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Fiandre & Roubaix, quando il ciclismo incontra il mito

30.03.2018 16:13

La settimana santa del ciclismo propone le due grandi classiche delle pietre. Ripercorriamo la storia di quanti hanno saputo esultare nello stesso anno in entrambe le gare


Gemelle diverse Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix, le due assi portanti della settimana più attesa da tutti gli appassionati di ciclismo, unite, però, da un comune denominatore: lo spettacolo che solo loro possono garantire. Già perché alla Ronde e alla Roubaix ancora oggi, spesso e volentieri, i grandi corridori si affrontano a viso aperto già a 50, se non 100, chilometri dal traguardo, in duelli dal sapore antico che ricordano quelli dei grandi del passato. Queste sono le corse in cui ancora oggi il gesto atletico si unisce all'epicità, trasformando i corridori in moderni eroi che si combattono a vicenda tra muri arcigni e infidi tratti di pavé.

La Parigi-Roubaix, sorella maggiore, più anziana di 17 anni, è la regina delle classiche, la più importante, la più affascinante, la più dura tra tutte le gare in linea sin dal giorno in cui venne corsa per la prima volta, nel 1896. Divenne l'Inferno del nord durante la grande guerra quando i bombardamenti rasero al suolo tutto ciò che vi era nelle zone attraversate dalla corsa. 100 anni dopo la situazione di quei luoghi è decisamente migliore, ma la Roubaix resta l'Inferno del nord per via della sua natura diabolica che spinge i corridori allo stremo delle forze. Domare i lunghi tratti di pavé che caratterizzano questa classica, tra cui spiccano la leggendaria Foresta di Arenberg, Mons-en-Pévèle e il Carrefour de l'Arbre, è cosa per pochi eletti, un'impresa per cui è necessaria una potenza disumana, oppure un feeling innato con le pietre come quello di Franco Ballerini, uno che il pavé lo affrontava con il fioretto, accarezzandolo appena con le ruote della bicicletta. E poi c'è l'arrivo nell'iconico velodromo di Roubaix, laddove viene suggellata l'epopea non solo del vincitore, ma di tutti coloro che sono riusciti a superare indenni l'Inferno del nord.

Il Giro delle Fiandre invece è un'altra storia: nato dopo, nato provinciale, ma troppo intrigante, intenso, duro, entusiasmante per rimanere per sempre confinato tra le corse di seconda categoria. Il Fiandre, in una parola, può essere definito "monumentale" e il Kapelmuur, il muro principe della corsa fiamminga, capace di decidere la corsa anche quando posto lontanissimo dal traguardo, come successo l'anno scorso, è il monumento per eccellenza nel ciclismo, il monumento nella monumento, spietato e incantevole allo stesso tempo, si staglia davanti ai corridori come la chimera dinnanzi a Bellerofonte, incutendo loro lo stesso timore atroce che quell'essere mitologico fece provare all'eroe in sella a Pegaso, ma superarlo provoca la stessa incredibile soddisfazione che il pupillo di Poseidone sentì una volta trafitta l'orrida bestia. Fino alla seconda guerra mondiale il Giro delle Fiandre restò corsa esclusivamente per belgi, d'altronde non poteva essere altrimenti, quelle stradine bisogna conoscerle per riuscire ad affrontarle; lo svizzero Heiri Suter fu l'unica eccezione fino a quando, nel 1949, Fiorenzo Magni trovò la chiave per risolvere quell'intricato puzzle fiammingo, diventando il primo non belga a vincere la corsa per tre volte. Magni con quei trionfi divenne il Leone delle Fiandre, e nobilitò la gara, facendo vedere all'Europa intera la sua vera essenza e rendendola a tutti gli effetti una delle più prestigiose al mondo. Ma il grande Fiorenzo non svelò a nessuno i segreti per uscire vincenti dal Giro delle Fiandre e ancora oggi i grandi del ciclismo mondiale si chiedono sgomenti cosa serva fare per vincere questa mitica ed enigmatica classica.

