Fantini, la stazione di F ssacesia (senza la O) e un Novecento che ci resta cucito addosso
Il Giro d'Italia 2023 parte oggi dalla località che diede i natali ad Alessandro (o Sandrino), soprannominato Il Tamburino di Fossacesia e morto tragicamente in Germania a soli 29 anni. Una storia di ciclismo, terra, appartenenza
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti“
Cesare Pavese, La luna e i falò
Finito il mercato, la piazza di Borgo Vittoria (Torino) è una distesa semi-organizzata di cassette di legno e cumuli di frutta e verdura andata a male, tra i quali poche donne con passo lento e gesti stanchi frugano alla ricerca di qualcosa ancora di commestibile; poco prima che i piccioni e le camionette dell’AMIAT rendano la piazza lavata e lucida. In queste prime ore pomeridiane la luce è forte, accecante, io e Nicola inondati dal sole attraversiamo lo spiazzo e con passo svelto raggiungiamo le Cantine Vittoria, storica Piola del borgo omonimo.
È una delle ultime autentiche Piole della città, osterie e vinerie popolari tipiche di una regal Torino, “incoronata di vittoria” “nel festante coro de le grandi Alpi”. I versi del Carducci stridono come freni in discesa in questo storico e grande quartiere di periferia, sito tra la “cerulea” Dora e la Stura. L’atmosfera ci è familiare, con le sue tovaglie a quadretti ed il vino mesciato in piccole caraffe color rame; è tardi, ma facciamo ancora in tempo ad occupare un tavolo appena liberato.
Nicola Stante è un amico abruzzese, gli ho chiesto di pranzare assieme e di parlarmi del suo paese, Fossacesia. A molti sarà suonato strano quel nome, quando è stata annunciata la Grande Partenza del Giro d’Italia 2023, magari con la necessità di andare a cercare nella cartina dove fosse collocato, lungo la più nota Costa dei Trabocchi.
“Il trabocco, quella grande ossatura biancastra protesa su la scogliera, forma irta e insidiosa in agguato perpetuo, pareva sovente contrastare la benignità della solitudine. Ai meriggi torridi e ai tramonti prendeva talora aspetti formidabili” (Gabriele D’Annunzio, “Trionfo della Morte”).
I trabocchi, gli ulivi, il mare e la bellezza dell’Abbazia di San Giovanni in Venere sono la cornice della prima tappa del Giro, la cartolina che questo piccolo paese abruzzese regala al mondo. Fossacesia è conosciuta agli storici del ciclismo ed ai vecchi appassionati per aver dato i natali il primo gennaio del 1932 ad Alessandro Fantini. Fantini, soprannominato il Tamburino di Fossacesia, fu corridore professionista dal 1954 al 1961, quasi sempre con la maglia grigio-azzurra dell’Atala-Pirelli, vincitore di sette tappe al Giro d’Italia e due al Tour de France.
Ancor più noto per un suo secondo posto nella celebre tappa da tregenda del Monte Bondone dell’8 giugno 1956, che vide trionfare il lussemburghese Charly Gaul. I cinegiornali dell’epoca raccontarono così la sua impresa: “Secondo giunge Fantini, che tra le nevi del Bondone ha trovato tutto il suo orgoglio”. A rendere ancora più epica quella giornata di un giugno glaciale fu il terzo posto di Fiorenzo Magni con una clavicola fratturata e il fatto che sopravvissero in corsa solo 41 degli 86 partenti la mattina da Merano.
A soli 29 anni il corridore abruzzese perse la vita. Il 5 maggio 1961 il fossacesiano cadde in un arrivo in volata del Giro di Germania, a Treviri, la città che lo stesso giorno del 1818 dette i natali a Karl Marx.
Nicola Stante conosce molto bene la storia di Fantini, egli è autore ed interprete di un monologo teatrale, “Il sorriso del ciclista”, dedicato al suo famoso compaesano. Addirittura mi spiega che Sandrino, come amichevolmente era chiamato il corridore abruzzese, è un suo lontano cugino da parte di madre, che infatti porta lo stesso cognome del corridore. Nicola è un tecnico di Neurofisiopatologia ora in pensione, con cui ho avuto la fortuna di lavorare, attore e drammaturgo, cantante e cantautore, poeta, e un ottimo compagno a tavola.
