Vi siete accorti che il movimento britannico sta implodendo?
Intorno a Londra 2012, il ciclismo d'Oltremanica ha vissuto un rilancio poderoso, ma l'onda lunga si è esaurita con conseguenze pesanti e malinconiche. Fino a quando INEOS e Pidcock terranno in alto la Union Jack?
La Gran Bretagna per moltissimi anni non ha rappresentato uno dei motori principali della storia del ciclismo, basti pensare che il primo campione inglese è stato Tom Simpson, ricordato purtroppo soprattutto per la sua tragica morte avvenuta durante la tredicesima tappa del Tour de France 1967 quando è stato vittima di un collasso cardiaco durante la scalata del Mont Ventoux.
La sua carriera è stata piena di soddisfazioni, infatti ha vinto la Milano-Sanremo, il Giro delle Fiandre, il Giro di Lombardia e un Campionato del Mondo; da quel momento in poi la Gran Bretagna ha potuto contare su tanti buoni corridori come Sean Yates, Robert Millar, Chris Boardman, Maximilian Sciandri e David Millar, ma nessun campione fino all’avvento nel ciclismo del Team Sky nel 2010.
La creazione della squadra è stata annunciata il 26 febbraio 2009 su impulso di Dave Brailsford, già dirigente performance della Federazione britannica, e grazie ai notevoli finanziamenti di aziende britanniche e non, prima fa tutte British Sky Broadcasting che ha impegnato 30 milioni di sterline nella sponsorizzazione; sono stati coinvolti inoltre molti grandi marchi come Adidas per l’abbigliamento tecnico e sportivo, l’italiana Pinarello per telai e forcelle e la Jaguar come fornitore di auto ammiraglie e veicoli.
Il 18 settembre 2009 la nuova squadra, denominata Sky Professional Cycling Team, ha ottenuto la licenza UCI Pro Tour che le ha consentito di partecipare alle gare del calendario mondiale UCI 2010; i primi sei corridori ad essere messi sotto contratto sono stati Geraint Thomas, Steve Cummings, Chris Froome, Russell Downing, Ian Stannard e Peter Kennaugh, tutti britannici.
La scalata al successo è stata rapida e travolgente, frutto di investimenti, competenza e di una mentalità che non ha eguali: nel periodo 2010-2018, ultimo anno di sponsorizzazione del team, il team Sky ha vinto un Giro d’Italia con Chris Froome, sei edizioni del Tour de France con Bradley Wiggins, Chris Froome (4) e Geraint Thomas, e due Vuelta a España sempre con Chris Froome. In questo lasso di tempo Bradley Wiggins nel 2012 e Chris Froome nel 2017 hanno vinto la classifica individuale UCI.
Un argomento di discussione è stato la teoria dei marginal gains, associata a Dave Brailsford, che può essere spiegata così: “Se una persona riesce a migliorare anche solo dell’1% in specifiche aree, noterà che la somma di questi piccoli miglioramenti darà come risultato un notevole miglioramento; adesso mi ascoltano perché sono arrivati tanti risultati, ma all’inizio non era così”.
Dave Brailsford, all’epoca responsabile della performance della pista, ha deciso che la seconda metà del 2004, quella dei Giochi Olimpici di Atene, sarebbe stato il momento giusto per introdurre questo nuovo approccio nel movimento ciclistico britannico; nelle due edizioni successive, Pechino 2008 e Londra 2012, la Gran Bretagna ha fatto razzia di medaglie d’oro nel ciclismo su pista vincendone sedici; in particolare, l'edizione casalinga dei Giochi rappresentò il fulcro e il punto di caduta degli ingenti investimenti catalizzati intorno a British Cycling (la Federciclismo britannica).
Tornando al discorso del ciclismo su strada, ma uscendo dal filone Team Sky, in questa epoca d’oro ci sono stati anche altri campioni britannici che non hanno corso o lo hanno fatto soltanto per una stagione nel team di Brailsford come i gemelli Yates e Mark Cavendish.
Mark Cavendish, soprannominato Cannonball, è un ciclista britannico che detiene insieme ad Eddy Merckx il record di vittorie di tappa al Tour de France; ha corso nel Team Sky soltanto nella stagione 2012 e la sua straordinaria carriera, divisa tra strada e pista, lo ha visto vincere 4 volte il Campionato del Mondo, su strada nel 2011 e nell’americana su pista nel 2005, 2008 e 2016, una Milano-Sanremo e ben 53 tappe nei tre grandi giri.
Adam e Simon Yates sono passati professionisti nel lontano 2014, molti degli addetti ai lavori all’epoca erano sicuri che il passaggio al professionismo sarebbe avvenuto nella formazione faro del movimento britannico ma a sorpresa i gemelli hanno deciso di firmare per la formazione australiana dell’Orica GreenEDGE, una scelta fatta per crescere serenamente senza pressioni; fino al 2020 hanno corso insieme, poi nel 2021 Adam ha deciso di emigrare proprio verso il Team Sky, nel frattempo diventato INEOS Grenadiers, dove è rimasto per due stagioni, e dal 2023 corre nella UAE Emirates. La crescita dei due ha avuto tempi e risultati diversi, il primo a mostrare le stimmate del potenziale campione è stato Adam che nel 2015 ha vinto la Clásica di San Sebastian e nel 2016 ha chiuso quarto al Tour de France vincendo la maglia bianca mentre il primo grande sigillo da parte del gemello Simon si è avuto nel 2018 quando vinse la classifica generale della Vuelta a España dopo aver vissuto una beffa clamorosa al Giro d’Italia, dominato per diciannove tappe prima di crollare sul Colle delle Finestre nella tappa passata alla storia per la grande rimonta del simbolo del ciclismo britannico Chris Froome.
