Wout, il problema non sei tu: è il ciclismo che non ti merita!
In altri sport un allrounder come Van Aert troverebbe senz’altro maggiori gratificazioni: ma WVA non ceda al ricatto della specializzazione, e resti così com’è. Tutt’al più, mollando il Tour in favore di Liegi e Lombardia. O magari del Giro!
Se fosse un nuotatore, sarebbe un mistista imbattibile. Se gareggiasse nell'atletica leggera, un decatleta impareggiabile. Se fosse uno sciatore, poi, avrebbe già fatto incetta di Coppe del Mondo generali, perché dove lo trovi, almeno in campo maschile, uno capace di vincere in tutte le specialità dalla discesa libera allo slalom? E pazienza se, a fine carriera, gli dovessero mancare dei successi nelle classicissime, come la libera di Kitzbühel, il gigante di Adelboeden o lo slalom di Campiglio: anche senza quegli scalpi, passerebbe comunque alla storia.
Ma per sua sfortuna, Wout van Aert è un ciclista, e non gli basta avere già ampiamente dimostrato di poter battere Jakobsen in volata, Ganna a cronometro, Van der Poel nel cross o sulle pietre, né avere perfino staccato e mandato in crisi Pogačar in salita, sull'Hautacam. Non gli basta perché le corse in bici, a differenza delle gare di sci, non hanno tutte lo stesso peso. E perché, la maggior parte delle volte, il confronto diretto con Van der Poel, Pogačar, Ganna o Jakobsen, Van Aert lo perde: specie negli appuntamenti clou. E allora giù botte di "eterno secondo", di "meraviglioso incompiuto" o, addirittura, di "predestinato a perdere". Dimenticandoci, appunto, che non esistono altri corridori capaci, contemporaneamente, di poter battere i migliori velocisti al mondo sugli Champs Élysées, i più forti cacciatori di classiche a Sanremo o nelle classiche del Nord, gli specialisti del cronometro nelle prove contro il tempo e, magari, di vincere a tempo perso una tappa del Tour con doppia scalata al Ventoux.
Nemmeno Pogačar, che pure è Il Fenomeno per eccellenza di questo ciclismo, ha la completezza di Van Aert: perché pur essendo altamente improbabile che Wout possa mai vincere un grande giro, ancora non lo si può escludere a priori, non difettandogli certo il recupero, e non avendoci ancora mai nemmeno provato. Mentre Tadej, di certo, non sarà mai in grado di imporsi negli sprint di gruppo (per fortuna!). E poi c'è pure il capitolo ciclocross, nel quale il RollingStone di Herentals sarà pure secondo a "quell'altro", ma gli è comunque più vicino di quanto chiunque altro possa esserlo a lui. Tre maglie arcobaleno della specialità le ha pur sempre portate a casa e anche su strada, se non avesse perso al colpo di reni quella maledetta Ronde del 2020, il raffronto con Van der Poel non sarebbe così squilibrato come appare oggi.
Se questo... Se quello... Certo, se avesse anche le ruote, Van Aert sarebbe pure una carriola, lo so anch'io: anticipata la più facile delle obiezioni, la completezza di questo corridore resta ugualmente qualcosa di clamoroso. Lo sarebbe stata nel ciclismo di una volta, figuriamoci in quello di oggi che sì, a poco a poco sta abbandonando il dogma della specializzazione estrema – grazie proprio a personaggi come Wout – ma che gli specialisti continua comunque a privilegiare, a scapito di chi si ostina a giocare su più tavoli. Ed il fiammingo più amato da tutti i belgi (e non solo), ahilui, non ha quel quid per primeggiare in nessuno dei fondamentali in cui, comunque, eccelle. Finendo così, il più delle volte, scornato. Van Aert non ha la leggerezza di Pogačar, né il killer instinct di Van der Poel. Ha "solo" una completezza fuori del comune e una resistenza ancora più grande: tanto dal punto di vista atletico, naturalmente, quanto mentale.
