I nodi vengono (tardi) al pettine
11 gennaio 2013, Levico Terme. La FCI è riunita in assemblea per eleggere il presidente del futuro quadriennio. Il presidente uscente, Renato Di Rocco, concorre per il terzo mandato. E' un'elezione particolarmente difficile per lui: il terzo mandato non sarebbe previsto da statuto FCI, perciò è stata messa in piedi una norma ad hoc per la quale gli servirà il 55% dei voti per essere eletto ed il 50% per concorrere in caso di ballottaggio. I candidati opposti all'abruzzese sono diversi, e c'è chi pensa che la crescente opposizione all'interno del movimento sarà sufficiente per impedire a Renato di raggiungere il quorum alla prima votazione, lasciando a tutti gli altri la lotta per la presidenza.
Tuttavia, le circostanze concorrono a favore di Di Rocco. Otterrà 144 voti, appena 2 in più rispetto ai necessari alla soglia del 55%: quel che si dice vincere di giustezza. I voti sono espressi dai delegati, ossia un bacino elettorale composto da atleti (20%), tecnici (10%) e rappresentanti delle società affiliate (70%). Ed è soprattutto tra questi che si trovano i principali sostenitori di Di Rocco, tra i quali il messinese Giovanni Duci, che diverrà vicepresidente per quel mandato.
6 anni dopo. La Guardia di Finanza, a conclusione dell'operazione "Ghost Race", effettua una richiesta di rinvio a giudizio per 31 persone per truffa aggravata ai danni dello stato, falso in bilancio e associazione a delinquere. L'accusa ad un primo impatto risulta insolita: la GdF ha rinvenuto 85 verbali irregolari trasmessi per la richiesta di contributi alla regione Sicilia, sostanzialmente in tali verbali i numeri relativi a partecipazioni alle gare organizzate ed ai tesseramenti risultano gonfiati, se non inventati di sana pianta nella circostanza di alcune gare mai disputate (da qui il nome dell'operazione). I soggetti indagati sono tutti collocati nel messinese e a capo di essi c'è proprio Duci, accusato di aver messo in piedi una rete fittizia di associazioni dilettantistiche allo scopo, udite udite, di "allargare il proprio bacino elettorale".
Il sistema dei delegati funziona così: il territorio viene rappresentato in maniera proporzionale alla presenza di società e attività sul suo territorio. Secondo la Guardia di Finanza, Duci operò in tal modo non solo al fine di ottenere maggiori contributi, ma anche, e forse soprattutto al fine di allargare il numero di delegati sotto il suo controllo in vista di Levico.
Dunque oggi lo si può dire senza il timore di essere querelati: le elezioni di Levico Terme nel 2013 furono falsate. A votare per decidere il futuro del ciclismo italiano si presentarono persone che non avevano niente a che vedere con la cosiddetta "base", e data la collocazione di Duci poi all'interno del quadro FCI, pensare che queste persone abbiano favorito la rielezione dell'attuale presidente FCI risulta scontato, al di là del segreto dell'urna.
Peccato che tali fatti fossero già all'epoca un segreto di Pulcinella: Marco Bonarrigo, giornalista del Corriere della Sera, segnalò, tramite due dettagliati articoli sul suo blog, l'incresciosa situazione siciliana ancor prima delle elezioni. E la presenza di tanti "delegati senza personalità", come li definì all'epoca il nostro Direttore Marco Grassi lì presente, non poteva passare inosservata, tant'è che uno dei principali battuti, Rocco Marchegiano, si espresse senza fronzoli a caldo sul problema («La questione dei delegati meridionali è grave, arrivo a dire che forse è il caso che restino a casa, perché conta il potere, del ciclismo non gliene frega niente a nessuno»). Eppure ci sono voluti la bellezza di 6 anni, non uno, non due, ma 6, perché un'autorità competente si muovesse a sanzionare una truffa così palese ed acclarata ai danni dello Stato, e già questo genera un certo malessere al pensiero di cosa abbia trattenuto Finanza, CONI e altre autorità dall'intervenire prima.
Nel frattempo, in 6 anni, è cambiato radicalmente il ciclismo ma non chi ne é al vertice in Italia. Di Rocco ha ottenuto un ulteriore mandato ed è attualmente presidente della FCI, e nel frattempo ha consolidato il suo ruolo a livello europeo e mondiale. Gli amatori hanno vinto la guerra dei numeri diffondendosi a macchia d'olio su tutto il territorio, ma senza trascinare l'agonismo che in gran parte delle regioni italiane risulta totalmente assente. La maggior parte dei tecnici e degli atleti ha continuato a svolgere, in molti casi anche egregiamente (vd. Pista), il loro lavoro disinteressandosi del peso della loro opinione sugli equilibri federali, che continua a essere minimo a livello elettorale. Chi invece non voleva andare a braccetto con questo sistema continua ovviamente ad essere ai margini e a non poter dare il proprio contributo.
