Il vittorioso arrivo di Michael Woods sul Puy de Dôme © Israel-Premier Tech
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Pogacar scrosta un altro po' di vernice gialla da casa Vingegaard

La battaglia sul Puy de Dôme si accende solo nel finale, Tadej si avvicina ulteriormente a Jonas. Tappa a Michael Woods che nel finale rimonta un coraggioso Matteo Jorgenson (poi quarto)

09.07.2023 19:40

Un altro capitolo della grande sfida si è compiuto, un altro emozionante (seppur troppo breve) testa a testa è passato, e questo è il giorno in cui Tadej Pogacar, se non nella classifica generale della corsa, ha ribaltato la situazione nel computo degli scontri diretti: lasciando da parte le quattro tappe da volata sin qui disputate, in due occasioni il divino sloveno e la sua nemesi Jonas Vingegaard sono arrivati insieme (non consideriamo gli abbuoni); una volta - nella frazione di Laruns - è stato il danese ad arrivare davanti; nelle ultime due occasioni - Cauterets e oggi sul Puy de Dôme - Pogacar ha distanziato l'avversario.

A ballare sono in generale pochi secondi, oggi pochissimi (8 in favore di Tadej), ma tutto ciò ci sta regalando una corsa memorabile e palpitante, equilibratissima tra i due protagonisti assoluti della contesa. Oggi, per dirla tutta, la sfida si è accesa tardino, a un chilometro e mezzo dall'arrivo, ma c'erano condizioni particolari, per la precisione un gran caldo che - unito a pendenze molto toste e al lascito di una prima metà Tour davvero esigente - deve aver annacquato qualche motore.

La Jumbo-Visma non è stata la solita sentenza, se sul Marie Blanque la setacciata finale di Sepp Kuss aveva lasciato con Vingegaard solo Pogacar, oggi erano in 8 nel gruppetto di testa, mentre l'americano tirava nel finale. Stanno crescendo tutti o sta calando la formazione giallonera? La questione non è secondaria. In base a quanto visto nella prima tappa pirenaica, ci eravamo spinti a ipotizzare che oggi avremmo potuto ritrovarci un Tour praticamente chiuso a doppia mandata, con distacchi pesanti rifilati da Jonas al resto del mondo tra Cauterets e Puy de Dôme.

E invece così non è stato, perché Pogacar già a Cauterets ha sconvolto ogni previsione con una reazione di classe purissima e orgoglio da campione, e poi oggi ha completato l'opera di demolizione delle convinzioni altrui scrostando un altro pezzetto di vernice gialla dalla parete che stavamo già affrescando a casa di Jonas. Il quale, però, il consueto distacco dal minutino in su in meno di due chilometri l'ha ugualmente affibbiato a tutti gli altri, tutti quelli che non si chiamano Tadej. Ma Tadej c'è, e Vingegaard non può fare a meno di farci i conti. I quali rischiano di non tornargli più.

La cosa bellissima del Tour in corso è che davvero non sappiamo come potrà andare a finire. Non sappiamo nulla di quel che potrà succedere martedì, o giovedì, o domenica prossima. Tutto è possibile, tutto è pronosticabile. Tutto e il suo contrario. Riviviamo l'aria di certi mitizzati Tour del passato, quelli in cui Fignon e Lemond si scambiavano la maglia ogni giorno, corse battagliate oltre ogni umana possibilità, corse che ti tenevano incollato perché ogni metro poteva risultare quello decisivo, e guai a perdertene anche solo uno. E il naufragare è dolce in questo mare d'incertezza!

In questo contesto, tutto quel che c'è intorno viene valorizzato ed esaltato. Sicché un giorno Michael Woods potrà dire “ho vinto una tappa al Tour 2023”, “ma quale, quello in cui…?”, “Sì, proprio quello!”. Perché oggi sul Puy de Dôme è stato proprio lo stagionato canadese a mettere a segno il successo più rilevante di una carriera costellata da tanti piazzamenti importanti e poche vittorie da punto esclamativo. Quella di oggi certamente lo è, su una salita che ha messo in risalto le doti da grimpeur del 36enne proveniente dall'Ontario e arrivato tardi al ciclismo, dopo una giovinezza spesa nel mezzofondo dell'atletica leggera.

Oggi Rusty si è gestito alla perfezione, rimontando nel finale un Matteo Jorgenson arrivato a tanto così dal realizzare un piccolo capolavoro di follia (una fuga solitaria - risultata alla fine troppo lunga e pretenziosa - nella fuga fiume che ha caratterizzato la frazione); ma non tema, il 24enne della Movistar: anche il suo piccolo dramma sportivo, il suo sfiorire proprio sul più bello, sarà eternato all'interno del racconto di questa indimenticabile Grande Boucle. E da parte sua, il tempo per rifarsi non gli manca.