Sì, anche mentale: perché chiunque altro, di fronte agli schiaffoni presi negli ultimi due o tre anni, avrebbe già tirato i remi in barca e, magari, mandato tutti al diavolo. Come siamo abituati a veder fare, per molto meno e quasi ad ogni corsa – a volte, addirittura quando vince! – ad Evenepoel, giusto per citare l’altro grande fenomeno belga di questi anni. Non Wout che, almeno a parole, sembra avere digerito perfino l'insostenibile sfiga di domenica scorsa: perché va bene che alla Roubaix le forature fanno parte del gioco, e se alla Jumbo ha bucato mezza squadra, ci sta pure che abbiano sbagliato qualcosa nella preparazione dei materiali. Va bene tutto: ma se in cinquanta e passa chilometri di pavé, alla fine, la foratura ti capita proprio al Carrefour de l'Arbre, ed esattamente nel momento in cui stai portando l’attacco decisivo, allora mi sembra lecito parlare anche di pura e semplice sfiga, senza per questo voler cercare alibi o accampare scuse.
Però è vero: al netto della malasorte, resta il fatto che Van Aert non vince con la stessa, apparente facilità di Pogačar o Van der Poel. O almeno, non nelle gare che contano davvero. Anche in ragione del paradosso per il quale pur non essendo, Wout, il più forte in nessun fondamentale, spesso è proprio lui quello su cui tutti gli altri fanno la corsa, rendendogli dunque impossibile il colpo a sorpresa o, comunque, quelle azioni frutto di particolari situazioni di gara che hanno permesso ad altri pur buonissimi corridori, ma certamente meno talentuosi, di conquistare corse che il nostro, ad oggi, ancora si sogna. Bäckstedt, Devolder, O’Grady, Vansummeren, Hayman: tutta gente che ha saputo vincere il Fiandre o la Roubaix – o addirittura entrambe, nel caso di Niki Terpstra – pur senza possedere la classe di Van Aert.
E ci è riuscito perfino Nuyens, che del nostro eroe è stato team manager ai tempi del suo debutto su strada, prima che tra i due volassero gli stracci, anche in sede giudiziaria. La fortuna di tutti loro, però, è stata appunto quella di non essere costantemente sotto i riflettori e quindi di poter cogliere, tra le pieghe della corsa, quelle opportunità che a Wout sono negate, essendo costretto, per la considerazione (e dunque l’attenzione) di cui gode, a giocarsela sempre a viso aperto con i migliori, senza cercare scorciatoie per lui tatticamente impercorribili.
E allora, che fare? Decidersi a selezionare gli obiettivi, magari mollando una volta per tutte il cross? Questo però significherebbe diventare un corridore normale, magari più vincente, ma uguale a tanti altri già visti, che hanno scelto la strada della specializzazione. E a noi piacerebbe ancora così tanto un Van Aert che, alla fin fine, decidesse di rinnegare la rivoluzione ed entrare in banca? In definitiva, non è Wout a non essere all'altezza della situazione. È piuttosto il ciclismo a non meritare Van Aert: ad avere, cioè, un campione così grande per le mani, e a non saperlo valorizzare offrendogli il contesto più adatto a sublimare le sue straordinarie caratteristiche. E anche se non possiamo pretendere che il ciclismo si adegui a te, Wout, nemmeno tu hai bisogno di piegarti al ciclismo: continua a correre come e dove meglio credi, e siamo certi che qualche altra vittoria di peso arriverà, e sarà bellissima.
Però, se permetti un consiglio, lascia perdere il Tour de France! Che te ne faresti, a fine carriera, di una caterva di maglie verdi come un Sagan qualsiasi? E poi, perché continuare a sbatterti tanto per Vingegaard, con la classe che ti ritrovi e con tutti i fortissimi gregari che potrebbe comunque mettergli a disposizione la Jumbo? Cambia spartito (e magari anche squadra), provati seriamente anche alla Liegi e al Lombardia, che certamente possono essere nelle tue corde, se preparate a dovere. E magari, l’anno prossimo, vieni al Giro, provati davvero sulle tre settimane, correndo per te stesso e non per altri, e scopriamo insieme l’effetto che fa!