Gira una volta - Foppolo
Situato ad un’altitudine di ben 1508 metri sul livello del mare, Foppolo è il comune più elevato della provincia di Bergamo, da cui dista poco meno di sessanta chilometri. Centro di riferimento dell'Alta Val Brembana, anche in virtù della particolare ed elevata collocazione risulta uno dei paesi meno popolati dell’intera provincia, dal momento che vi risiedono poco più di 180 persone. Il toponimo del paese deriva con molta probabilità da Foppa in quanto il termine, che ha il significato di piccola conca, rimanda alla particolare conformazione del luogo, incavato in una valle e circondato da varie vette (le più elevate delle quali risultano il Corno Stella con 2621 metri e il Monte Toro con 2524 metri). Fin dai tempi antichi è attestata nel territorio la presenza di miniere di ferro, che potrebbe aver favorito un insediamento romano, anche se altre fonti vogliono tra i primi abitanti del posto dei pastori mandriani che proprio lì, nei periodi estivi, trasferivano soprattutto le proprie mandrie di bovini.
Nei secoli successivi il paese vide la dominazione del casato dei Visconti, della Repubblica di Venezia e quindi, nel 1800, degli austriaci mentre in occasione della Prima guerra mondiale, presso il vicino Passo Dordona, venne disposta la costruzione di trincee a scopo difensivo. Proprio in quel periodo fu iniziata anche la costruzione di una strada asfaltata che potesse raggiungere il paese, completata poi nei decenni successivi. A turbare la quiete del luogo vi fu anche un ulteriore evento tragico: nel gennaio del 1977 una valanga staccatasi dalla vetta del monte Arete si riversò su una parte dell’abitato, provocando anche la morte di otto persone. La grande notorietà del luogo iniziò però con lo sviluppo del turismo invernale, che ne fa la stazione sciistica più rinomata del bergamasco. A livello di patrimonio storico-artistico l’edificio più importante è costituito dalla Chiesa di Santa Maria Assunta, che fu costruita nel XVIII secolo dove sorgeva una precedente chiesa andata distrutta da una valanga: al suo interno conserva un’interessante Pietà risalente al XV secolo. Le abitazioni più antiche sono invece riscontrabili soprattutto nelle varie contrade che compongono il comune.
Una veduta invernale di Foppolo © Wikimedia[/caption]
Il 27 maggio 1986 il Giro d'Italia, giunto alla sua edizione numero sessantanove, propose la Erba-Foppolo di 143 chilometri. Nonostante la lunghezza non eccessiva, il tracciato prevedeva dapprima la dura ascesa al Passo San Marco (con punte massime attorno al 15%) e l'altrettanto lunga salita (circa 20 chilometri) fino al piccolo paese bergamasco, con una pendenza media del 5% e massime attorno al 10%. Nella mattinata la carovana del Giro venne scossa dal decesso del promettente brianzolo Emilio Ravasio, dovuto all'aggravarsi delle sue condizioni dopo la caduta occorsagli nel corso della frazione inaugurale da Palermo a Sciacca. Fino a quel momento il Giro aveva vissuto principalmente le sfide allo sprint tra Guido Bontempi (vincitore alla fine di ben 5 tappe) e il neerlandese Jean-Paul van Poppel mentre Giuseppe Saronni aveva conquistato una prima volta la maglia rosa al termine della cronometro a squadre da Catania a Taormina, per poi cederla a Gianbattista Baronchelli, brillante vincitore a Nicotera. Dopo il bel successo di Greg Lemond a Cosenza, Saronni tornò in possesso del primato a Potenza, in una tappa che vide vincitore Roberto Visentini, che col passare delle tappe stava divenendo il suo rivale più accreditato.
La frazione, scattata senza grossi sussulti, si animò proprio sulle impegnative rampe del Passo San Marco, che in prossimità della vetta vedeva la strada passare in mezzo a due muri di neve, frutto delle abbondanti precipitazioni dei giorni precedenti. Ad attaccare fu un drappello di sei atleti composto da Roberto Visentini, Gianbattista Baronchelli, Greg Lemond, Franco Chioccioli, Claudio Corti e Pedro Muñoz, con lo spagnolo a transitare per primo in vetta, mentre il gruppo di Saronni e Moser cominciava a perdere terreno. Dopo la difficile discesa, in cui una brutta caduta costrinse al ritiro Alberto Volpi, l’ascesa finale verso Foppolo scremò via via il drappello dei battistrada: Baronchelli fu il primo a staccarsi, anche Corti e Chioccioli persero leggermente terreno e così al comando rimasero i soli Lemond, Muñoz e Visentini, che procedettero di buon accordo. Quando il corridore bresciano sembrava poter giocare le proprie carte anche per il successo di tappa, a ottocento metri dal traguardo un salto di catena si rivelò per lui fatale, facendogli perdere secondi preziosi. In questo modo lo spagnolo Pedro Muñoz, scattato poco prima, poté involarsi indisturbato verso il traguardo, andando così a cogliere il successo prestigioso di una carriera che l'aveva già visto piazzarsi secondo ad una Vuelta a España (nel 1981) e ottavo al Tour de France (nel 1984). Anche grazie alla prestazione offerta in quella giornata Muñoz incamerò preziosi punti e si aggiudicò la maglia verde di miglior scalatore al termine del Giro.
Alle sue spalle, staccato di 9" giunse Lemond mentre un inviperito Visentini tagliò il traguardo al terzo posto con un ritardo di 20". A seguire giunsero poi Corti a 31", Chioccioli a 43" e Baronchelli a 1'23" mentre il gruppo di Moser e Saronni accusò oltre 2'20" di ritardo. Nonostante la delusione per la mancata vittoria di tappa, Roberto Visentini poté consolarsi con la conquista della maglia rosa, che seppe poi difendere nelle successive frazioni (compresa la cronometro Piacenza-Cremona). Il corridore bresciano, che l'anno seguente sarebbe andato incontro alla più cocente delusione della carriera (detronizzato dal compagno di squadra Stephen Roche nella celeberrima tappa di Sappada), si aggiudicò così per la prima ed unica volta in carriera il Giro d’Italia, precedendo i due eterni rivali Giuseppe Saronni e Francesco Moser rispettivamente di 1'02" e 2'14".