The amazing Viviani!
Elia inizia l'anno con una volata stratosferica al Tour Down Under. Battuti Max Walscheid e un incoraggiante Jakub Mareczko
Quanto ci si può esaltare per una volata il 15 di gennaio? Dipende da vari fattori; per esempio può dipendere dal fatto che segui con lo sguardo un corridore in particolare, riconoscibile dal verde che colora la parte superiore della sua divisa, e che proprio quel corridore, lontanissimo ancora ai 300 metri, si inventi una rimonta show che lo porta a vincere sgusciando da una parte all'altra del gruppo lanciato.
Il corridore "di verde bardato" è bardato pure di bianco e di rosso, in pratica il campione italiano in carica, ovvero Elia Viviani. Uno che le gerarchie dello sprint mondiale le ha scalate coi denti volata dopo volata, fino a issarsi (quantomeno) sul podio di specialità nel 2018; e ora abbiamo la vaga impressione che il ragazzo voglia proseguire la salita nel 2019, fino a diventare re indiscusso. Beh sì, ambiziosetto come programma, e lo verificheremo nei prossimi mesi.
Ma quel che emerge da questa prima vittoria stagionale di Viviani, ottenuta nella prima tappa del Tour Down Under (l'anno scorso aveva dovuto aspettare la terza) è che Elia ha fatto un ulteriore passetto in avanti in termini di consapevolezza: il modo intelligente, spericolato, vorace, con cui il veronese della Deceuninck-Quick Step ha conquistato il successo a Port Adelaide dice proprio questo, e consente di pensare in grande.
Tappa nel vento e fuga a quattro, poi a tre, poi a due
C'era talmente tanta ansia di partire che la fuga del giorno si è mossa subito, allo start, sulle gambe di Artyom Zakharov, kazako dell'Astana; del neozelandese Patrick detto Paddy Bevin, nella sua fiammante nuova (brand new!) divisa CCC, un arancione che resta subito negli occhi; e dei due australiani Michael Storer - neanche 22 anni e corre per la Sunweb - e Jason Lea, consueto rappresentante della UniSA, che da anni fa gli onori di casa e ne mette uno in fuga ogni giorno.
La tappa, la North Adelaide-Port Adelaide, facile sulla carta, 132 km originari ridotti a 129 per il taglio del circuito finale (per ragioni di vento), prima frazione del Tour Down Under 2019. Il vantaggio massimo dei quattro è stato toccato subito, dopo appena 10 chilometri di gara (10 km passati dal gruppo a sollazzarsi e sghignazzare), 4'15"; poi dietro hanno pensato che, col vento che spirava ora di qua ora di là, era meglio non lasciare troppo spago ai battistrada, e hanno così bloccato il filo del guinzaglio mobile. Ne è derivato un elastico, coi fuggitivi che venivano prima riportati a 2'55", poi lasciati nuovamente a 3'55" (margine toccato l'ultima volta ai -70), e infine rimessi progressivamente nel mirino dal lavoro di Deceuninck e Lotto.
Le due squadre, per intendersi, che sentivano di avere gli uomini forti di giornata: Elia Viviani da una parte, lo scalpitante Caleb Ewan dall'altra, colui che domenica ha già vinto l'unofficial Down Under Classic davanti a Peter Sagan.
Il tempo per i quattro di contendersi il Gpm di One Tree Hill ai -90, con volata lunga lanciata da Zakharov (che tanto s'è sbuffato per impegnarcisi, che dopo il traguardo volante si è direttamente rialzato) e stroncata dal velenoso contropiede di Lea; e di NON contendersi i due sprint intermedi, vinti senza volata da Bevin il primo e Storer il secondo; ed ecco che ci si trovava già a 50 km dalla fine, col gruppo ormai a meno di un minuto di distacco.
Un'improvvisa folata di vento da dietro ha portato a Bevin l'aroma del plotone, lui ha capito e si è opportunamente rialzato; gli altri due superstiti, Storer e Lea, hanno fatto finta di crederci per un'altra decina di chilometri, finché il gruppo non li ha raggiunti ai -39. Fine primo tempo, inizio grande attesa.
