carriera in un GT; bello anche il finale della frazione di Val di Zoldo, con la rinascita di Primoz Roglic che due giorni prima era andato in difficoltà. Da dimenticare invece la cosiddetta tappa regina, quella delle Tre Cime di Lavaredo, scorsa via senza alcunché di men che trascurabile. Pochi secondi qua, pochi secondi là.
Il problema, l'abbiamo detto e ridetto in queste tre settimane, ma pure nelle tre settimane del Giro 2022, è che se piazzi la salita più dura alla fine della corsa, tutto il resto risulterà bloccato. Nel nostro caso abbiamo avuto addirittura le due salite più dure alla fine, le Tre Cime in linea e Monte Lussari a crono. Anzi anzi, pure troppo abbiamo visto dato un simile squilibrato tracciato.
Peggio per chi non ha osato quando avrebbe potuto e dovuto, segnatamente la INEOS Grenadiers, che ha confidato troppo nella possibilità che Geraint Thomas respingesse l'assalto di Primoz Roglic nella crono finale, non provando a costruire nulla di diverso dal solito schema del trenino. Forse sarebbe andata diversamente se Tao Geoghegan Hart non si fosse ritirato, fratturato, sulla strada per Tortona. Solo uno dei tanti protagonisti costretti ad abbandonare la contesa, tra cadute, malesseri vari e positività al covid che hanno imperversato togliendo di mezzo tra gli altri proprio la stella più attesa, quella di Evenepoel.
Ecco, la vicenda di Remco è stata la peggiore di tutta la corsa. Non il ritiro, che ci sta in quanto ognuno è responsabile per la propria salute, e al limite sottostà ai protocolli della squadra; ma le reazioni, scomposte quelle del pubblico, fomentate e rinfocolate dalla stampa di casa, cioè proprio da quella Gazzetta e quel Corriere che fanno parte della stessa scuderia organizzatrice della corsa. Distorsioni logiche esaltate da allusioni, sottintesi, conclusioni vagamente diffamatorie ("si è ritirato per paura di perdere") che sottolineano in maniera plateale il nostro invincibile italico provincialismo.
Le massime polemiche sono venute però in seguito ai fatti di Borgofranco d'Ivrea, la richiesta dei corridori di escludere la rischiosa discesa della Croix de Coeur, la controproposta del direttore Mauro Vegni, “vi tagliamo il Gran San Bernardo e i primi 120 km di tappa”, l'accettazione da parte del gruppo, una trattativa al ribasso che non ha salvato né il principio (se la discesa della Croix era considerata pericolosa, perché accettare di farla in cambio di uno “sconto di pena”?) né il diritto (perché togliere il Giro a tutte le località della Val d'Aosta che erano pronte ad abbracciarlo?). Però se da questi goffi autogol passerà un'accresciuta "coscienza di classe" dei corridori, ne sarà valsa la pena: scopriremo in seguito se sarà così.
Certo tutto - in quella discussa vicenda - è stato esasperato dal maltempo che ha imperversato, tanta pioggia, decisamente troppa rispetto a quello che è storicamente il Giro: una corsa che conosce bene il freddo e le condizioni climatiche avverse, ma che fa l'amore anche col sole e il caldo. Invece negli ultimi anni le stagioni sono un po' impazzite, c'è una crescente instabilità e si moltiplicano gli eventi estremi così come le piovose code invernali.
In tal senso il prossimo impegno di RCS Sport sarà di spostare in avanti la corsa rosa, due settimane per andare incontro all'estate e a minori momenti di instabilità. Dopodiché, la neve sul Gavia la puoi sempre trovare anche a giugno (lo diciamo perché è successo più di una volta, compreso il mitologico 1988), ma di sicuro le probabilità di avere una corsa non flagellata dal maltempo aumentano. Il secondo impegno del team rosa sarà quello di disegnare un Giro diverso dalla logica a cui è stato informato quest'anno e l'anno scorso. Ma RCS Sport, visti gli epiloghi, con ribaltoni e quant'altro, sarà molto contenta di questi finali e quindi tentata di riproporli. Con buona pace per quelli che non gradiscono l'anestetizzazione acclusa.