Ma il Grande Arrivo del Giro è davvero così grande?
All’indomani della pomposa presentazione del finale 2023 ai Fori Imperiali, restano le perplessità per l’impietoso confronto tra il maestoso epilogo parigino del Tour e il continuo turn-over tra città a cui è costretta la corsa rosa
Ma cos’avrà mai il Giro meno del Tour! Beh, ad esempio un gran finale all’altezza della sua storia, immediatamente riconoscibile e di grande prestigio (o, in una parola che aborriamo, “iconico”). Tale da dare un senso alla passerella conclusiva e invogliare i velocisti a tenere duro nella terza settimana mentre, di solito, siamo abituati al fuggi fuggi degli sprinter all’approssimarsi delle grandi montagne.
Soprattutto, un finale tale da regalare una degna scenografia a quanti si siano meritati un posto sul podio: perché un conto sono le foto ricordo della Grande Boucle, con gli Champs Elysées e l’Arc de Triomphe sullo sfondo, un altro quelle sui palchi mobili del Giro, ancora troppo simili alle fiere di paese piuttosto che alla degna conclusione di un evento che ambisca ad essere globale.
Ad RCS se ne sono accorti e ieri hanno presentato in pompa magna, al Campidoglio, il Grande Arrivo del Giro 2023 in quel di Roma, sui Fori Imperiali, all’ombra del Colosseo. Non una prima assoluta, per carità, si tratta anzi della quinta volta che la corsa rosa si concluderà nella Città Eterna, la prima risalente addirittura al preistorico 1911. Il problema è che, fino ad oggi, la tradizione non è mai riuscita a consolidarsi, rimanendo al livello di esperimento e nemmeno troppo riuscito, se pensiamo alle polemiche per le troppe buche sul percorso in occasione dell’ultimo precedente, datato 2018.
E proprio il continuo ping-pong tra le città designate ad ospitarne il finale rappresenta un chiaro punto a sfavore del Giro: innanzitutto perché, come detto, non aiuta a sacralizzare l’ultimo atto. E poi – diciamocelo – perché è evidente l’impressione che RCS vada semplicemente dove le si offre di più: una volta Milano, l’altra Verona, l’altra ancora Torino, Brescia o Trieste. E per il futuro chissà, magari… Abbiategrasso?
Ma forse la realtà è addirittura peggiore e, più che seguire la pecunia, il (non così) Grande Arrivo del Giro è condannato al nomadismo perché, fondamentalmente, nessuna grande città lo vuole. E che nel nostro paese ci sia un’insofferenza di fondo per il ciclismo, e le biciclette in generale, è tangibile dalle polemiche con cui ogni amministrazione deve scontrarsi ogniqualvolta ci sia da aprire una pista ciclabile o, peggio ancora, a qualche sindaco balzi l’insana idea di abbassare i limiti di velocità nei centri storici.
D’altra parte, gli indizi in tal senso sono abbastanza numerosi da costituire una prova: la stessa Milano – casa della Gazzetta e dunque del Giro, che da qui mosse le sue prime pedalate nel 1909 e qui, comunque, si è concluso nella stragrande maggioranza dei casi – ha di fatto tagliato i ponti con tutte le corse made in RCS, comprese quelle di cui ancora contribuisce a comporre il nome, come la Milano-Torino o la Milano-Sanremo (da qui il riferimento ad Abbiategrasso, che sarà sede di partenza della prossima edizione della Classicissima), per non parlare del Lombardia. Verona, con la sua Arena, offre indubbiamente un finale di assoluto valore scenografico, ma nemmeno questo è riuscito ad imporsi nell’immaginario collettivo e, ancora oggi, l’anfiteatro scaligero è associato più al Festivalbar, a Pavarotti e all’Aida, che non al Giro d’Italia.
Quanto a Roma, meglio tacere della breve vita infelice della Roma Maxima, estemporaneo restyling che si tentò di dare al Giro del Lazio nello scorso decennio, rapidamente accantonato principalmente proprio per l’insofferenza – se non il vero e proprio astio – con cui venne accolta dai romani la chiusura al traffico per un evento sportivo che la maggior parte di loro nemmeno conosceva. E gli stessi malumori contraddistinguono parecchie altre città di medie e grandi dimensioni. Chi scrive vive a Genova e, non più tardi dello scorso anno, ha potuto toccare con mano il “calore” con il quale i suoi concittadini attendevano l’arrivo della carovana rosa in occasione del Giro 2022: un entusiasmo paragonabile a quello degli abitanti di Kiev in attesa dei carri armati russi.
E quindi, che dire? Ci auguriamo che, contro ogni aspettativa, questa volta l’esperimento-Roma possa funzionare, consolidarsi e diventare, finalmente, un traguardo ambito per tutti i più grandi campioni del ciclismo. Ma perché ciò avvenga ci vorranno anni: anni in cui continuare ad insistere con il gran finale sui Fori Imperiali a dispetto delle polemiche, nella speranza che nel frattempo cresca, di pari passo, il senso civico degli italiani. E magari passi, in Parlamento, la legge sul metro e mezzo di distanza tra automobilisti e ciclisti.
Ma in attesa che gli elefanti inizino davvero a volare ed il mio Genoa conquisti lo scudetto della stella (siamo, ahimè, nello stesso campo appartenente al periodo ipotetico dell’irrealtà) ci accontenteremmo che il sito ufficiale del Giro d’Italia, a quattro mesi dal disvelamento del percorso 2023 e più di 24 ore dopo la dettagliata conferenza stampa di presentazione del Grande Arrivo, aggiornasse le sue stesse pagine raggiungibili da Google, dove ancora campeggiano le descrizioni e le dichiarazioni ufficiali relative al gran finale, sì, ma dello scorso anno...