Ma il ciclismo italiano è alla Ganna del gas?
Il bilancio dei supermondiali di Glasgow dice che i colori azzurri sono troppo spesso relegati al rango di comprimari. Per fortuna la vittoria di Lorenzo Milesi nella crono under ci fa aggiungere il punto interrogativo al titolo qui sopra
La conclusione dei primi mondiali interdisciplinari, in attesa della partenza a fine mese di quella che s'annuncia come un'edizione sontuosa della Vuelta a España, ha aperto un intenso dibattito nel mondo degli amanti delle due ruote sull'effettiva valenza della prestazione azzurra in terra di Scozia. Per amor di precisione va ricordato che il bottino azzurro, al termine dei dieci giorni di gara, è stato di 11 medaglie (due ori, quattro argenti e cinque bronzi) che hanno collocato l'Italia al 13° posto nel medagliere.
Decisamente, più lusinghiero il bilancio paraciclistico che con 19 medaglie (cinque ori, cinque argenti e nove bronzi) ci vede settimi nella graduatoria per nazioni. Non essendo un esperto di quest'ultima materia mi limito a prendere atto con piacere della relativa superiorità in questo campo rispetto a quello tradizionale, spero non dovuta a una concorrenza più limitata. Tornando, invece, al prodotto originale, è chiaro che la valutazione complessiva, tutto sommato sufficiente, è figlia del peso specifico preponderante d'un solo atleta: Filippo Ganna.
Il granatiere verbanese ha portato a casa un oro e due argenti. Senza di lui, staremmo dissertando in ben altra maniera. C'era chi sperava in un tris aureo ma, in tutta onestà, il contributo imprescindibile del piemontese alla piazza d'onore del quartetto nell'inseguimento a squadre, alle spalle d'una Danimarca costante nella sua eccellenza, in aggiunta all'argento nella crono Élite, dietro al golden boy belga Remco Evenepoel, va apprezzato a pieno.
Quanto poi al titolo nell'inseguimento individuale, Ganna, con la sua incredibile rimonta sul malcapitato britannico Daniel Bigham, ha fatto rivivere ai meno giovani un analogo recupero avvenuto 57 anni a Francoforte. In quella occasione, il padovano Leandro Faggin si confermò campione del mondo, rimontando 60 metri negli ultimi due giri al suo avversario storico: il belga Ferdinand Bracke, futuro recordman dell'ora l'anno successivo al non più esistente velodromo olimpico di Roma.
A sorpresa è giunta mercoledì 9 agosto la vittoria nella crono maschile Under 23 di Lorenzo Milesi. Il giovane bergamasco ha regalato ai colori azzurri un successo tanto inatteso quanto gradito che giustifica il punto interrogativo nel titolo di questo articolo. A onor del vero, credo vada ricordato che difficilmente Milesi avrebbe conquistato la maglia iridata se il campione uscente, il britannico Joshua Tarling, non avesse optato per correre tra gli Élite dove ha conquistato un'eccezionale medaglia di bronzo. Il diciannovenne gallese è chiaramente un fenomeno assoluto, non dissimile da Remco alla sua età. Fortunatamente per noi, ha deciso di misurarsi subito ai massimi livelli lasciando spazio al campioncino di San Giovanni Bianco.
In una stagione che, finora, ha donato poche gioie all'Italia del pedale, la rassegna scozzese, tutto sommato, ha regalato qualche momento lieto ai colori azzurri, togliendoci dai perenni ranghi dei comprimari e restituendoci, seppur parzialmente, un briciolo dell'antica dignità perduta. Cerchiamo, quindi, di vedere la parte piena del bicchiere, consapevoli del fatto che c'è ancora un'immensità di lavoro da fare per colmare il divario con i paesi dominanti della nuova frontiera del ciclismo globale. A Parigi, tra 12 mesi, confermare il medagliere scozzese sarebbe impresa non da poco, ancora di più perché, per una scelta politica scellerata, mancherà l'inseguimento individuale in pista.