Ci facciamo portare altro vino, i ravioli del plin e i maltagliati con fagioli hanno assorbito la prima caraffa, una barbera d’Asti che accompagna bene i racconti su Fossacesia. Mi spiega che attorno al ciclista abruzzese ruotano “storie che fanno comunità”. Fantini è memoria di un tempo passato, buono non solo per un monumento, un nome di una piazza o del velodromo di Lanciano, oppure per intitolargli un gruppo sportivo ed una corsa ciclistica di livello nazionale per categoria allievi. Fantini, come lui magistralmente racconta nel suo monologo, è la cruna dell’ago da cui passano molte storie di contadini, di paesani e, se vogliamo, di un secolo.
Nicola nei suoi testi racconta il Novecento; è lui stesso il Novecento, che indossa nei suoi tratti somatici, con le sue mani da contadino prestate alle corde di una chitarra ed ai fili di un elettroencefalogramma; dice sempre che è nato in un frantoio e infatti, non a caso, ancor oggi produce un ottimo olio. La pietra del frantoio è l’asse su cui è costruita la sua casa a Fossacesia, la sua storia personale, come il talamo di Ulisse a Itaca (l’albero attorno al quale è stata costruita la reggia di Odisseo), è vivo simbolo, come lui stesso spesso racconta, del ciclo della vita.
La padrona della Piola porta a tavola biscotti di pastafrolla ripieni di fichi, simili ai Cellipieni di Fossacesia, i quali però hanno la marmellata d’uva al loro interno. Il vino inizia a fare effetto, i discorsi inesorabilmente scivolano sul tempo ciclico contadino, un tempo di fatica e di storie, dove la parola indugia, idealizza, misura una distanza con il passato. Entrambi sentiamo la nostalgia per quel mondo, a noi più comprensibile del presente, ma anche più idealizzato, soprattutto da me che non ho una pietra sulla quale costruire la mia casa. Nicola mi appare per questo un riferimento, capace di conservare un bagaglio antico, di civiltà contadina e dal sapore del suo olio. Amo ascoltarlo.
La vita di Sandrino è stata un breve ciclo, solo 29 mietiture; un ciclo chiuso 60 anni dopo la sua morte. Nel settembre 2021, con tutti gli onori del caso, bande e cerimonie ufficiali, le ceneri di Alessandro Fantini sono state finalmente trasferite dal cimiterio di Brescia alla tomba di famiglia nel piccolo camposanto abruzzese. Per Nicola è come se si fosse sigillato definitivamente un cerchio, che già mille altre volte si era aperto e chiuso nella vecchia stazione lungomare di Fossacesia; luogo in cui i compaesani erano soliti aspettare il campione locale quando tornava dalle corse e salutarlo, augurandogli il successo, quando partiva; assieme immaginiamo la felicità e l’orgoglio di quella gente di fatica, i cafoni di Silone, con in mano la Voce di Fossacesia, piena di cronache e foto dei trionfi del Tamburino.
Partenze e ritorni, come cicli di tanti emigrati come Nicola. Lui ha saputo trovare le sue radici anche a Torino, riconoscersi nelle righe de La Malora di Beppe Fenoglio e nel buon vino di una Piola, senza mai perdere o tradire il legame con il proprio paese, ma arricchendolo di affinità elettive.
Oggi la vecchia stazione di Fossacesia è in disuso, la linea dei treni e la nuova fermata sono stati spostati più all’interno ed al posto dei tristi fiori ed erba di scarpata ferroviaria c’è la ciclabile che ospita la crono di apertura del Giro d’Italia. Sul muro i segni inesorabili del tempo ed un cartello, F SSACESIA; una lettera è una memoria mancante, guarda caso proprio tonda come un frantoio, un vuoto che evidenzia una profondità.
Usciamo dalla Piola, il nostro passo è stato rallentato dal vino, dalla storia di Fantini e della sua gente, dalla consapevolezza che un paese ci vuole e che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. La piazza del mercato è pulita, un sottile strato d’acqua come olio riflette le mura della chiesa di Nostra Signora della Salute, sacrale come la pietra di un frantoio, ha atteso quel momento per farsi notare ed invitarci in questo assolato pomeriggio a godere della sua ombra.