Gare italiane, i diritti tv regaliamoli a Sporza
Il Giro dell'Emilia e le altre: se non vai in diretta, non esisti. È tempo di rompere con le logiche sclerotizzate del nostro "mercato" interno
Caro Presidente della Federciclismo... no, non tu, Renato, spostati dal centro della scena. Ci rivolgiamo al prossimo Presidente della Federciclismo, quello che tra qualche mese potrebbe sedere al tuo posto; consci che se invece sarai tu a restare sul cadregone della FCI, nulla cambierà rispetto al passato.
Quindi, dicevamo: caro Presidente della Federciclismo, non le pare giunto il momento per il movimento italiano di prendere di petto una questione che, essendo nel 2017 ancora tale e quale al 2007, al 1997, al 1987 e via scalando decenni, è da considerare ormai ridicola più ancora che dannosa?
Ci riferiamo al fatto che la gran parte delle gare italiane non godano della trasmissione in diretta televisiva. Un elenco mai finito di corse storiche e bellissime, cariche di contenuti e pronte a un grande rilancio, se solo si trovasse la chiave giusta.
Molte, come lei saprà bene, hanno già chiuso i battenti, le risparmiamo il doloroso elenco (che sarebbe comunque per forza di cose incompleto). La globalizzazione del ciclismo e l'espansione planetaria del calendario hanno rappresentato un setaccio durissimo per le corse italiane. Quelle (sin poche) che hanno capito l'antifona, si sono spostate alla ricerca di date più libere, e il periodo di settembre-ottobre potrebbe essere il nostro nuovo eldorado: Trittico Lombardo, gare toscane (Sabatini e il neo-ri-nato Giro di Toscana), emiliane (Pantani, Emilia e Beghelli) e piemontesi (MiTo e Piemonte) sono un meraviglioso avvicinamento all'ultima Monumento di stagione, il Lombardia.
Ora però - notaio alla mano - c'è da pensare all'eredità che gli attuali organizzatori lasceranno una volta che si faranno da parte (diversi di loro sono in là con gli anni): abbiamo già sperimentato come una corsa, privata del proprio patron storico, sia spesso a rischio chiusura. Non possiamo più permetterci altre defezioni.
Cosa fa la differenza tra un evento ciclistico amatoriale, o di nicchia, o carbonaro, e un evento ciclistico tout court? La diretta televisiva. Che passi dalla tv, dal satellite, dallo streaming, da dove le pare. Ma da lì non si scappa: se non vai in diretta, si può dire che non esisti, perché con i mezzi di oggi è possibile che tu abbia un pubblico non recintato nei confini nazionali, ma sparso per il pianeta. È l'altra faccia della globalizzazione, quella positiva, diciamo.
Qui da noi si ragiona invece come se fossimo ancora all'orticello dei tempi di Moser e Saronni o Bugno e Chiappucci, quando il "mercato" interno bastava a soddisfare la richiesta degli investitori, e tutto si autososteneva anche senza le dirette televisive. Non è più quel mondo.
Gli organizzatori italiani devono pagare per le riprese tv, e baciare il terreno su cui camminano gli esponenti Rai se quelle riprese vanno in differita ad orari accettabili (pur se sempre ballerini, ma questo è un altro discorso). In questo modo però, non essendoci la diretta, tutto il possibile pubblico al di là delle Alpi non verrà mai raggiunto dalle immagini della gara, perché - a parte qualche manciata di fedelissimi - chi va a recuperare su YouTube (o canali limitrofi) la registrata di una semiclassica italiana, magari sapendo già pure il nome del vincitore?
Regalando agli eredi un evento ciclistico tout court (e quindi in diretta), gli organizzatori di oggi avranno aperto una polizza sulla durata della loro amata creatura. Vi pare poco?
Ma dice: la Rai non ha le risorse per produrre le dirette di tutte le gare. Va benissimo. 25 anni fa non aveva neanche le risorse per produrre in maniera decente il Giro, poi la corsa rosa passò a Fininvest e la bruciante concorrenza ci ha condotti all'eccellente copertura che tutt'oggi la tv di stato riserva alla gara più importante del nostro calendario e a tutto il ciclismo di vertice (il Tour, le classiche, i Mondiali).
Ora, se in Italia non ci sono competitor della Rai in grado (o con la voglia) di accollarsi l'investimento, nulla ci vieta di guardare altrove. Prendiamo ad esempio Sporza: tv belga che offre in maniera certosina tantissimo ciclismo, e alla quale noi - se fossimo al suo posto, caro Presidente della FCI - faremmo un discorsetto, non prima d'aver messo intorno a un tavolo tutti gli organizzatori, ovviamente.
Le regaliamo, cara signora Sporza, i diritti televisivi di questo pacchetto di bellissime gare, a patto che lei ceda poi i diritti di ritrasmissione in Italia, e con la libertà di venderli altrove, dove le pare. In cambio, i nostri esimi organizzatori, inviteranno tutte le squadre belghe che potranno (ad esempio, l'anno prossimo le Professional del suo paese potrebbero salire da due a quattro), e si impegneranno comunque ad avere una startlist di livello internazionale (quel che abbiamo visto nelle gare degli ultimi giorni). Che dice, facciamo la prova per un paio d'anni?
Vaste programme, tanto per usare una citazione abusata. Ma se non ci pensa lei a queste cose, caro Presidente della Federciclismo, chi ci dovrebbe pensare? Se non è lei a unire, amalgamare, rafforzare il nostro movimento, chi potrà essere? Poi magari si scoprirà (tramite Sporza - che abbiamo citato giusto per fare un esempio - o altri canali esteri interessabili) che c'è effettivamente un mercato per queste corse, che si può ancora fare del buon marketing territoriale (per la gioia delle amministrazioni locali), e che l'accresciuto pubblico internazionale stimolerà nuovi inserzionisti pubblicitari a investire. Secondo noi val la pena di fare un tentativo: ne riparliamo tra qualche mese, Presidente?