Simone Consonni, incontenibile agli Europei su pista di Grenchen 2023 © FCI
Lo Stendino di Gambino

L'omonimo che mi riporta alle gioie della mia infanzia

Lontana l'età di platino del ventennio post-bellico, quando l'Italia dominava in tutti i velodromi, la nazionale di Pippo Ganna e del Simone Consonni visto a Grenchen è un raggio di sole che squarcia le nuvole di un movimento declinante

14.02.2023 22:01

Le bellissime prestazioni di Simone Consonni, vincitore di due titoli e due argenti agli appena conclusi Campionati Europei su pista di Grenchen, hanno provocato in me un esaltante effetto emotivo,  rinverdendo i ricordi d'un tempo lontano, quello della mia infanzia, in cui l'Italia del pedale dominava il ciclismo su pista. Non può, poi, lasciarmi indifferente  il fatto che il protagonista di questo trionfo porti il mio nome posto che quando sono nato, nel 1958, di bambini chiamati come me ce n'erano ben pochi come ricordo sempre a Simone Fraccaro, classe 1952, quando ci troviamo nelle serate cicliste trevigiane.

Successivamente, nel 1968, con l'arrivo del demenziale Ballo di Simone, il nome cominciò ad essere molto più usato. In quell'era di rari antesignani di Pietro, l'Italia era la potenza dominante del ciclismo su pista. La mia memoria parte dal 1964, anno segnato dal settimo titolo iridato di Antonio Maspes cui seguirono le Olimpiadi di Tokyo dove, trascinati da un superlativo Giovanni Pettenella, primo nella velocità e secondo nel chilometro con partenza da fermo, gli azzurri portarono a casa due ori e cinque argenti.

Il dominio azzurro sugli anelli in legno aveva avuto inizio all'indomani dell'ultimo conflitto mondiale. Il ventennio  dal 1947 al 1966 potrebbe, infatti, essere etichettato come lo scontro tra l'Italia ed il resto del mondo. Nell'inseguimento professionisti, in quel frangente, i corridori italiani furono capaci di conquistare ben undici maglie iridate, condite con sei secondi posti e sette terzi. I dilettanti non furono da meno: nel periodo 1947-1957 l'Italia conquistò sette titoli con cinque secondi posti ed altrettanti terzi.

In ordine cronologico, Fausto Coppi, Antonio Bevilacqua, Guido Messina e Leandro Faggin furono i nostri quattro moschettieri, sommi protagonisti d'un epoca in cui, sovente, la qualificazione per conquistare la maglia azzurra era più impegnativa della disputa della stessa prova iridata. Analogo discorso può essere fatto per la velocità, in entrambe le categorie, con i sette titoli di Maspes, fiore all'occhiello d'un movimento che produceva campioni a getto continuo. Indimenticabile, infine, fu la doppietta di Sante Gaiardoni nella grande Olimpiade romana in cui vinse la medaglia d'oro sia nella velocità che nel chilometro con partenza da fermo.

Questa età di platino giunse al termine alla fine degli anni sessanta. Sul momento, si diede la colpa alla nascita d'una grande classe francese che, sotto la guida del leggendario “Papà” Louis Gerardin, produsse due fuoriclasse assoluti come Daniel Morelon e Pierre Trentin. Indubbiamente i due galletti transalpini, mai passati professionisti, preclusero agli azzurri la conquista di molti titoli iridati, rendendo eroico quello a Brno nel 1969 di Giovanni Sartori nel chilometro con partenza da fermo.

In realtà, il mondo della pista stava subendo una metamorfosi irreversibile. La globalizzazione, infatti, portò al  consolidamento, tra i dilettanti, dei paesi d'oltre cortina a cui fece da contraltare, tra i professionisti, l'ingresso di nuove potenze come Australia e Giappone. In tal senso, il trionfo a Ostuni di Francesco Moser nel 1976 ebbe luogo in uno scenario completamente mutato. La prestazione del fuoriclasse di Palu di Giovo fu controcorrente, essendo avvenuta in un periodo storico in cui i grandi campioni della strada abbandonavano sempre più la pista.

La trasformazione del menù della pista, con l'introduzione di nuove gare e l'abbandono di alcune vecchie discipline, fu un duro colpo per l'Italia che solo negli anni novanta, con le vittorie olimpiche  in successione nella corsa a punti di Giovanni Lombardi a Barcellona e Silvio Martinello ad Atlanta, tornò a farsi sentire anche se non nel modo perentorio del glorioso ventennio. Oggi, invece, intorno a Filippo Ganna, colonna portante del movimento, si sta creando una squadra che porta successi a ripetizione anche in campo femminile. In un momento in cui l'attività su strada non brilla, questo ritorno in auge della pista va colto con gioia, non dissimile da un raggio di sole che squarcia le nuvole dopo un temporale.

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