Ma c'è una cosa ancor più complicata che vincere il Giro delle Fiandre o la Parigi-Roubaix, un'impresa per cui è complesso trovare eguali anche nella mitologia greca, conquistare sia il Fiandre che la Roubaix nella stessa stagione, domare, nell'arco di una settimana, tutti i rivali sia sul Kapelmuur che in mezzo alla Foresta di Arenberg. Le 12 fatiche di Ercole in formato ciclistico, una doppietta riuscita a pochissimi nella storia e fallita dai più, inclusi alcuni grandissimi del pavé come Johan Museeuw, Rik Van Steenbergen e, soprattutto, il più grande di tutti: Eddy Merckx, il quale con la corsa di casa ebbe sempre meno feeling rispetto alle altre classiche e dovette, infatti, aspettare il 1975 per vincere il suo secondo e ultimo Giro delle Fiandre. E proprio nel 1975 sfiorò, più di ogni altra volta, l'agognata doppietta, beffato a cinque metri dal traguardo, in un velodromo gremito di tifosi che già urlavano il suo nome, da uno dei suoi nemici peggiori: Roger de Vlaeminck, il Gitano, un bravo spietato e senza remore, con "la faccia sgherra del pedalatore di ventura", come diceva di lui il grande Gianni Brera, il quale quel giorno aveva addirittura messo in giro la voce di essere malato di bronchite pur di ingannare Merckx. Ma non fu solo De Vlaeminck a battere il Cannibale; ci si mise anche il fato con una spregevole foratura a otto chilometri dal traguardo che costrinse Merckx a un furioso inseguimento a testa bassa, in cui probabilmente spese le energie che gli sarebbero servite per non farsi superare a pochi centimetri dal traguardo.

Con la settimana santa alle porte, in trepidante attesa di vedere chi si ergerà a protagonista nelle due classiche leggendarie, diamo uno sguardo al passato per vedere chi, al contrario del grande Eddy Merckx, la doppietta l'ha portata a termine; a cominciare dal primo: lo svizzero Heinrich Suter nel 1923, in un'epoca in cui gli atleti da pionieri diventavano corridori. Suter, ciclista in una numerosa famiglia di ciclisti e mezzofondista di successo, aveva dalla sua una caratteristica fondamentale per avere successo sulle pietre: lo spunto veloce. Difatti non arrivò in solitaria né al Giro delle Fiandre né alla Parigi-Roubaix, ma conquistò entrambe regolando dei gruppetti allo sprint.

Gaston Rebry, una doppietta incompleta
Nato a Rollegem-Kepelle, nelle Fiandre occidentali, sostanzialmente in mezzo alle pietre delle corse fiamminghe, Gaston Rebry aveva un sogno, ammaliante e irraggiungibile: il Tour de France. E solo dopo numerosi e fallimentari tentativi di conquistare la Grande Boucle decise di dedicarsi anima e corpo alle classiche del nord, sua vera vocazione. Fu scelta saggia, dal 1931 al 1935 vinse tre Roubaix e, nel 1934, divenne il secondo nella storia a fare la doppietta. Rebry, bulldog prima di Godefroot, chiamato così per via del suo viso dai tratti canini e del suo modo aggressivo di correre, all'epoca in forza alla Alcyon Dunlop, un'autentica corazzata così forte da costringere Henri Desgrange a rendere il Tour un evento per nazionali per evitare di averla al via, fece una doppietta un po' particolare. Infatti, mentre il Fiandre lo dominò rifilando oltre 4 minuti al secondo classificato, il campione uscente Alfons Schepers, la Roubaix non la conquistò nel velodromo, ma gli venne assegnata solo dopo che Roger Lapébie, che quel giorno lo aveva battuto, fu squalificato perché fece una cosa all'epoca vietata: cambiare bicicletta durante la gara.

Raymond Impanis, il volo dell'aeroplano
"Impanis? È un aeroplano, non c'è nulla da fare, è volato via" Con queste parole il grande Ferdi Kubler, 4° quel giorno, suggellava la vittoria di Raymond Impanis alla Parigi-Roubaix del 1954. Un trionfo che fu il coronamento di una stagione fantastica per il nativo di Berg. Impanis aveva iniziato conquistando la Parigi-Nizza, poi il 4 aprile 1954 era arrivato primo, in solitaria, sul traguardo di Wetteren al Giro delle Fiandre; aveva staccato tutti sui muri. Mancava solo la ciliegina sulla torta, mancava la Parigi-Roubaix. È così l'11 aprile 1954, una settimana dopo il trionfo sulle strade fiamminghe, a un chilometro e mezzo dal traguardo posto sul velodromo di Roubaix, da un gruppo di 22 atleti che sembravano destinati a giocarsi la corsa allo sprint, ecco sbucare Impanis, avvolto nell'indimenticabile divisa oro-viola della Mercier, con uno scatto secco, ficcante, un colpo d'arma bianca, silenzioso e letale. Impanis prese letteralmente il volo, come Ermes, il messaggero degli dei, quando correva con i suoi calzari alati. Per gli altri 21 non c'è nulla da fare, lo rivedranno all'arrivo. Impanis agguanta la doppietta, e con la doppietta entra nel mito.

