Marco Pantani sull'Alpe d'Huez © Hein Ciere - Wikiportrait
La Tribuna del Sarto

Berlinguer come Pantani: tradita la memoria, rimane solo il feticcio

L'inizio di giugno ci riporta a ricorrenze meste: la morte del segretario del PCI nel 1984, lo scandalo di Madonna di Campiglio nel 1999

11.06.2024 23:24

Esattamente 40 anni fa, un sentimento di angoscia aleggiava nelle case di molti italiani, attaccati alla televisione ad aspettare notizie da Padova.

Il 7 giugno 1984, durante un comizio elettorale nella città veneta, il segretario del Partito Comunista Italiano (PCI) ebbe un grave ictus. Morì pochi giorni dopo, l’11 giugno. Milioni di italiani in quei giorni sperarono in un bollettino medico favorevole, ma la gravità del quadro neurologico fu subito chiara. Ricordo come oggi il dolore dei miei genitori, come se fosse mancato uno di famiglia.

Io a quell’epoca ero un bambino, vivevo in un quartiere operaio di una città di provincia del nord Italia, uguale a molti altri. La forte migrazione dal sud al nord dei decenni precedenti rese le periferie padane identiche una all’altra: una micro-nazione di accenti diversi, di incomprensioni e di scoperte, di razzismo e solidarietà.

In quel caldo giugno del 1984 per strada si sentiva solo la voce delle televisioni, tutte sintonizzate il 13 giugno sulla diretta del funerale laico di Enrico, come veniva confidenzialmente chiamato Berlinguer. Le strade deserte, la televisione in sottofondo, un’esperienza simile a quella vissuta recentemente durante il lockdown oppure durante una finale della nazionale di calcio: un tempo paralizzato.

Berlinguer e Pantani, il destino condiviso di diventare dei feticci

Enrico Berlinguer con Yasser Arafat © Wikipedia
Enrico Berlinguer con Yasser Arafat © Wikipedia

Qualche anno dopo, sempre un inizio giugno, il 5 del 1999, segnerà la memoria collettiva di molti sportivi italiani. 25 anni fa Marco Pantani, senza dubbio il ciclista più amato dell’ultimi decenni, fu fermato a due tappe dalla fine del Giro d’Italia per valori di ematocrito elevati.

Fu uno shock, le discussioni all’epoca (in realtà ancora oggi) furono infinite tra innocentisti e colpevolisti; tutti ricordano quei giorni, persino chi è nato dopo pare averli vissuti. Fu un passaggio decisivo nella storia dello sport italiano e purtroppo anche in quella personale del campione romagnolo.

Che siano 40 o 25 anni, il passato appare come un presente nella nostra mente, quando invece tutto è cambiato.

Non esiste più il PCI; non esiste più un partito, di qualsiasi schieramento, capace di far vivere sentimenti e passioni collettive (sono più che certo di quello che dico); non esiste più un leader capace di fermare un paese nel dolore di un lutto.

Anche il ciclismo è profondamente cambiato, proprio a partire dai e a causa dei fatti di quegli anni: Festina, Pantani, Armstrong, Operazione Puerto. Il ciclismo ha saputo mettersi in discussione e, con le spalle al muro, ha introdotto lo strumento più utile alla lotta al doping: il Passaporto Biologico (PB).

Il Passaporto Biologico, pur con le sue imperfezioni e i suoi limiti, ha cambiato la mentalità dell’atleta, lo ha protetto almeno in parte da pressioni esterne, lo ha costretto a porre la sua salute al centro della sua professione: grazie al PB ognuno sa di avere un range di normalità e, soprattutto, un primo livello di sicurezza per il proprio corpo.

Chissà, forse se ci fosse già stato il PB nel 1999, Pantani non sarebbe stato fermato a Madonna di Campiglio, perché in primis i corridori sarebbero stati più protetti da loro stessi e dal mondo professionale attorno a loro.

