Rodolfo Muller ed il Tour prima del primo Tour de France
Giornalista e ciclista, il livornese trapiantato a Parigi fece per due volte in due mesi l'intero percorso della Boucle 1903: primo e unico italiano al via, alla fine fu quarto!
Il 6 giugno del 1903 Rodolfo si alzò più tardi del solito, si vestì come si conviene ad un “gentleman” ciclista ed uscì dalla sua casa parigina al numero 8 di Rue Labie. Poco dopo inforcò una bicicletta senza catena ed a cambio di velocità che il direttore della casa statunitense Columbia monsieur Titus Postma aveva messo a sua disposizione e si avviò verso Lione, consapevole che per quel giorno non avrebbe però potuto pedalare per più di cento-centoventi chilometri. Era un sabato e nel poco bagaglio Rodolfo mise anche penna ed inchiostro, utili a scrivere qualche appunto da inviare poi per telegrafo all’amico Gèo.
Il Rodolfo di questa storia di cognome si chiama Muller ed è nato a Livorno da una ricca famiglia di origine svizzera poi caduta un po' in disgrazia e trasferitasi a Parigi.
Gèo invece di cognome fa Lefevre e di professione il giornalista sportivo a “L’Auto”. È lui che ha convinto il Direttore Henri Desgrange a prendersi la briga di organizzare una corsa di ciclismo in giro per la Francia, il Tour de France.
Il primo luglio di quel 1903 infatti è in programma la partenza del primo Tour de France organizzato in sei tappe ed all’amico Gèo Lefevre serve qualcuno di fiducia che si rechi di persona a visionare il percorso e ne scriva poi sulle pagine de “L’Auto”, con note tecniche e pratiche utili ai corridori. D’altronde una volta disegnate le tappe sulla carta geografica occorre motivare i concorrenti ed il pubblico atteso lungo il percorso di ben 2.428 chilometri, bisogna sorprendere e spiegare.
Rodolfo Muller, giornalista e ciclista, ciclista e giornalista
Rodolfo Muller accetta di buon grado, del resto da tre anni si cimenta anche nel giornalismo firmandosi alla francese, Rodolphe Muller. E così si incammina in quel tour prima del Tour che gli serve anche da allenamento. “Conto di metterci una ventina di giorni per terminare il tutto e mi allineerò così in perfetta forma alla partenza (del Tour de France) il primo luglio!” scrive il Muller nel suo primo resoconto.
Il nostro Rodolfo, infatti, si è iscritto alla nuova competizione del Tour de France due giorni prima, il 4 giugno, versando 10 franchi e prendendo di diritto il bracciale numero 33. Il giovane livornese ha lo sport nel sangue, al contrario del fratello Alfredo che invece ha il talento per la pittura, tanto che diventerà famoso per quello. E poi è magro, ostinato, atletico, resistente e pedala in bicicletta che è un piacere.
Nel 1895, al suo arrivo a Parigi, non potendosi permettere una bicicletta coltiva la sua passione facendo l’allenatore utilizzando un tandem a quattro posti. Nel 1897 riesce a partecipare alla sua prima gara, la Parigi-Cabourg dove arriva terzo. L’anno successivo pedala nella sua prima corsa su pista a Roubaix per 48 ore filate, arrivando secondo. Poco dopo va a correre la Mosca-San Pietroburgo ma è un disastro non per colpa delle gambe ma perché non ci sono i ricambi per la sua bicicletta Omega senza catena. Partecipa poi alla 72 ore del Parc des Princes e l’anno successivo, nel 1899, alla 100 ore a Roubaix.
Per Roubaix si è preparato bene e vuole battere il suo grande avversario Miller. “Sono rimasto in sella dalla partenza alla ventinovesima ora coprendo 780 chilometri senza mai mettere piede a terra. Alla sessantesima ora, profittando del mio anticipo, ho potuto dormire 50 minuti e ripartire con 6 chilometri di anticipo su Miller. All’ottantesima ora sono caduto così pesantemente che non mi è stato possibile continuare. La corsa tanto ambita era perduta!!”.
Da quel momento ottiene altri ottimi risultati come, ad esempio, nelle quattro gare di sei giorni in America. Il biondino livornese con i capelli ben pettinati è sesto alla Parigi-Brest e ritorno e secondo alla Marsiglia-Parigi di 940 chilometri. Tra le prestazioni omologate può vantare la Parigi-Milano in bicicletta in 69 ore, la Parigi-Torino in 57 ore (stavolta in motocicletta), la Parigi-Madrid in bicicletta in 4 giorni, 5 ore e 50 minuti.
L'avventura della ricognizione…
Con tutta questa forza nelle gambe e nella testa, la ricognizione per conto di Gèo Lefevre e de “L’Auto” è quasi un piacere, disturbato solo da cani randagi incontrati sulla strada o dalle cimici nel materasso dell’hotel che lo ospita ad Avignone. I suoi articoli con le note di viaggio vengono pubblicati su L’Auto con una introduzione di Gèo Lefevre, non tutti i giorni, dal 10 al 30 giugno.
