Sette giorni e una sola certezza: Filippo Ganna
L'appassionato italiano vive in adorazione dell'Ercole del Lago Maggiore e lo attende anche tra Sanremo e Roubaix. E per il resto, ci si può solo aggrappare a un paio di grandi vecchi in chiave Giro
La stagione ciclistica su strada ci è esplosa addosso. In una settimana, dalla vigilia del Trofeo Laigueglia ad oggi, abbiamo digerito, oltre la corsa ligure, le Strade Bianche ed una discreta porzione delle due corse d'una settimana che anticipano l'arrivo della bella stagione: quella che dovrebbe portare al sole, ma non sempre lo fa, e quella che unisce i nostri due mari. Non abbiamo scoperto nulla di nuovo. Abbiamo recuperato Domenico Pozzovivo, che a 40 anni suonati ha accettato la circoncisione virtuale accasandosi con la Israel-Premier Tech, e viviamo sempre più in adorazione dell'Ercole del Lago Maggiore: il divino Filippo Ganna.
Poter disporre ancora di Pozzovivo per il prossimo Giro d'Italia fornisce al ciclismo italiano la concreta possibilità di piazzare ben due azzurri nei primi dieci della classifica generale, posto che sulle tre settimane Damiano Caruso qualche garanzia dovrebbe fornirla. Gettando lo sguardo in Gallia, dove metà della popolazione non ha mai visto un francese festeggiare all'ombra dell'Arco di Trionfo, ci rendiamo conto che c'è ancora molto spazio per cadere più in basso.
Tornando a Ganna, Giorgia Meloni, che ama il termine patria più d'ogni altro, dovrebbe ottenere dall'UNESCO la nomina immediata del granatiere del VCO a patrimonio dell'umanità, oltreché dell'Italia. Ciò risulterebbe poco più d'una formalità se Filippo, mettendo da parte le sue reticenze sul correre in altura, decidesse di dedicare un mesetto a fine stagione ad un nuovo tentativo sull'ora, recandosi sull'anello messicano dell'amena Aguascalientes per compiere sulla bicicletta un'impresa simile a quella di Bob Beamon nel salto in lungo ai Giochi Olimpici del 1968. A costo d'essere più noioso di Catone, ribadirò il mio credo: Ganna in altura può frantumare i 58 kmh. Poi, essendo lui recordman anche a livello del mare, vediamo chi ha qualcosa da ridire.
Abbandonando il fantaciclismo e tornando alla meno gradevole realtà, cosa ci si può aspettare dal verbanese nelle due imminenti classiche monumento alla sua portata: la Milano-Sanremo e la Parigi-Roubaix. Come ho scritto un paio di settimane fa, quasi tutto dipenderà dalla squadra. Allo stato attuale delle cose, con Dylan van Baarle, vincitore lo scorso anno al velodromo, passato alla nemica Jumbo-Visma, e Ben Turner (che nel 2022 fu 11esimo) messo fuori causa da una frattura al gomito nella recente Omloop Het Nieuwsblad, Filippo pare destinato al ruolo di capitano unico nella corsa delle pietre dove la INEOS, oggettivamente, ha meno frecce al suo arco. La sua vittoria nella categoria Espoirs nel 2016, inoltre, certifica la sua competitività sul pavé.
Questo significa che, con molta probabilità, la Sanremo dovrà correrla in appoggio al conquistatore delle Strade Bianche, l'inglese Thomas Pidcock, e al polacco Michał Kwiatkowski, già trionfatore in Via Roma nel 2017 ai danni d'un troppo generoso Peter Sagan. D'altronde, come insegnano le ultime due edizioni della Classicissima di primavera con le improbabili vittorie del fiammingo Jasper Stuyven e dello sloveno Matej Mohoric, la Sanremo è una lotteria da cui spesso vengono estratti numeri inaspettati.
Nel darvi appuntamento tra sette giorni fisso un traguardo non troppo ambizioso ma per me, se raggiunto, soddisfacente: almeno una tappa vinta da un italiano tra le 10 che restano da correre tra Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico. Spero di non essere stato troppo ottimista.