Tour de France 2023, la cronaca della nona tappa

La nona tappa del Tour de France 2023 era una delle più attese: 182.4 km da Saint-Léonard-de-Noblat al Puy de Dôme, una delle salite più celebri della storia della Grande Boucle che mancava però da ben 35 anni. Una frazione tutta nel segno di Raymond Poulidor, che nel paesino di partenza viveva e che sulla salita finale scrisse una memorabile pagina di ciclismo in un duello all'arma bianca con Jacques Anquetil nel 1964.

Non partito Quinn Simmons (Lidl-Trek), alle prese coi postumi della caduta occorsagli nella quinta tappa, il percorso di avvicinamento al Puy de Dôme oggi era tutt'altro che trascendentale, per cui gli uomini di classifica hanno volentieri lasciato spazio a una fuga di qualità. Tanto spazio, tanta qualità. Il primo a muoversi, al km 0, è stato Victor Campenaerts (Lotto Dstny), e subito gli sono andati dietro in 13: Clément Berthet (AG2R Citroën), Michael Woods e Guillaume Boivin (Israel-Premier Tech), Matteo Jorgenson e Gorka Izagirre (Movistar), Matej Mohoric (Bahrain-Victorious), Neilson Powless (EF Education-EasyPost), Pierre Latour e Mathieu Burgaudeau (TotalEnergies), David De la Cruz e Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan), Jonas Abrahamsen e Jonas Gregaard (Uno-X).

Qualche ritardatario come Mattias Skjelmose (Lidl) e Alberto Bettiol (EF) ha provato a riprendere la fuga ormai andata, ma non c'è stato verso: i 14 hanno preso il largo sul piede dei 45 orari fissi, ed è stato presto chiaro che la giornata sarebbe stata tutta per loro. Col più vicino in classifica (Berthet) appena 31esimo a 26'56" dalla maglia gialla Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma), il gruppo ha più che lasciato fare, concedendo quarti d'ora.

Davanti prima c'è stato il minimo sindacale di bagarre sui traguardi intermedi, con Abrahamsen che ha vinto quello a punti di Lac de Vassivière (-152), località che ai vecchi appassionati ricorda un paio di crono: una, nel 1990, in cui Claudio Chiappucci dovette cedere la maglia gialla a Greg Lemond al penultimo giorno di gara; e un'altra, nel 1995, in cui Miguel Indurain vinse la sua ultima tappa alla Grande Boucle, un giorno prima del suo ultimo successo in classifica; tra l'altro quella crono del ‘95 giunse all’indomani di un arrivo a Limoges (proprio come stavolta), quello in cui Lance Armstrong vinse in solitaria omaggiando la memoria di Fabio Casartelli, morto tre giorni prima nella frazione di Cauterets (altra località toccata anche quest'anno).

Ma dicevamo dei traguardi intermedi. I Gpm ovviamente sono stati tutti di Powless, già vestito di pois e primo a transitare sulle tre côte previste prima del gigante finale, Felletin ai -107, Pontcharraud ai -96 e Pontaumur ai -56. Intanto, com'era ovvio che fosse essendoci troppa gente in fuga, sono cominciati i colpi di testa: per primo si era mosso Boivin, in allungo dai -62 ai -58, poi - dopo altri movimenti minori - ai -47 è stato Jorgenson ad allungare in maniera decisa. Alle spalle dello statunitense il drappello s'è frantumato, e primi inseguitori son rimasti Powless, Mohoric, Burgaudeau e De la Cruz; Boivin e poi Abrahamsen se ne andavano alla deriva, tutti gli altri restavano col favorito di giornata, Woods.

Ai -22 De la Cruz ha forato ed è stato raggiunto dal gruppetto di Woods, appunto, con cui ai -13 ha attaccato il Puy de Dôme con 1'45" di ritardo; il terzetto Powless-Mohoric-Burgaudeau era invece a 1' da Jorgenson; il gruppo maglia gialla in questo momento veleggiava a oltre 16', ma l'andatura dietro era pronta a salire vertiginosamente di lì a poco.

Lungo la prima parte di salita Jorgenson è stato a dir poco perfetto: ha guadagnato un secondo alla volta, con un'andatura regolare quanto efficace, arrivando al tratto di pendenze in doppia cifra, ai -4 (laddove non c'era più spazio per il pubblico a bordo strada), con 1'20" abbondante di margine; ai -3 Mohoric ha staccato Powless e Burgaudeau, e intanto da dietro emergeva forte forte Michael Woods; l'arrivo di Rusty ha fatto capire a tutti i (pochi) presenti che il finale non era ancora scritto, anche perché su pendenze così dure si fa presto a perdere molte decine di secondi.

