L'urlo di Mathieu Van der Poel in via Roma (© RCS Sport)
Editoriale

Carissimo Mathieu, che ne dici di fare anche la Liegi?

Le probabilità di aggiudicarsi la terza monumento su quattro sarebbero estremamente basse ma, anche per questo, Van der Poel avrebbe solo da guadagnare da una partecipazione alla Liegi-Bastogne-Liegi

Sì, ok, lo sappiamo tutti benissimo: attualmente non fa parte del suo programma di corse ed è estremamente improbabile, se non proprio impossibile, che cambi idea nei prossimi giorni, ma Mathieu van der Poel, fresco di trionfo - il terzo di fila - alla Parigi-Roubaix 2025, farebbe proprio bene a partecipare anche quest’anno, come lo scorso, alla Liegi-Bastogne-Liegi.

Perché ci sono buone possibilità di vincere la terza classica monumento su quattro del 2025? In tutta sincerità, no: come giustamente ha suggerito lo stesso Van der Poel, nella conferenza stampa che ha seguito il suo successo alla Milano-Sanremo, quando al via di quelle corse ci sono Tadej Pogačar e Remco Evenepoel, le probabilità di vittoria degli altri, compreso un fuoriclasse come Mathieu, tendono asintoticamente a zero. È un dato di fatto, inconfutabile nella sostanza, che rende il discorso di Van der Poel inattaccabile da un punto di vista prettamente razionale.

La grandezza sta anche nel mettersi in gioco

Perché, dunque, prestarsi come vittima sacrificale sarebbe una buona idea? Innanzitutto perché, come ci ha insegnato Forrest Gump, “la vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita”, e una giornata storta per i due liegisti più dominanti degli ultimi decenni potrebbe sempre capitare. Questo non significherebbe affatto che Van der Poel diverrebbe automaticamente il favorito della corsa, ma certo le sue probabilità di vittoria salirebbero sensibilmente.

Qui, però, il succo della questione va ben oltre qualsiasi considerazione sensata sulle reali possibilità di successo del fuoriclasse olandese; anzi, per assurdo, più queste fossero basse, più Van der Poel gioverebbe da una partecipazione alla Liegi. L’olandese è una macchina macina-trionfi e non è mai stato abituato a prendere in considerazione la sua partecipazione a un qualsiasi evento sportivo per ragioni diverse dal conseguimento del massimo risultato, ma forse è anche a causa di questa predisposizione al freddo calcolo, per l’incapacità di mettersi in gioco anche quando tutto sembra suggerire che vincere sia affare per altri, per l’eccessiva razionalità che contraddistingue qualsiasi azione del Divino Mathieu, che un campione così straordinario e unico non trova il posto che meriterebbe nel cuore di una quota minoritaria, ma consistente, di appassionati.

Giro delle Fiandre 2020, Mathieu van der Poel beffa Wout van Aert
Giro delle Fiandre 2020, Mathieu van der Poel beffa Wout van Aert

«Preferisco concentrarmi sulle corse in cui ho più probabilità di vincere», ha saggiamente puntualizzato in più di un'occasione Van der Poel e, come detto, il suo è un discorso pienamente legittimo e razionalmente condivisibile. Non si tratta, peraltro, di un atteggiamento nuovo: nel 2020, Mathieu rinuncio a partecipare al mondiale di Imola, conscio di avere nulle o quasi possibilità di vincere, preferendo concentrarsi sulla preparazione del Giro delle Fiandre – che effettivamente vinse tre settimane dopo, relegando il rivale di sempre Van Aert al secondo posto; più di recente, Van der Poel ha accettato di partecipare al Tour de France solo ed esclusivamente per accontentare la propria squadra, ritagliandosi il ruolo di pesce-pilota di Jasper Philipsen e trovando in esso, in un certo qual modo, una giustificazione alla sua presenza, che rendesse accettabile ai suoi occhi il fatto di partecipare a una corsa con così poco spazio per lui.

