Quando dominavamo il mondo
Ripercorriamo l'avventura di Giorgio Squinzi nel mondo del ciclismo con la sua Mapei, squadra simbolo nella storia delle due ruote
C'era un tempo, non troppo lontano ma il cui ricordo inizia a sbiadire, in cui l'Italia era l'ombelico del mondo ciclistico, nella sua quasi totalità. Calendario sterminato dal Trentino alla Sicilia, piccole/medie aziende di serramenti, mobilifici e quant'altro volenterose nel sponsorizzare squadre ambiziose e guidate dai campioni più vincenti, interesse nei media generalisti alle stelle complice due/tre campioni universali.
E poi c'erano loro, con la casacca stile arlecchino che è ancora oggetto di culto tra gli appassionati. La Mapei è stata probabilmente la cosa più vicina, non solo geograficamente, alla Ferrari, nazionali ovviamente escluse: uno squadrone che per un decennio ha monopolizzato le due ruote con vittorie su vittorie. A guidarla con passione e piglio risolutivo è stato chi dell'azienda chimica il massimo dirigente, quel Giorgio Squinzi deceduto ieri all'età di 76 anni dopo una lunga malattia. Uomo dai molti interessi, per il presidente della Confindustria nel quadriennio 2012-2016 il ciclismo è stato più di un semplice business. Ripercorriamo dunque l'epopea della formazione più iconica dell'epoca moderna del ciclismo.
L'ingresso nel 1993 per un dominio decennale con ripercussioni sino ad oggi
Entrato in corso d'opera nel 1993 per permettere il prosieguo dell'attività della Eldor-Viner, dall'anno seguente la squadra si fonde con la spagnola Clas - nel 1995 sostituita poi dall'anima fiamminga - e iniziano i successi di peso: nel ranking stagionale UCI la squadra chiude l'anno al primo posto ininterrottamente dal 1994 al 2002, con l'unica eccezione della quarta piazza nel 2001. Inutile dire che mai nessuno, prima o dopo, ha raggiunto una simile continuità per un periodo così dilatato.
Le ragioni sono tante, a cominciare indiscutibilmente dal budget elevato (vicino ai 15 milioni di euro nell'anno di chiusura), di parecchio superiore alla concorrenza e che, al netto dell'inflazione, non si discosta di molto dagli attuali squadroni World Tour. Non mancano, inoltre, le innovazioni dal punto di vista della preparazione: svetta da questo punto di vista la creazione nel 1996 del Centro Mapei Sport, guidato fino al 2010 dal compianto Aldo Sassi e ancora all'avanguardia a livello internazionale, non solo nelle due ruote.
L'elevata disponibilità economica, l'organizzazione maniacale anche nei dettagli, la preparazione avanzata con tanto di ricerca scientifica applicata al mondo dello sport, l'organico mai così ampio, la realizzazione di un vivaio direttamente gestito dove crescere i corridori e lo staff del futuro. Di fatto quello che è il ciclismo contemporaneo; affermare che fosse una squadra avanti di vent'anni sulle altre non è sbagliato, è la pura e semplice verità. Un precursore del World Tour, sistema creato da quell'Hein Verbruggen nemesi storica di Squinzi e il cui muro contro muro è stata una delle ragioni per la chiusura della squadra.
Vittorie a bizzeffe, soprattutto sul pavé. Tour e Sanremo le uniche assenze di grido
Passando al lato sportivo, dal 1993 al 2002 sono state oltre 650 le vittorie ottenute in gare UCI, cifra di per sé spaventosa; che dire, poi, dell'annata 1997 dove si è toccato il record storico di 95 affermazioni in una singola stagione - paradossalmente senza alcun grande giro o monumento nel carniere diversamente, di fatto, da quasi tutte le altre annate.
Elencare tutti gli allori richiederebbe una giornata intera; limitandoci agli appuntamenti più importanti, ecco dunque tredici tappe e una generale al Giro d'Italia, quindici tappe al Tour de France, venticinque tappe e una generale alla Vuelta a España a cui si aggiungono tre Tour de Romandie, due Paris-Nice, una Tirreno-Adriatico, una Vuelta al País Vasco.
Ma come sanno tutti, la Mapei era il terrore delle rivali principalmente nelle gare in linea, soprattutto sulle pietre: sono state cinque le vittorie alla Paris-Roubaix, prova prediletta di Squinzi, tre alla Ronde van Vlaanderen, quattro alla Omloop Het Volk, tre alla Gent-Wevelgem, tre alla E3 Harelbeke, due alla Dwaars door Vlaanderen e una alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Non che nel resto del calendario siano andati a secco, con due Giri di Lombardia, due Liège-Bastogne-Liège, una Flèche Wallonne e tanto, tantissimo altro, accompagnando quattro atleti al titolo iridato in linea.
Di fatto sono due i rimpianti della decennale avventura, vale a dire la mancata conquista del Tour de France, sostanzialmente mai un obiettivo inseguito, con la netta preferenza diretta verso i successi parziali, e quella, stranamente, della Milano-Sanremo sempre sfuggita nonostante fior fiore di campioni andati in caccia del successo in Via Roma.
Ballerini, Museeuw e quella Roubaix...
Campioni, dicevamo: tantissimi, ma fra tutti hanno legato indissolubilmente il proprio nome a Mapei due leggende del pavé come Franco Ballerini e Johan Museeuw, corridori amatissimi da Squinzi. Al Leone delle Fiandre è suo malgrado legato l'episodio da dimenticare nell'avventura dell'imprenditore milanese nel ciclismo: la Paris-Roubaix 1996 rimane una pagina opaca, con gli ordini provenienti direttamente dal telefono della sede di Via Jenner sulle posizioni da tenere nell'arrivo in parata, con il belga vincitore davanti a Gianluca Bortolami e al poco felice Andrea Tafi.
Oltre ai citati, Michele Bartoli e Paolo Bettini, Tony Rominger e Abraham Olano, Oscar Camenzind e Óscar Freire, Pavel Tonkov e Gianni Bugno, Frank Vandenbroucke e Gianni Faresin, Cadel Evans e Stefano Garzelli, Tom Steels e Stefano Zanini, Jan Svorada e Max van Heeswijk, i giovanissimi Fabian Cancellara, Filippo Pozzato e Michael Rogers hanno indossato la maglia del primo, vero team ciclistico moderno, proiettato a tutti gli effetti nel nuovo millennio.