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Omloop Het Niewsblad e Kuurne-Bruxelles-Kuurne - Il bilancio del primo weekend sulle pietre

Pur orfana di Van Aert, la Jumbo-Visma domina e porta alla vittoria Van Baarle e Benoot. Arrancano, invece, Soudal-QuickStep e Ineos Grenadiers. Sboccia il talento di De Lie. I nostri fanno il possibile.

La stagione 2023 delle classiche del Nord si è aperta nel segno della Jumbo-Visma. È un’affermazione banale, viste le vittorie di Dylan Van Baarle sabato alla Omloop Het Niewsblad e di Tiesj Benoot domenica alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e i piazzamenti di Laporte e Van Hooijdonk, ma non si può non partire dallo strapotere della formazione olandese nell’analisi del primo fine settimana di corse in terra fiamminga.

Uno strapotere già visto l’anno scorso, almeno fino alla Gand-Wevelgem, e in una certa misura preventivabile, dopo l’aggiunta del vincitore della Parigi-Roubaix (nonché runner up al Giro delle Fiandre), ma non scontato, almeno alla vigilia: l’Omloop era la prima gara ufficiale per tutti i componenti della squadra (eccezion fatta per Tim van Dijke, per quel che può valere) e, ancor più importante, alla squadra mancava il pezzo più importante, quel Wout van Aert che l’anno scorso dominò in lungo e in largo, prima di essere stoppato dal Covid. Il modo in cui i Jumbo hanno sbaragliato la concorrenza tanto sabato quanto domenica, dall’inizio alla fine delle corse, non può non far suonare l’allarme per i principali avversari del team olandesi, compreso chi – Van der Poel, Girmay, Alaphilippe – non c’era.

Dylan Van Baarle tutto solo sul muro di Grammont

Al netto di moto e scie varie, è il modo in cui i calabroni hanno annichilito la concorrenza a far paura: gestendo in maniera impeccabile la corsa prima e vincendola poi, sabato, con la specialità della casa Van Baarle (nonostante il vento contrario nel finale), sfruttando la superiorità numerica per ribaltare il pronostico che, sulla carta, vedeva Mohoric e il febbraiolo Wellens favoriti rispetto a un Benoot rientrante dopo un gravissimo infortunio e un Van Hooijdonk mai così nel vivo di una corsa, domenica; senza dimenticare Laporte, cane da guardia sabato, nel quartetto (con protagonisti ancora Mohoric e Wellens) all’inseguimento di DVB, e battuto da De Lie nella volata per il secondo posto, coperto domenica nella pancia del gruppo dei velocisti, regolati senza grosse difficoltà nello sprint per il sesto posto. Se queste sono le premesse, quella che si prospetta davanti a noi rischia di essere una stagione della classiche del Nord a senso unico; tanto più se, chi ha storicamente dominato, arranca.

Soudal-QuickStep, è già crisi?

Se cinque anni fa mi avessero detto che la squadra di Lefevere avrebbe vinto l’UAE Tour, bucando al contempo le prime due corse sul pavé della stagione, gli avrei dato del pazzo. Un po’ perché l’UAE Tour ancora non esisteva e un po’ perché, all’epoca, non si vedeva all’orizzonte un corridore che potesse riportare il movimento belga ai vertici del ciclismo in quella che, per la Quick Step, era la specializzazione che interessava meno: la classifica generale nelle grandi corse a tappe. L’ultimo a pagare l’ideosincrasia doella formazione belga per le tre settimane era stato Enric Mas, esploso alla Vuelta 2019 e poi invitato più o meno gentilmente a levare le tende, ché a quelle latitudini della Spagna interessava poco; un discorso simile, a dire il vero, era stato fatto anche per Joao Almeida, ma il portoghese, al contrario di Mas, aveva già vissuto sulla propria pelle l’innesco di quella che, pochi mesi fa, si è concrettizzata nel Big Bang che ha segnato l’inizio dell’Era di Remco.

Se in precedenza il budget della squadra non poteva essere sacrificato per assecondare la crescita e l’affermazione dei Mas di turno, con tutto ciò che questo implica in termini di costruzione di una squadra in grado di sostenere il proprio uomo di classifica su tutti i terreni, il paradigma si è ora ribaltato. Remco val bene un Giro delle Fiandre, potremmo parafrasare per rendere immediato un concetto terra terra: può la prima formazione belga sacrificare, anche solo parzialmente, il più grande talento che il movimento di quel Paese esprime da cinquant’anni a questa parte? No, ovviamente. Sono semmai le corse di cui quella stessa squadra ha scritto la storia degli scorsi due decenni a poter essere, almeno parzialmente, messe in secondo piano, come già accaduto l’anno scorso e come sembra potersi ripetere anche in questa stagione.

Per amore di verità, va ricordato che lo scadente rendimento del team belga nella campagna del Nord della scorsa stagione (vittoria di Jakobsen alla KBK, nono posto di Senechal alla OHN e decimo posto per Asgreen alla E3 e per Lampaert al termine di una Parigi-Roubaix invero molto sfortunata) è stato in larga parte ascrivibile ai tanti problemi di salute patiti dalla squadra – e in particolare dai suoi elementi di punta – proprio nelle settimane sante del ciclismo belga. E pure che sì, la Soudal-QuickStep non sarà più la schiacciasassi di qualche tempo fa, che Lefevere ha destinato una parte consistente del budget al rafforzamento della Remco Armata, ma rimane lo stesso una squadra che, con i vari Asgreen, Senechal, Lampaert, Jakobsen, Ballerini e Alaphilippe, rimane se non il top, un qualcosa comunque di molto vicino al meglio che si possa desiderare per le classiche del pietre, in ogni loro declinazione.