Insomma, al 30enne di Kapellen perdere non piace proprio. Chiamalo scemo! A VdP, però, sfugge forse un particolare: anche la sconfitta, quando arriva dopo aver lottato oltre le proprie possibilità, contribuisce a determinare la grandezza di un atleta. Impossibile non accorgerse, se davanti ai tuoi occhi hai l’esempio vivente di tutto ciò: sto parlando chiaramente di Pogačar. Ora, è evidente che, rispetto a Van der Poel, lo sloveno possa ambire al risultato massimo praticamente in qualsiasi corsa del calendario; prima di cimentarsi nelle classiche del pavè, inizialmente al Giro delle Fiandre e poi, quest’anno alla Parigi-Roubaix, non era affatto scontato che fosse così! Pogačar è un grandissimo dello sport per tutto quello che ha vinto e per quello che ancora vincerà, come del resto lo è anche Van der Poel, ma lo sloveno diventa un gigante assoluto per la sua insaziabile voglia di mettersi alla prova, prima ancora che di vincere, per il suo coraggio nello sfidare le leggi di uno sport che, prima del suo arrivo, era schiavo dell’iperspecializzazione.

È chiaro: Van der Poel non possiede gli stessi mezzi atletici di Pogačar e nemmeno deve affannarsi nel rincorrere, se non addirittura scimmiottare, il suo amico-nemico; ma quanto sarebbe bello, domattina, sentirgli dire: “Sapete che c’è? Vado alla Liegi a sfidare Tadej e Remco!”. E se poi non ci riuscisse? Chissenefrega! Nessuno gli rinfacerebbe di averci provato, anzi! I più gli sarebbero grati per aver contribuito a rendere più interessante una corsa di cui, in ogni caso, sarebbe protagonista; per aver ulterioremente alimentato una rivalità che sta appassionando anche chi il ciclismo non lo segue con lo stesso nostro fervore; e sì, anche per aver restituito a Pogi quel che Pogi ha donato – di certo non di proposito - a Van der Poel, decidendo di partecipare anche alla Parigi-Roubaix di quest’anno: un avversario la cui sconfitta nobilita ulteriormente il successo del vincitore.

Il prezzo da pagare per Mathieu? Nullo, o quasi

Dopo 8 classiche monumento, un mondiale su strada e svariati altri tra ciclocross e gravel, Mathieu non avrebbe praticamente nulla da perdere da una sua eventuale partecipazione alla Liegi-Bastogne-Liegi. Non ne risentirebbe la sua aura, come del resto non ne ha risentito l’anno scorso, e nemmeno la sua preparazione per i prossimi obiettivi, in particolare quello di vincere i mondiali di cross country, in programma il 14 settembre a Crans-Montana, Canton Vallese, Svizzera: si tratterebbe, infatti, di tener duro un paio di settimane in più, senza dover rinunciare praticamente a nessuna tappa di Coppa del Mondo. Nemmeno Milano-Sanremo, Giri delle Fiandre e Pairigi-Roubaix a venire sarebbero, ovviamente, intaccati. Insomma, si può fare, senza perdite sostanziali.

Se è più che legittimo, sia per ragioni tecniche che logistiche, che Van der Poel abbia deciso di eliminare preventivamente i mondiali su strada in Ruanda dal proprio programma, per concentrarsi sulla conquista dell’ultimo titolo iridato che ancora ancora manca alla sua collezione, meno lo sarebbe la rinuncia alla Liegi, soprattutto dopo una campagna del Nord esaltante come quella che si è appena conclusa. Sarebbe opportuno anche ragionare, ai piani alti dell’UCI, su una qualche modalità sensata che stimoli le stelle più splendenti del ciclismo a partecipare al maggior numero di corse di primissima fascia – i tre grandi giri, le cinque classiche monumento e i mondiali – del calendario, ma non è questo il tema. Qui si sta parlando solo e unicamente di Van der Poel e di cosa determinerebbe il suo bene: una partecipazione alla Doyenne andrebbe certamente in questa direzione.

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Marco Francia
Nonostante tutto, il ciclismo è la mia unica passione.