Sono solo “se”, senza alcun valore, se non quello appunto di obbligarci a guardare all’oggi con occhio diverso, non ingenuo come molti credono, ma con più consapevolezza che lo sport è più complesso di come lo si vuole raccontare: l’innovazione non è necessariamente una frode; la salute e la percezione della stessa che ha lo sportivo sono sempre più centrali; per quanto naïf, anche un concetto di sindacalizzazione dell’atleta inizia a fare breccia nel gruppo.

Eppure molta dell’opinione pubblica è rimasta ferma a 25 anni fa, a quella idea che senza doping non si possa finire una corsa come il Giro o il Tour, a quella sfiducia che proprio non si riesce a cancellare.

Si continua a dare spazio su giornali e social a dichiarazioni prive di alcun senso, praticamente basate solo sul sospetto, semplici dicerie. Che credibilità può avere l’opinione di un ex corridore, sconosciuto anche al suiveur più esperto, che afferma che secondo lui (senza uno straccio di fatti concreti) Pogačar vada troppo forte per essere pulito? Siamo ancora fermi a questo? Davvero molti non vedono l’ora di riappendere la forca nella pubblica piazza? La storia drammatica di Pantani non ha insegnato nulla? Se è così, allora oggi nel ciclismo Marco è solo un feticcio, così come in politica (soprattutto a sinistra) lo è Berlinguer.

In un modo o nell'altro Pantani finisce con l'essere strumentalizzato

Dopo 40 o 25 anni oppure 32, come per le stragi di Palermo in cui persero la vita Falcone e Borsellino, si perde il valore storico del loro lavoro, un processo che li trasforma prima in simboli, poi in feticci.

Berlinguer in quello dell’uomo buono e onesto, relegando solo al passato remoto il valore delle sue lotte politiche; così come Falcone e Borsellino nel feticcio di un antimafia che è persino accettabile a politici di cui è noto il loro coinvolgimento in inchieste, svuotando il lavoro dei due magistrati nel rendere centrale il tema criminalità organizzata nel nostro paese: la lotta al fenomeno mafioso non è oggi certo in cima all’agenda politica.

Si è trasformata quella strage in un museo, con penne stilografiche restaurate, quella che Falcone aveva con sé a Capaci. Fuori la Mafia è sempre più “normale”, dimenticata; i suoi metodi di scambio, di utilizzo di risorse pubbliche, di lobby criminali, di violenza sociale e paesaggistica sul territorio sono diventati “regolare” pratica.

Analogamente nel ciclismo si continua a utilizzare Pantani, il suo ematocrito e gli scandali del passato come feticci per affermare che il presente è sicuramente ancora corrotto, sporco, sleale, non volendo accettare che la natura dello sport moderno possa cambiare.

Il feticcio non è altro che l’incarnazione della menzogna che ci permette di sostenere una verità insostenibile. È ora di dirci la verità. La politica non è più un processo dialettico atto a migliorare le condizioni del popolo; il feticcio di Berlinguer, soprattutto per il Partito Democratico, nasconde l’assenza di un vero partito e politiche di sinistra in Italia. La seconda verità è che la Mafia esiste ed è ancora più incisiva (accettata?) nella vita politica, economica e sociale del nostro paese.

Infine, Pantani non è un simbolo del doping, né un martire (pur riconoscendogli che ha subito ingiustizie e un accanimento giudiziario come pochi eguali); ma la storia di un uomo nel suo tempo, che non può e non deve essere strumentalizzata a piacere, che sia con o contro di lui.

Se vogliamo che gli anniversari siano utili, dobbiamo fare nostra l’eredità di quel passato e allo stesso tempo renderci conto che il presente è molto diverso da allora.

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” diceva Bertolt Brecht nella Vita di Galileo, ma ancora peggio quel paese che fa dei suoi eroi dei feticci.

P.S.

Per dovere e riconoscenza giusto citare tutte le vittime dei due attentati del 1992: la moglie di Falcone Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti delle due scorte Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

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