Viviani, uno sprint che riempie gli occhi
La grande attesa era per l'appunto quella dello sprint conclusivo, stra-annunciato dall'atteggiamento del gruppo, quasi tranquillo in vista del finale. Ci si è arrivati senza altri fronzoli di mezzo, con la tv australiana che ha approfittato della situazione per mandare spot a profusione, e con l'unico brivido ai 1500 metri (già in piena volata di treni, si può dire), quando su una curva a sinistra uno spartitraffico ha splittato il gruppo, e i pochi che l'hanno preso all'esterno si son visti rimbalzare indietro perché il ritmo degli altri (i molti) e l'impossibilità di "sciare" troppo causava una differenza di velocità evidente agli occhi. Tra questi, Caleb Ewan, che poi ha dovuto rincorrere fino all'arrivo ed è rimasto fuori dai 20.
La Jumbo-Visma si è messa in testa di impostare lei lo sprint, a beneficio di Danny Van Poppel, ma è partita un tantino lunga, e invece chi pareva aver fatto le cose proprio per bene era la Sunweb per Max Walscheid, il quale sul rettilineo finale ha impostato una volata non certo breve ma apparentemente destinata a successo, con quasi 200 metri di tirata.
In quel momento, cioè quando Walscheid aveva con determinazione preso la testa, Elia Viviani si trovava fuori dalle prime dieci posizioni, a occhio in dodicesima-tredicesima. Avremmo saputo poi, dalle parole dello stesso Elia, che c'era una strategia nel restare coperti fino all'ultimo: il vento contrario avrebbe infatti bagnato le polveri del tapino (team o sprinter che fosse) che si fosse lanciato troppo presto. "Il problema era poi trovare gli spazi", dice Viviani, ma in questo esercizio lui è maestro, e in effetti abbiamo visto proprio una specie di ultimo giro dell'Americana, con l'uomo in allungo (Walscheid) e il velocista di punta che lo punta e lo fagocita... non avendo trascurato di trovare pertugi impossibili per il proprio passaggio.
Per esempio c'è stato un momento, ai 100 metri, in cui sulla sinistra Phil Bauhaus (Bahrain-Merida) aveva lasciato un 30 cm: Peter Sagan era lì che avrebbe potuto infilarcisi, Peter Sagan diciamo, non uno che tema la spericolatezza. E invece il Campione... Slovacco (stavamo per scrivere "del Mondo") ha preferito glissare, "perché andare a cercarsi rogne alla seconda corsa dell'anno?"; e allora Viviani ne ha approfittato lui, s'è inserito tra Phil e transenna, ha dato una spallatina al collega per stabilire un contatto (ma anche il diritto di passare) ed è sgusciato via. Sì, è vero che abbiamo usato questo verbo già all'inizio dell'articolo, ma non ce n'è uno che renda meglio l'idea: continuando a sgusciare, Elia si è buttato allora a destra, sfruttando per mezzo secondo la scia di Walscheid (che intanto annaspava sempre più, eccolo il vento!) e uscendogli alla destra, per finalizzare il tutto con fiondata da pistard e successivo autoritario balletto d'esultanza: mettetemi il sale sulla coda, se ci riuscite!
Walscheid ha preso il secondo posto, intanto a centro strada Jakub Mareczko era stato autore di una discreta volata che lo premiava col terzo di giornata, buon viatico per il 2019 del nuovo velocista della CCC; Bauhaus, scottato dal rush di Viviani, ha chiuso la porta (a Jasper Philipsen della UAE, il quale non trovando più spazio per passare ha pure protestato col tedesco) e si è piazzato quarto, davanti a Ryan Gibbons (Dimension Data) e allo stesso Philipsen. Top ten chiusa da Kristoffer Halvorsen (Sky), Sagan, Van Poppel e Daniel Hoelgaard (Groupama-FDJ).
La classifica è disegnata sugli abbuoni di giornata, ed Elia Viviani la guida con 4" su Walscheid, 5" su Bevin e Storer, 6" su Mareczko, 8" su Lea e 10" su Bauhaus, Gibbons, Philipsen e via dicendo. Domani la seconda tappa è la Norwood-Angaston, arrivo in leggera salita che non escluderà la volata di gruppo, magari con qualche buco qua e là; il supercaldo previsto ha spinto gli organizzatori a tagliare 27 km di percorso, per cui dagli originari 149 si scende a 122. Nel 2014, ultimo arrivo qui, vinse Simon Gerrans, un grande protagonista del Tour Down Under che quest'anno per la prima volta guarda la corsa da casa, dato che si è appena ritirato. Ci pareva strano non citarlo almeno in un'occasione nelle cronache della gara di cui ha vinto quattro edizioni.