UCI, ma che t'ha fatto di male la Coppa del Mondo?
Si chiude a Los Angeles l'edizione 2016-2017. L'Italia sorride con Rachele Barbieri, l'Unione Ciclistica Internazionale deve ripensare la visibilità della manifestazione
Oggi ci sentiamo un po' Lindbergh. E sorvoliamo, anzi proprio trasvoliamo, visto che l'occasione nasce a un oceano e un continente di distanza da noi (ovvero, per i distratti che non avessero letto il titolo dell'articolo, a Los Angeles, sede della quarta e ultima tappa di Coppa del Mondo su pista). Sorvoliamo ad esempio sul fatto che la CDM sia un evento che non decolla, confinato a pochissime tappe (quest'anno ci è andata di lusso che sono state quattro, dopo un quadriennio in cui erano state appena tre...) quando invece ci si aspetterebbe che ci fosse la fila di velodromi vogliosi di ospitarla.
Sorvoliamo sul fatto che gli atleti la frequentino a spizzichi e bocconi, saltellando qua e là, evitando alcuni appuntamenti (o proprio tutti, vedi certi big inglesi che sono ormai merce rara nella manifestazione), e lasciando il passo nelle classifiche di specialità a corridori più deboli. E fosse solo una questione di regolarità (dice: uno arriva sempre terzo e va bene, è anche giusto che vinca se quelli che arrivano primi saltano delle tappe e quindi non fanno abbastanza punti); il punto è che i punteggi sono così sgangherati da permettere (è successo e succede) che la Coppa venga vinta da atleti non brillantissimi ma sempre presenti. Non ci credete? Esempio: la Coppa di Velocità femminile è stata conquistata da un'atleta (Olena Starikova, con tutto il rispetto) che ha collezionato due quarti posti, un decimo e un dodicesimo; l'esimia Kristina Vogel, due vittorie su due partecipazioni, è arrivata terza.
Ma sia, sorvoliamo, in fondo è solo un gioco. E sorvoliamo pure sul fatto che l'UCI, che forse si vergogna un po' di questa sua creatura, evita accuratamente di spendere 18 euro e cinquantadue centesimi per garantire una copertura televisiva live dell'intero programma delle varie tappe. No, l'UCI si limita a produrre l'ultima sessione dell'ultima giornata, insomma proprio il mezzo tramezzino che non potrebbe sindacalmente evitare di produrre. E pazienza - ancora - se poi nel corso di quella diretta, già limitata di suo a poche gare, l'amabile gerente del baraccone infili le sintesi dei giorni precedenti, oscurando quindi parte del live. Pazienza, sorvolammo, sempre sorvolammo, fortissimamente sorvolammo.
Oggi però a tutto il danno sopra esposto si aggiunge la beffa del geoblocco. Termine diventato d'uso comune tra gli internauti smanettoni degli ultimi due lustri, è usato quando la trasmissione in streaming viene impedita in determinati paesi. Funziona così: se io produttore delle immagini ho venduto (o regalato) i diritti a qualche tv del tuo paese, tu non vedrai quelle immagini su internet, mentre se nel paese confinante col tuo non c'è una tv che abbia acquisito quei diritti, la fruizione online di tali immagini lì sarà libera.
E se poi - vedi caso in esame - la tv del mio paese non trasmette quelle immagini in diretta? Non le vedrò in tv (come dovrei) e non le vedrò neanche via internet (come non potrei). Tra l'altro - e sul tema obbligheremo il nostro esperto Alberto Vigonesi a fare un approfondimento - l'elenco dei paesi geobloccati dall'UCI in questa occasione è lungo quanto mezzo mappamondo. E la trasmissione tv della Coppa del Mondo non è prevista in quasi nessuno dei paesi geobloccati.
Domande che resteranno senza risposta
Ora, cortese UCI, ci dica: che senso ha tutto ciò? Che senso ha cedere un tanto al chilo i diritti tv di questa manifestazione a broadcaster non interessati a trasmetterne le immagini, bloccando al contempo la possibilità dei pochi appassionati (questo è: siamo pochi, noi "della pista") di fruire liberamente di quelle immagini?
Pensa, cortese UCI, di fare il bene del ciclismo su pista confermando questo suo atteggiamento? Otterrà dei risultati, aumenterà il bacino d'utenza della pista, l'indotto, il seguito, in definitiva, cortese UCI, cosa diavolo ha in mente per questa disciplina tanto spettacolare quanto maltrattata dalla sua stessa genitrice?
Lasciando questi quesiti in sospensione nel web (e non nell'etere, tiè!), possiamo passare a dar conto di quanto abbiamo visto delle gare di Los Angeles. Ovvero, possiamo passare a commentare il Tissot Live Timing (cioè l'app dei cronometraggi ufficiali, quelli sì in diretta e non geobloccati...) che ci ha tenuto compagnia in queste notti emozionanti. Tanto emozionanti; pure troppo. Rabbrividiamo di commozione.
Rachele Barbieri continua a regalare sorrisini all'Italia
Per fortuna Rachele Barbieri ci fa tornare un pizzico di buonumore con le sue belle prestazioni. Oggi si è espressa - nel giro di pochi minuti - in un doppio impegno. Dapprima la Madison, in coppia con Maria Giulia Confalonieri; poco dopo, tutta sola, rieccola nello Scratch. I risultati sono stati incoraggianti su entrambi i fronti.
