Il ciclismo italiano è in crescita, e promette di fare faville
In Italia lo sport nazionale, si sa, è il calcio. Nel nostro paese l'attenzione mediatica sul mondo del pallone tende a fagocitare gli altri sport, relegandoli in secondo o terzo piano. Eppure, non sempre è stato così. Nel secondo dopoguerra, non era il calcio a monopolizzare l'attenzione e le passioni degli italiani, ma il ciclismo. Campioni come Coppi e Bartali hanno fatto la storia del nostro paese, fornendo un esempio di abnegazione, sacrificio e costanza che rispecchiava bene l'Italia dell'epoca.
50 anni dopo, la situazione sociale del nostro paese è cambiata immensamente, ma soprattutto negli ultimi anni il ciclismo sembra aver attraversato una sorta di "seconda giovinezza". Le due ruote si affermano sempre più come sport seguito da migliaia di tifosi, e come passione per molti ciclisti non professionisti, che si sta diffondendo sempre più tra il grande pubblico. Basta notare come gli accessori per il ciclismo non siano più relegati ai negozi specializzati: sfogliando ad esempio il volantino nkd, una catena che non si occupa esclusivamente di sport, non è raro trovare offerte sull'abbigliamento per ciclisti.
Un cambiamento che si avverte anche nelle cifre che girano attorno al mondo delle due ruote. Facciamo un esempio. Nel 2016, i guadagni del Giro d'Italia erano stati di 25 milioni di euro. Una cifra tutto sommato risibile, se confrontata con quello della manifestazione ciclistica forse più importante del mondo, il Tour de France, che aveva fatto incassare agli organizzatori, nello stesso anno, ben 150 milioni di euro. Appena un anno dopo, il balzo: gli incassi del Giro erano aumentati di quasi il 40%, arrivando a 35 milioni di euro. Una manifestazione da record, che aveva fatto registrare ben 770 milioni di telespettatori in 194 paesi, seguita lungo i percorsi da quasi 11 milioni di persone. E sono proprio i diritti televisivi a fare il grosso della cifra, con oltre 20 milioni di euro di contratti.
Insomma, la differenza fra noi e la Francia, secondo gli esperti, sta non tanto nel riconoscimento dell'importanza della manifestazione, ma nella capacità di investire di più e sfruttare meglio il grandissimo ritorno pubblicitario (non solo sponsor, ma anche a livello turistico) che essa genera.
Gli italiani da anni occupano un posto speciale nel mondo professionistico delle due ruote. In tutto il World Tour, ossia su 492 corridori, ben 61 sono italiani. Una percentuale non da poco, che dimostra quanto questo sport sia apprezzato nel nostro paese. Lo sanno bene anche le squadre estere, che fanno a gara per assumere nel loro organico sportivi ed esperti del Belpaese. Non è solo il caso del due volte campione del Giro Vincenzo Nibali, ormai passato alla Bahrain-Merida. Tra le 18 squadre del World Tour, si contano 20 manager e direttori sportivi italiani.
Se il ciclismo italiano ha sempre avuto il suo zoccolo duro di tifosi e appassionati, sembra quindi che il futuro sia orientato verso una crescita costante e un maggior riconoscimento del suo valore. Chissà che, fra qualche anno, non insidi al calcio il titolo di sport nazionale.