Negli ultimi anni il ciclismo britannico ha imboccato una preoccupante fase discendente nonostante qualche risultato di rilievo sparso come il podio di Geraint Thomas al Tour de France 2022, e il movimento non è più centrale; Wiggins si è ritirato 2016, Cavendish e Thomas sono nella fase crepuscolare della carriera, Froome non si è più ripreso dal terribile incidente del 2019 avuto durante una ricognizione della cronometro del Giro del Delfinato e si è creato un preoccupante buco generazionale che Tom Pidcock non può riempire da solo.
Attualmente proprio quest’ultimo rappresenta l’ancora di salvezza a cui si aggrappano i britannici, il classe 1999 è un elemento polivalente forte su strada, nel ciclocross e nella mountain bike; nella sua giovane carriera spiccano la vittoria della tappa dell’Alpe d’Huez al Tour de France e delle Strade Bianche, il campionato del mondo di ciclocross e la medaglia d’oro alle olimpiadi nella prova di Cross country di Mountain Bike.
Spostando il mirino sulla più stretta attualità è notizia di oggi la cancellazione del Women’s Tour 2023 per mancanza di fondi e mancato supporto commerciale; è una brutta notizia per il ciclismo femminile, infatti il Women’s Tour è tra le corse più importanti del calendario WT e vede nell’albo d’oro nomi che hanno fatto la storia come Marianne Vos, Elizabeth Deignan, Demi Vollering ed Elisa Longo Borghini, vincitrice dell’edizione 2022.
Sull’argomento in questione si è espresso su Twitter l’ex ciclista professionistico irlandese Daniel Martin: “Questa cancellazione è un segnale davvero preoccupante per le corse su strada nel Regno Unito, ero così entusiasta della gara e sapevo quanto gli organizzatori hanno lavorato duramente; i costi troppo alti hanno già danneggiato il WRC - Campionato del Mondo di rally - nel mercato britannico e il prossimo sport potrebbe essere il ciclismo”.
Anche il vincitore del Giro d’Italia 2020 Tao Geoghegan Hart ha mostrato preoccupazione nei giorni scorsi: “Cosa possiamo fare tu/noi/io? Non lo so, un inizio sarebbe vedere il Women’s Tour trovare uno sponsor per continuare a pieno regime”. Poi il corridore ha spostato il mirino sulla crisi del ciclismo britannico affermando in modo sibillino: “Mi piacerebbe che si facesse più pressione per avere regole migliori nel ciclismo giovanile”.
La cancellazione del Women's Tour avviene due settimane dopo la chiusura immediata della Continental britannica AT85 Pro Cycling avvenuta per problemi di fondi e incertezze bancarie; la squadra era attiva dal 2017 con diversi nomi, nel 2022 ha corso con la denominazione di Wiv SunGod e ha preso il nome attuale all’inizio della stagione 2023.
Il proprietario, Tim Elverson, ha comunicato l’interruzione immediata dell’attività: “Mi si spezza il cuore nel dire che non ho altre possibilità se non chiudere i battenti con effetto immediato; non siamo più in grado di onorare gli impegni richiesti per continuare a gareggiare, è dura trovare le parole giuste ma ci teniamo a ringraziare i nostri corridori e tutto il personale per il lavoro svolto nelle ultime settimane”.
Anche il settore corse ne ha risentito e mentre il Tour of Britain è ripartito dopo la sospensione del 2020 a causa della pandemia di Covid 19, il Tour de Yorkshire, inserito nel calendario dell’UCI Europe Tour, si è fermato all’edizione 2019.
Nell’aprile 2022 l’azienda Silicon Dales ha acquistato la competizione con l’intenzione di riportare ai primigeni fasti l’evento non riuscendo però nell’intento, infatti i colloqui con Amaury Sports Organisation non hanno portato a una soluzione per riportare in vita il Tour de Yorkshire, che dovrebbe essere sostituito nel 2024 da una nuova corsa, probabilmente una gara in linea (l'originale constava di quattro tappe); secondo lo Yorkshire Post si spera che l’evento possa avere la stessa classificazione UCI del precedente.
Insomma si naviga a vista in quello che solo cinque anni fa sembrava il movimento destinato a dettare la linea per un lungo tempo. E invece l'implosione del ciclismo britannico, drammatica, è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliano allungare lo sguardo oltre il livello d'eccellenza (che resiste, sulle gambe del citato Pidcock ma non solo, e ovviamente sulle ammiraglie INEOS Grenadiers). Che ne sarà, da qui a un altro lustro, del movimento faro del ciclismo degli anni ‘10? Questa domanda non ha per il momento una risposta; o, se ce l’ha, non è propriamente lusinghiera.