Nella Madison Rachele e Maria Giulia hanno mostrato un'ottima costanza, andando a prendere punti in ben sei delle otto volate previste (una, la sesta, l'hanno pure vinta), e riuscendo così ad arrampicarsi sul podio della prova. A vincere è stata l'Australia (20 punti per Amy Cure e Alexandra Manly), seguita dalla Nuova Zelanda (19 con Michaela Drummond e Racquel Sheath); e alle spalle dell'Oceania, a 18, ecco le due azzurrine, brave a precedere Francia (16) e Gran Bretagna (15).
Nello Scratch Rachele ha rivissuto più o meno la gara di Cali, ovvero due avversarie prendono il giro (in Colombia erano state tre), e lei alla fine sprinta al secondo posto, piazzamento che le vale però la quarta posizione (in quanto le due del giro eccetera eccetera). La vittoria è andata all'ucraina Tetyana Klimchenko, che si è meglio piazzata rispetto alla canadese Jasmin Duehring all'arrivo (le due che avevano la tornata di vantaggio); terza (e migliore nello sprint conclusivo) la britannica Elinor Barker (cioè, decisamente non l'ultima arrivata), quarta Barbieri. Poco dietro, all'ottavo posto, anche la seconda azzurra impegnata in gara, Laura Basso. Scratch bellino per l'Italia, insomma.
Chloe Dygert spacca l'Inseguimento, gli irlandesi a nozze nella Madison
Già decorata con la Coppa del Mondo nell'Inseguimento a squadre, Francesca Pattaro, ormai parte integrante del quartetto azzurro, ha fatto un pensierino anche a una medaglietta di tappa nell'individuale. Ma perché tale obiettivo venisse centrato, un paio di avversarie avrebbero dovuto avere una giornata storta, e così non è stato. L'italiana si è fermata al sesto posto in qualifica, 3'38"968 il suo tempo, e avrebbe dovuto abbassare il cronometraggio di un paio di secondi e mezzo per accedere alla finalina per il bronzo (e poi di un altro paio di secondi per vincerla, quella medaglietta. Sì, abbastanza complicato in effetti).
La vittoria è andata a quel carrarmato di Chloe Dygert, ventenne americana che un paio d'anni fa vinceva con nonchalance il doppio Mondiale su strada tra le Juniores (sia in linea che a crono), e che tuttora risplende, stavolta in pista. Basti dire che in finale ha affibbiato sette secondi e mezzo di distacco all'australiana Amy Ankudinoff. Se fossimo un po' immaginifici, potremmo dire che in quella finale si sono confrontate l'Ankudinoff e il martello..... 3'28"431 il tempo di Chloe, 3'35"921 quello della malcapitata aussie. Bronzo alla neozelandese Jaime Nielsen sulla polacca Justyna Kaczkowska.
Nella Madison maschile l'Italia schierava una coppia giovane, Francesco Castegnaro e Carloalberto Giordani, e i due hanno fatto quel che hanno potuto, ovvero piazzarsi in un paio di sprint e limitare a uno i giri persi; risultato finale, 12esimo posto con -14 punti. La gara è stata combattutissima per le posizioni di vertice, la Nuova Zelanda (Campbell Stewart e Thomas Sexton) è stata capace di andare a punti 10 volte su 12 (!), e ha pure guadagnato un giro (insieme a Danimarca, Irlanda e Svizzera), e nonostante ciò ha chiuso solo terza.
Ciò perché la coppia irlandese (Felix English e Mark Downey) ha compiuto un capolavoro nel finale, conquistando un secondo giro che l'ha lanciata verso l'oro; e perché la Danimarca, pur sprintando meno volte a punti ("solo" 6) ha dato un maggiore peso specifico alle proprie volate, vincendone tre e guadagnando altri 6 punti nello sprint conclusivo (coi punteggi raddoppiati). L'esito, quindi: Irlanda 57, Danimarca (con Julius Johansen e Casper Pedersen) 45, Nuova Zelanda 44. Con 42 punti la Svizzera (Gael Suter e Tristan Marguet) resta per poco giù dal podio nonostante la vittoria da 10 punti dell'ultimo sprint.
La velocità è il regno di Kristina Vogel
Nelle discipline veloci, solita inappuntabile Kristina Vogel, autrice del percorso netto nel torneo della Velocità individuale: prima in qualifica, è arrivata all'oro senza perdere una volata, e ai Mondiali di Hong Kong sarà ancora una volta lei l'atleta da battere (anche nel Keirin, da lei vinto ieri). In finale ha superato l'ucraina Liubov Basova, mentre il bronzo è andato alla russa Anastasia Voinova che ha sconfitto la già celebrata Olena Starikova (altra ucraina) nella finalina.
La Velocità a squadre maschile ha visto il successo del terzetto neozelandese (Ethan Mitchell, Sam Webster, Edward Dawkins), che ha piegato in finale la Germania di Erik Balzer, Max Niederlag ed Eric Engler; 43"710 per gli AllBlacks, 43"974 per la proverbiale affidabilità teutonica. Terzo posto alla rampante Polonia ai danni della Francia.
Nel Keirin infine Fabian Puerta si è ripetuto, vincendo esattamente come sette giorni fa a Cali. Il colombiano si è imposto sia nella sua batteria che nella sua semifinale prima di esultare in finale, a riprova di una superiorità in questo momento indiscussa. I battuti sono il canadese Hugo Barrette e il malese Muhammad Sahrom. Presenti Davide e Francesco Ceci, il primo ha sfiorato il passaggio del primo turno (è arrivato terzo nella sua batteria, passavano i primi due), poi è stato eliminato nei ripescaggi; più anonimo il secondo, ultimo in batteria e poi pure lui eliminato.