Ed è proprio quello che è successo al povero Jorgenson: intanto che Woods raggiungeva Mohoric ai 1500, per poi staccarlo ai 1200, allo statunitense della Movistar non restavano che 35" di vantaggio, ma l'inerzia era tutta dalla parte del canadese, che dall'alto della propria consapevolezza ha lavorato di cesello, andando ad agguantare il solitario battistrada a mezzo chilometro dalla fine e superandolo nello spazio di un respiro.

A Jorgenson si è completamente spenta la luce, o la gamba - che è lo stesso nel nostro caso - e si è fatto superare in dirittura anche da Latour e poi Mohoric, chiudendo al quarto posto, affranto mentre negli stessi istanti Woods festeggiava la prima vittoria alla Grande Boucle. A quasi 37 anni, il successo principale di una carriera da camoscio.

La sfida dei big: Pogacar rosicchia altri secondi a Vingegaard

Abbiamo lasciato in sospeso la sfida dei big, demandata interamente alla salita conclusiva, la quale è stata presa con la solita veemenza dalla Jumbo-Visma. Dylan van Baarle ha tirato per la prima parte, poi ai -10 ha passato il testimone a Wilco Kelderman che ha trenato fino ai -7, selezionando abbondantemente il gruppo e lasciando passare poi Wout van Aert.

Il RollingStone di Herentals si è fatto il suo chilometro e mezzo in testa, poi è tornato su Kelderman, stavolta con a ruota Sepp Kuss e Jonas Vingegaard: pareva la configurazione tipo per l'assalto del danese, e infatti ai -5 è arrivata la botta di Kuss, il cui esito è stato la riduzione del drappello dei migliori a sole 8 unità: con Sepp e Vingegaard c'erano Tadej Pogacar (UAE Emirates) e pure il suo luogotenente Adam Yates, il gemello di quest'ultimo Simon (Jayco AlUla), il tenace Jai Hindley (Bora-Hansgrohe), terzo della generale, e la coppia INEOS Grenadiers Carlos Rodríguez-Tom Pidcock.

Kuss ha tirato fino ai 1800 metri, facendo staccare Adam Yates ai -4 e Hindley ai -3.5, ma quando si è sfilato non abbiamo visto Vingegaard partire. Non era evidentemente la giornata giusta per l'uomo in giallo. Si è mosso allora Simon Yates, Tadej l'ha seguito con Jonas a ruota, poi il britannico ha rilanciato mentre da dietro il fratello si riavvicinava con Hindley.

A un chilometro e mezzo dalla vetta è arrivato lo scatto più atteso, quello di uno dei due contendenti. Nel nostro caso, Tadej Pogacar. Lo sloveno è partito con Vingegaard incollato, ma la resistenza del danese è durata 100 metri, dopodiché si è aperto un buco. Non appena Pogi si è accorto di aver staccato (seppur di poco) il rivale, ha rinforzato l'andatura provando ad ampliare il gap. Vingegaard, con un fuorigiri da emicrania, è riuscito tuttavia a limitare i danni, se non proprio parare il colpo.

E dopo aver avuto 12-15" di distacco (stima a occhio) ai -500, ha recuperato qualcosa negli ultimi, durissimi metri, chiudendo a 8" dal divino Tadej; poi la solita voragine, con Simon Yates e Pidcock giunti a 51" da Pogacar, Rodríguez a 1', Adam Yates a 1'07" e Hindley a 1'14". Oltre due minuti da Pogacar li hanno persi i Groupama-FDJ, con David Gaudu scortato da Thibaut Pinot; ancor più indietro Romain Bardet (DSM).

In classifica, per quanto riguarda le prime 6 posizioni, cambiano solo i distacchi: Pogacar si avvicina a 17" da Vingegaard, Hindley è a 2'40" dal danese, seguito da Rodríguez a 4'22", Adam a 4'39" e Simon a 4'44". Interessante salto in avanti di Pidcock, ora settimo a scapito di Gaudu e Bardet, quest'ultimo superato pure da Kuss e scivolato al decimo posto. Dieci posizioni guadagnate da Berthet e Woods, ora 21esimo e 22esimo; il peggiore di giornata nella prima tranche di classifica è Ben O'Connor (AG2R), che crolla dall'11esima alla 18esima posizione.

Domani si riposa e il Tour de France 2023 ripartirà martedì con la decima tappa, Vulcania-Issoire di 167.2 km, tutta un saliscendi sempre nella zona del Puy de Dôme, frazione destinata a un'altra fuga corposa. Chissà se nel finale ci sarà anche qualche movimento di classifica, o se addirittura qualcuno tenterà di piazzare qualche imboscata (il terreno eventualmente ci sarebbe pure): avremo tempo per pensarci.

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Giornalista in prova, ciclista mai sbocciato, musicista mancato, comunista disperato. Per il resto, tutto ok!