Alfred De Bryune, trionfo di tattica e scaltrezza
Alfred De Bruyne
, per gli amici semplicemente Fred, campione e uomo da pietre lo è sempre stato, già da dilettante, infatti, vinse il Giro delle Fiandre indipendenti. Da professionista, tuttavia, si ritrovò tra incudine e martello, nella prima parte di carriera dovette fare i conti con Rik Van Steenbergen, nella seconda con Rik Van Looy; i due grandissimi Rik del ciclismo belga, velocissimi sprinter in grado di primeggiare in ogni corsa in linea. De Bruyne, però, non era solo campione di gambe, lo era anche di testa: a livello tattico parliamo, probabilmente, di uno dei più grandi di sempre, in grado di saper scegliere in ogni corsa l'occasione ideale per giocarsi al meglio le sue carte. Ed è così che nel 1957, nel pieno del passaggio di consegne tra i due Rik, De Bruyne seppe ritagliarsi lo spazio per vincere non solo il Giro delle Fiandre o la Parigi-Roubaix, ma entrambe. E le conquistò in modo diametralmente opposto: al Fiandre sfruttò il suo poderoso spunto veloce per mettere in fila un gruppetto nutrito sul traguardo di Wetteren; alla Roubaix, invece, fece fuoco e fiamme andando via da solo e precedendo di oltre un minuto all'ingresso del velodromo il secondo classificato, l'allora 33enne Van Steenbergen.

Il sigillo dell'Imperatore di Herentals
Rik Van Looy
è stato un rivoluzionario, un corridore che ha cambiato il ciclismo, erede ed evoluzione di Rik Van Steenbergen, archetipo del velocista moderno, con la sua Guardia Rossa, soprannome dei suoi gregari alla Flandria, che rappresenta il primo vero esempio di treno nella storia del ciclismo. Ma l'Imperatore di Herentals non si limitava ad essere un rapidissimo sprinter; al contrario, invece, era in grado di vincere in qualsiasi modo su qualsiasi terreno, salvo l'alta montagna. Nato e cresciuto a Globbendonk, nel cuore delle Fiandre, aveva il pavé nel sangue, vinse due volte la corsa di casa e tre la Parigi-Roubaix. Nel 1962, inoltre, riuscì laddove Van Steenbergen prima di lui aveva fallito: conquistò l'agognata doppietta. Vinse il Giro delle Fiandre dopo una lunga fuga a due con Tom Simpson, staccando l'inglese a pochi chilometri dall'arrivo, mentre alla Roubaix arrivò solo dentro il Velodromo dopo aver fatto piazza pulita di tutti gli avversari in precedenza. Il primo gruppetto di inseguitori arrivo a 25" e fu regolato da Émile Daems.