Più dei risultati, a mancare, nel fine settimana appena trascorso come nella passata stagione, è stata la presenza: mai nel vivo della corsa, mai incisivi quando c’era da ribaltare l’inerzia, mai davvero competitivi. È questo, come espresso da Lefevere a Kuurne, il vero problema, tanto per il Wolfpack (o quel che ne resta), quanto per noi che, incollati al divano, bramiamo il miglior spettacolo possibile. Uno spettacolo che, nel recente passato, la Quick Step ci ha regalato anche quanto i corridori sulla carta più forti – Cancellara, Sagan, Van Avermaet, Van Aert e Van der Poel – erano arruolati nelle truppe nemiche. In una stagione delle pietre che, come abbiamo detto prima, rischia di essere cannibalizzata dagli uomini in giallonero, la Soudal-QuickStep è una delle forze in campo che può ambire a infastidire, perlomeno, chi ha spudoramente mostrato l’intenzione di dominare.

Se Lefevere piange, Ellingworth non ride

Il primo fine settimana sul pavè è stato parecchio deludente – e sfortunato – anche per la Ineos Grenadiers. Una squadra tanto giovane quanto ambiziosa, che nelle prime corse della stagione aveva già fatto vedere buone cose tanto con Ben Turner quanto con il giovanissimo Magnus Sheffield, e che aveva come punta di diamante Tom Pidcock, l’unico dei tre tenori del ciclocross che aveva scelto di rinunciare al mondiale della specialità per non perdersi nemmeno un metro della stagione delle classiche. Il bottino, anche per i britannici, è povero, con il quinto posto raccolto sabato da Pidcock che sa tanto di contentino e insufficiente, da sola, a togliere l’amaro in bocca lasciato dalla frattura al gomito patita da Turner. Il discorso è simile a quello già fatto per la Soudal-QuickStep: più dei risultati, è l’assenza nei momenti cruciali delle due corse a pesare negativamente nel giudizio della squadra britannica, che tanto bene ha fatto nella campagna del Nord della passata stagione.

DeLiezioso Arnaud, è nata una stella? 

Tra le note liete della due giorni di corse fiamminghe c’è senza ombra di dubbio Arnaud De Lie. Che fosse forte, anzi fortissimo, lo si era già capito l’anno scorso, ma che potesse già essere competitivo in certe corse è una novità quasi assoluta. Soprattutto per chi, come lui, ha ottenuto sì tante vittorie, ma in corse “minori” e spesso – ma non sempre – contro avversari forti, ma non fortissimi. Che quest’inverno De Lie avesse lavorato bene lo si era già capito nelle prime corse dell’anno, in cui sono arrivate tre vittorie, due delle quali all’Etoile de Besseges; è soprattutto nella breve corsa a tappe francese che il giovane corridore della Lotto-Dstny ha mostrato enormi progressi, sconfiggendo sul non banale arrivo di Bellegarde corridori del calibro di Pedersen e Cosnefroy e tenendo alla grande in un arrivo in salita esigente come quello di Mont Bouquet, al termine di una tappa combattutissima.

La gamba insanguinata di Arnaud De Lie sul Muro di Grammont

Il secondo posto di sabato e l’immagine di potenza che De Lie ha regalato al pubblico sul Grammont hanno subito scatenato la fantasia degli appassionati, che subito si sono lanciati in paragoni con i grandi del passato. Il nome più in voga è quello di Tom Boonen, con lo stesso Tommeke non ha nascosto la propria ammirazione per il giovane Arnaud, descrivendolo come un mix tra lui e Gilbert. Altri vedono in De Lie una sorta di nuovo Sagan, forse anche perché quello vero, di Peter, non ha affatto brillato nelle prime due uscite della sua ultima stagione di classiche. In ogni caso, la certezza è che si tratti di un corridore fuori dal normale, dotato di un fisico possente e di qualità atletiche, tecniche e mentali straordinarie, tali da consentirgli di diventare da subito un protagonista delle classiche, oltre che un dominatore delle volate. Un tesoro che la Lotto-Dstny dovrà trattare come merita e che, già dall’imminente Milano-Sanremo, potrebbe regalare quelle gioie di cui il sodalizio belga non gode proprio dai tempi di Gilbert.

E i nostri?

Il bilancio della due giorni inaugurale sulle pietre per i colori azzurri è neutro. I nostri si sono fatti vedere più sabato che domenica, con Jonathan Milan bravissimo a prendere il treno Van Baarle, ma incapace di rimanerci aggrappato. Come biasimarlo... Il segnale dato, comunque, è più che buono. Le gambe e la testa ci sono (ma lo sapevamo già), per l’esperienza serve tempo, ma arriverà anche quella. L’altro Bahrain-Victorious Andrea Pasqualon è stato come sempre molto scaltro a sfruttare l’occasione che gli si è presentata per conquistare un ottavo posto che non si butta mai via, due posizioni dietro a Davide Ballerini; della Soudal-QuickStep abbiamo già parlato in lungo e in largo e, se il giudizio è stato severo ma non tranciante, il merito è anche del piazzamento del vincitore dell’edizione 2021 della corsa.

Domenica, invece, i nostri non si sono praticamente visti, né durante la corsa, né nello sprint per i piazzamenti; il 12esimo posto di Milan e il 15esimo di Mozzato (boicottato dai suoi stessi massaggiatori) non aggiungono e non tolgono nulla a quanto detto prima. Oltre all’assente Bettiol, è mancato Matteo Trentin, 98esimo sabato e ritirato domenica. La stagione dei Mondiali nella sua Glasgow non è iniziata nel migliore dei modi, ma le occasioni per rifarsi non mancano di certo.

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Marco Francia
Nonostante tutto, il ciclismo è la mia unica passione.