Sono coloro che non se ne fregano, coloro che sono convinti che un ciclismo più pulito in ogni senso parta da una dirigenza più etica, la parte lesa di tutta questa storia, ma sono una netta minoranza nel paese dei "tarallucci e vino", dell'individualismo eletto a bandiera (nel ciclismo è espresso in maniera emblematica dal complesso della gara del campanile, che può essere esteso anche alle grandi battaglie di costume, alle quali tecnici e dirigenti partecipano solo nel momento in cui vedono scricchiolare i loro interessi) dove l'elezione di un rappresentante, in qualsiasi ambito, non è l'espressione dell'assenso ad un progetto, quanto una garanzia per poter farsi valere nelle sedi appropriate e battere i pugni pro domo propria al momento opportuno.
Tuttavia, le circostanze concorrono a favore di Di Rocco. Otterrà 144 voti, appena 2 in più rispetto ai necessari alla soglia del 55%: quel che si dice vincere di giustezza. I voti sono espressi dai delegati, ossia un bacino elettorale composto da atleti (20%), tecnici (10%) e rappresentanti delle società affiliate (70%). Ed è soprattutto tra questi che si trovano i principali sostenitori di Di Rocco, tra i quali il messinese Giovanni Duci, che diverrà vicepresidente per quel mandato.
6 anni dopo. La Guardia di Finanza, a conclusione dell'operazione "Ghost Race", effettua una richiesta di rinvio a giudizio per 31 persone per truffa aggravata ai danni dello stato, falso in bilancio e associazione a delinquere. L'accusa ad un primo impatto risulta insolita: la GdF ha rinvenuto 85 verbali irregolari trasmessi per la richiesta di contributi alla regione Sicilia, sostanzialmente in tali verbali i numeri relativi a partecipazioni alle gare organizzate ed ai tesseramenti risultano gonfiati, se non inventati di sana pianta nella circostanza di alcune gare mai disputate (da qui il nome dell'operazione). I soggetti indagati sono tutti collocati nel messinese e a capo di essi c'è proprio Duci, accusato di aver messo in piedi una rete fittizia di associazioni dilettantistiche allo scopo, udite udite, di "allargare il proprio bacino elettorale".
Il sistema dei delegati funziona così: il territorio viene rappresentato in maniera proporzionale alla presenza di società e attività sul suo territorio. Secondo la Guardia di Finanza, Duci operò in tal modo non solo al fine di ottenere maggiori contributi, ma anche, e forse soprattutto al fine di allargare il numero di delegati sotto il suo controllo in vista di Levico.
Dunque oggi lo si può dire senza il timore di essere querelati: le elezioni di Levico Terme nel 2013 furono falsate. A votare per decidere il futuro del ciclismo italiano si presentarono persone che non avevano niente a che vedere con la cosiddetta "base", e data la collocazione di Duci poi all'interno del quadro FCI, pensare che queste persone abbiano favorito la rielezione dell'attuale presidente FCI risulta scontato, al di là del segreto dell'urna.
Peccato che tali fatti fossero già all'epoca un segreto di Pulcinella: Marco Bonarrigo, giornalista del Corriere della Sera, segnalò, tramite due dettagliati articoli sul suo blog, l'incresciosa situazione siciliana ancor prima delle elezioni. E la presenza di tanti "delegati senza personalità", come li definì all'epoca il nostro Direttore Marco Grassi lì presente, non poteva passare inosservata, tant'è che uno dei principali battuti, Rocco Marchegiano, si espresse senza fronzoli a caldo sul problema («La questione dei delegati meridionali è grave, arrivo a dire che forse è il caso che restino a casa, perché conta il potere, del ciclismo non gliene frega niente a nessuno»). Eppure ci sono voluti la bellezza di 6 anni, non uno, non due, ma 6, perché un'autorità competente si muovesse a sanzionare una truffa così palese ed acclarata ai danni dello Stato, e già questo genera un certo malessere al pensiero di cosa abbia trattenuto Finanza, CONI e altre autorità dall'intervenire prima.
Nel frattempo, in 6 anni, è cambiato radicalmente il ciclismo ma non chi ne é al vertice in Italia. Di Rocco ha ottenuto un ulteriore mandato ed è attualmente presidente della FCI, e nel frattempo ha consolidato il suo ruolo a livello europeo e mondiale. Gli amatori hanno vinto la guerra dei numeri diffondendosi a macchia d'olio su tutto il territorio, ma senza trascinare l'agonismo che in gran parte delle regioni italiane risulta totalmente assente. La maggior parte dei tecnici e degli atleti ha continuato a svolgere, in molti casi anche egregiamente (vd. Pista), il loro lavoro disinteressandosi del peso della loro opinione sugli equilibri federali, che continua a essere minimo a livello elettorale. Chi invece non voleva andare a braccetto con questo sistema continua ovviamente ad essere ai margini e a non poter dare il proprio contributo.
Sono coloro che non se ne fregano, coloro che sono convinti che un ciclismo più pulito in ogni senso parta da una dirigenza più etica, la parte lesa di tutta questa storia, ma sono una netta minoranza nel paese dei "tarallucci e vino", dell'individualismo eletto a bandiera (nel ciclismo è espresso in maniera emblematica dal complesso della gara del campanile, che può essere esteso anche alle grandi battaglie di costume, alle quali tecnici e dirigenti partecipano solo nel momento in cui vedono scricchiolare i loro interessi) dove l'elezione di un rappresentante, in qualsiasi ambito, non è l'espressione dell'assenso ad un progetto, quanto una garanzia per poter farsi valere nelle sedi appropriate e battere i pugni pro domo propria al momento opportuno.