Le strade sono generalmente buone anche se a volte “la polvere è davvero spessa”, quelle acciottolate gli danno fastidio, alcune salite sono “orribili”, alcune discese “deliziose ma a precipizio”, alcuni villaggi sarebbe meglio evitarli.
“Mio Dio! Quanto è lunga la strada da Parigi a Lione!”, “Brucio alcuni villaggi che, sebbene meridionali, sono sgradevolmente pavimentati”, “la strada è molto tortuosa, scassata e stretta che dà la sgradevole impressione di aver sbagliato percorso”, ”Dopo Langon i villaggi scompaiono, le case si ammucchiano e si raggiunge Bordeaux senza accorgersene fino al velodromo del Parco. A quel punto non saranno né le salite né la polvere a farci paura ma ci verrà l’angoscia di essere superati di una ruota dopo 268 chilometri di corsa!”.
Durante la ricognizione Rodolfo si ferma volentieri a salutare amici e rivali nello sport conosciuti durante le corse in strada o in pista e nei suoi resoconti parla anche dello scetticismo e della curiosità dei contadini per questa corsa ma anche dell’eccitazione di molti tifosi davanti alla prospettiva di vedere passare i ciclisti preferiti, pronti a far ricorso ad ogni mezzo per aiutarli.
Dopo 2.428 chilometri la ricognizione è finita, rieccolo a Parigi.
…e l'avventura del vero Tour!
“E con questo è tutto. Finalmente” scrive il livornese sulle pagine de “L’Auto”. Ma invece non è tutto. Il primo luglio 1903 Rodolfo Muller si presenta alla partenza del primo Tour de France con il suo nome di battesimo italiano ed il bracciale numero 33. I corridori sono in 78 ed altri si aggiungeranno nei giorni seguenti, anche giusto per partecipare ad una sola tappa, visto che il regolamento lo consente.
È l’unico italiano a partecipare al Tour de France e ne è orgoglioso, lo dice agli amici ed alla famiglia. Nei giorni successivi pedala con impegno sulle strade che solo qualche giorno prima aveva già percorso in perlustrazione per l’amico Gèo Lefevre. Stavolta c’è competizione e Rodolfo Muller non si tira certo indietro.
Alla prima tappa Parigi-Lione di 467 chilometri è undicesimo, quinto alla seconda tappa Lione-Marsiglia di 374 chilometri, ottavo dopo i 423 chilometri della Marsiglia-Tolosa, terzo alla Tolosa-Bordeaux di 268 chilometri, sesto alla Bourdeaux-Nantes di 425, sesto all’ultima tappa, da Nantes a Parigi di 471 chilometri.
Quando arriva al Parc des Princes Rodolfo ha il viso segnato dalla stanchezza ed è vestito con la sua piccola giacca grigia, diventata ancora più grigia a causa delle quintalate di polvere che ha incontrato per strada. Ad accoglierlo la famiglia ed il fratello Alfredo, elegantissimo nei suoi pantaloni bianchi, giubbotto, papillon e paglietta in testa.
Le mani di Rodolfo Muller sono sporche e callose. La destra stringe stancamente un mazzo di fiori, la sinistra è appoggiata sulla bicicletta che ha condiviso con lui tutta quella fatica, quel sudore, quella sofferenza.
Ai piedi del podio nella Boucle di Maurice Garin
Viene stilata la classifica finale e Rodolfo Muller viene proclamato al quarto posto, dietro al vincitore Maurice Garin, a Lucien Pothier ed a Fernand Augerau. Il nostro si mette in tasca la bella sommetta di 1.250 franchi e negli anni successivi continua a cimentarsi in bicicletta ma anche in moto, in auto e nella corsa.
Molti anni più tardi scrive: “Devo alla pratica costante dello sport, alle leggi ad esso collegate ed alla sua disciplina, una salute perfetta e di conseguenza la vita è stata una lunga, lunghissima giovinezza, impregnata di entusiasmo e di una grande gioia di vivere. Faccio un voto. Che Dio voglia che sia così fino a una morte felice, quando l’anima liberata dal peso della materia prenderà il suo meraviglioso volo verso splendori più calmi”.
Rodolfo Muller muore l’11 settembre del 1947 a Parigi, nella sua casa di Rue Labie al numero 8, la stessa casa da dove era uscito quarantaquattro anni prima per iniziare la sua ricognizione sulle strade di Francia.
Epilogo
Siamo ai giorni nostri nelle Fiandre Occidentali, in Belgio, dove il ciclismo è una religione e dove più di 150 nomi di strade, statue, busti, monumenti o targhe commemorative sono dedicate agli eroi della bicicletta. Nella cittadina fiamminga di Roeselare c’è il Koers-Museum van de Wielesport ed in una sala una vecchia bicicletta che nei registri del museo porta il numero d’inventario R0591.
È una bicicletta di marca La Française, pneumatici Dunlop in gomma, cerchi in legno e sella in cuoio. È lunga centosettantasei centimetri ed alta novantotto. Ma la marca non conta, conta il fatto che è la bicicletta del livornese Rodolfo Muller, quello che è stato l’unico a pedalare il tour prima del Tour, quello che è stato il primo ed unico italiano al primo Tour de France.