La storia si ripete: De Vlaeminck come Rebry
Roger De Vlaeminck
è l'antieroe per eccellenza nella storia del ciclismo: cupo, schivo, ruvido, è figlio di un'ambulante che girava le Fiandre in roulotte, lei, la Gitana. Lui, di conseguenza, il Gitano. È cresciuto tra la povertà e il fango del ciclocross, come Ares che era disposto a fare qualsiasi cosa per conquistare il cuore di Afrodite, incluso trasformarsi in cinghiale e sbranare vivo il rivale in amore Adone, De Vlaeminck è pronto a tutto pur di vincere. C'è solo una cosa che De Vlaeminck non osa fare: doparsi; in un'epoca turbolenta sarà uno dei pochi, infatti, a non risultare mai positivo a un controllo e quando un giornalista gli chiederà come fare per eludere l'antidoping rispose: "Semplice, basta non doparsi". Come Eddy Merckx, il più acerrimo tra i suoi nemici, anche De Vlaeminck ha nel Giro delle Fiandre il suo tallone d'Achille. Nel 1977, a 30 anni, non solo non l'ha mai vinto, ma ha come miglior risultato un per lui misero quarto posto. Quell'edizione della corsa fiamminga la infiamma per primo proprio Merckx, il quale ha un conto in sospeso con il muro su cui scatta, il Koppenberg, aggiunto appena l'anno precedente, quando risultò fatale al Cannibale. Gli resistono a ruota solo De Vlaeminck e Maertens. Merckx è ormai a fine carriera, dopo essersi preso la sua rivincita sul Koppenberg non ce la fa più, ha la mononucleosi, si stacca dai due compagni di fuga e in seguito si ritirerà anche. Restano solo il Gitano e l'allora campione del mondo in carica, ma Maertens viene colto in flagrante mentre cambia la bicicletta giù dal Koppenberg, all'epoca operazione ancora vietata, e squalificato. Freddy, infuriato per via della decisione della giuria, decide di continuare a correre per dimostrare di essere il più forte. Roger, opportunista come sempre, si appiccica alla ruota del rivale e, senza alcuna remora, non la molla più per decine di chilometri, salvo scattare in faccia a Maertens negli ultimi 200 metri e vincere il suo primo e unico Giro delle Fiandre. Qualcuno parlerà di vittoria falsata, ma a Roger importa ben poco e la settimana seguente, alla Parigi-Roubaix, la corsa per cui è nato, fa la storia annichilendo tutta la concorrenza con una poderosa accelerazione a 25 km dall'arrivo, a cui nemmeno Francesco Moser riuscì a rispondere, e diventando il quinto a vincere nello stesso anno le due mitiche gare in linea del nord e il primo a conquistare ben 4 Roubaix, record che oggi condivide con Tom Boonen.

Peter Van Petegem spezza il sortilegio
Dopo l'impresa controversa di De Vlaeminck iniziò un lungo digiuno di doppiette che durò per ben 26 anni. Ci volle Peter Van Petegem, il Nero di Brakel, così chiamato per via dei suoi capelli scuri come la pece, un finisseur fiammingo delle Fiandre orientali forte sul pavé e dotato di un gran spunto veloce, per spezzare quel sortilegio che sembrava interminabile. Van Petegem nel 2003 ha già 33 anni e il suo palmares è un trionfo di piazzamenti più che di primi posti. La sua vittoria più importante, fino a quel momento, fu il Giro delle Fiandre del 1999, conquistato battendo in una volata a due Frank Vandenbroucke. Gli uomini da nord, però, hanno vita più lunga rispetto ad altre tipologie di corridori, e nel 2003 Van Petegem sa di avere la miglior condizione della carriera e l'esperienza necessaria per riuscire in un'impresa che ormai sembrava più complessa di una lotta contro il Minotauro. Il fiammingo prima rivinse il Giro delle Fiandre, nuovamente davanti a Vandenbroucke, meraviglioso lottatore ancora una volta beffato allo sprint dopo che, sul Kapelmuur, era stato l'unico a resistere alle accelerazioni di Van Petegem. Una settimana dopo completò il capolavoro alla Roubaix, prendendo in mano la corsa quando la situazione si stava complicando: infatti l'olimpionico Ekimov e un rampante italiano, il Toro di Scandicci, Dario Pieri si erano avvantaggiati sul resto del gruppo e il Nero di Brakel fu costretto ad andare a riprenderli in prima persona staccando tutti gli altri. Successivamente, nel velodromo, con uno sprint perfetto, mise in fila i due agguerriti rivali e riuscì laddove tutti avevano fallito nei 26 anni precedenti

Tom Boonen e Fabian Cancellara, un duello degno di un poema epico
Tom Boonen
e Fabian Cancellara, corridori profondamente diversi nati per essere l'uno l'antagonista dell'altro. Boonen è stato forgiato per il pavé: alla prima Roubaix, corsa quando aveva solo 22 anni, arrivò sul podio. Cancellara, invece, benché dotato di un motore straordinario, ha dovuto imparare a conoscere le pietre pian piano, soprattutto quelle del Giro delle Fiandre. Nel 2005, ad appena 25 anni, Boonen già faceva la doppietta, vincendo il Fiandre con una folgorante stoccata in pianura, contro la quale nemmeno Van Petegem poté nulla, e la Roubaix regolando in volata due cagnacci come Flecha e Hincapie. In quella stessa Roubaix una caduta di Cancellara ci privò di un primo duello tra i due rivali. L'appuntamento con la Roubaix sarà rimandato solo all'anno successivo comunque, è il Giro delle Fiandre che sembra stregato per lo svizzero. Nelle sue prime sette partecipazioni, infatti, Fabian raccoglierà al massimo un 6° posto. Ma quelle sconfitte sono lezioni di cui Cancellara farà tesoro.

E arriviamo al Giro delle Fiandre 2010, teatro del duello che segnerà un'era. Cancellara per tutti è Spartacus, ma in quell'edizione della corsa fiamminga recita il ruolo di un altro guerriero: Achille, il semidio greco figlio della Ninfa Teti, il quale, da bambino, venne immerso dalla madre nelle acque del fiume Stige, diventando invincibile. Boonen invece è Ettore, il più valoroso tra i soldati troiani, il quale, nonostante fosse conscio della sua inferiorità, si batté lealmente con Achille fino alla morte. Boonen, però, al contrario di Ettore non pensò neanche un secondo a darsi alla fuga e sul Molenberg, a 44 chilometri dall'arrivo, fu lesto a precipitarsi a ruota dell'avversario che con una prima accelerazione aveva sfaldato il gruppo. I due rimasero presto soli e continuarono insieme fino al Kapelmuur, laddove ci fu la stilettata decisiva di Cancellara, un'accelerazione violenta come un colpo di scimitarra, che non lasciò scampo a Boonen, costretto ad alzare bandiera bianca dopo aver dato tutto. Cancellara aveva scelto il palcoscenico più bello per la sua impresa più grande. Boonen, scoraggiato dopo una sconfitta così roboante, non riuscì a opporre la stessa resistenza alla Roubaix, dove Cancellara con una cavalcata solitaria di 50 chilometri entrò definitivamente nel mito diventando l'ottavo nella storia a vincere le due grandi classiche nell'arco di una settimana.

Boonen e Cancellara saranno poi gli unici nella storia a riuscire a replicare la doppietta. Boonen lo farà nel 2012, approfittando dell'uscita di scena del rivale, caduto e infortunatosi nelle fasi iniziali del Fiandre. Tommeke vincerà la corsa di casa riuscendo a resistere alla morsa, per la verità nemmeno troppo convinta, del duo italiano Pozzato e Ballan e la Roubaix, la sua quarta, con un improvviso attacco a 50 chilometri dall'arrivo che non lascerà scampo agli avversari.

La stagione seguente sarà invece Boonen a infortunarsi, lasciando strada libera allo svizzero. Cancellara al Fiandre deve così scontrarsi con un nuovo avversario, un giovane istrione sfacciato e insolente: Peter Sagan. La rivalità con lo slovacco è diversa da quella con Boonen, trascende il piano sportivo, tra i due c'è dell'antipatia a livello personale. Cancellara non tollera gli atteggiamenti da irriverente bricconcello di Sagan. Un giorno impareranno ad apprezzarsi a vicenda, ma al Fiandre 2013 lo svizzero non esita a dare una severa lezione al futuro tre volte campione del mondo, sradicandoselo letteralmente di ruota sul Paterberg, ultimo muro di giornata. Alla Roubaix, invece, si ritrova a duellare con un altro corridore in ascesa, diversissimo da Sagan, un fiammingo: Sep Vanmarcke, uno che le pietre ha imparato a conoscerle e amarle sin da bambino. Vanmarcke resiste alle accelerazioni sul pavé di Cancellara come nessun altro ha avuto l'ardire di fare. Poi, però, i due arrivano insieme nel velodromo e là lo svizzero fa valere la sua maggior esperienza e scaltrezza per mettere nel sacco il coriaceo Vanmarcke ed agguantare la seconda doppietta della carriera.

Né Cancellara né Boonen faranno altre doppiette, la partita finisce 2-2, probabilmente il risultato più giusto per suggellare la rivalità tra due campionissimi infinitamente diversi, ma legati da un sottile fil rouge: la capacità di far emozionare tutti gli appassionati con i loro numeri sul pavé mitico di Fiandre e Roubaix.
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