Il figlio della Redoute
Il fantastico Philippe Gilbert ha chiuso col ciclismo pedalato dopo l'ultima stagione. Di lui restano le grandi imprese nelle classiche, un rimpianto chiamato Sanremo e un marchio indelebile nella Liegi, sulle strade (e le salite) di casa
Appena lasciata Remouchamps, la strada s'inerpica verso la collina. A lato, dopo qualche centinaio di metri, l'autostrada A26 corre vicinissima all'ambientazione agreste che si fa sempre più pronunciata, nel mentre le automobili puntano decise verso Liegi. Oltre due secoli fa, proprio su quelle colline valloni, l'esercito francese inflisse una significativa sconfitta a quello austriaco in quella che venne conosciuta come Battaglia di Sprimont. Proprio gli austriaci, verso il culmine della collina, avevano costruito una piccola fortificazione militare, destinata a consacrare per sempre quei luoghi: la Redoute.
Sarà forse anche per quel passato fatto di battaglie e durezze che l'ascesa si fa sempre più aspra, fino a raggiungere pendenze prossime al 20%. La Côte de La Redoute però è questa, prendere o lasciare. Baluardo fiero sulla vecchia strada per Liegi, in cui nel giorno della Doyenne dapprima si zompetta per poi cominciare una danza lenta, che a poco a poco cresce, fino a raggiungere una sorta di potere incantatore, capace di narcotizzare in maniera letale chi non si mostra sufficientemente audace.
Vivere e crescere al cospetto di una tale salita costringe, in un modo o nell'altro, a carpirne segreti, insidie, persino umori. Vivere a Remouchamps, al cospetto della Redoute, significa consacrarsi alla Doyenne. Alla sua leggenda. A quell'essenza ciclistica intrisa d'orgoglio tutto vallone. Ecco perché per capire Philippe Gilbert e riavvolgere interamente il nastro della sua carriera occorre partire da lì. Dai piedi della Redoute per gettarsi in quella strana apnea ascendente, che punta decisa verso un cielo di gloria, lo stesso che sovrasta Liegi in certe domeniche di fine aprile.
Ce lo ricordiamo quel giovanotto, che al suo apparire tra i professionisti in maglia Française des Jeux apprendeva e provava a dare qualche colpetto, tirando una volata a Bradley McGee o Bernhard Eisel o buttandosi in prima persona nella mischia. Ogni cosa al giusto tempo, ché se sei figlio della Redoute impari presto ad affilare la tua lama per poi farne un'arma micidiale. Uno scatto che con costanza ed efficacia sempre maggiore è finito per diventare "Lo Scatto". Quello che sulle pendenze secche e brevi si traduceva in un qualcosa di mortifero e difficilmente contrastabile quantunque gli avversari ne conoscessero la pericolosità.
Allora pensi a Gilbert come a Garrincha quando partiva con la sua classica finta per disorientare i difensori avversari per poi arrivare al cross o alla rete in prima persona. Così ha saputo fare Philippe, che alla Parigi-Tours, nel meraviglioso e per certi versi surreale traguardo sull'Avenue du Grammont, seppe diventare il "Vallone aerostatico" (in ossequio ad uno dei titoli più simpatici e originali mai prodotti su queste pagine).
Partiva da lì l'epopea del nuovo "Filippo il Bello", capace di dominare e farsi apprezzare nel nostro paese con i memorabili trionfi al Lombardia, con quello che ad Anagni più che uno schiaffo sembrò un autentico sberlone generato dal talento, riproposto più avanti al Giro tanto a Monte Berico quanto a Verbania. Che ha eletto l'Amstel Gold Race e il dolcissimo Cauberg come riserva di caccia ideale, fino ad elevarlo alla magnificenza dell'iride.
Tutto però ha acquistato un senso sublime in quella domenica del 2011, in cui Gilbert si ritrovò con la scomoda compagnia dei fratelli Schleck e con loro finì per giocare al gatto col topo in virtù di una superiorità indiscutibile. La settimana santa e perfetta per il figlio della Redoute, primo in cima ad Ans dopo aver fatto proprie Amstel e Freccia, come solamente Davide Rebellin (or malinconico canto) aveva saputo fare. Il Trittico delle Ardenne, la perfezione, la personale onnipotenza: avere il Belgio ai propri piedi, mettendo d'accordo valloni e fiamminghi, è il massimo a cui si possa aspirare ed è proprio per questo che, in quella parte di carriera che volgeva lentamente al tramonto, gli ultimi fulgidi e meravigliosi sprazzi di luce siano stati scolpiti sulle pietre. Del Fiandre prima, della Roubaix poi ma con quella magica carica d'incoscienza che contraddistingue gli artisti più estrosi.
Non sarebbe storia umana senza una nemesi, senza quel luogo e quella corsa capace di frapporsi sul cammino della perfezione: la Milano-Sanremo, amata ed odiata dagli appassionati, che mai sconti ha voluto fare ad alcuno, con quella sua scontata imprevedibilità che a cadenza regolare si ripete e che sa dimostrarsi parecchio insensibile, sia che ti chiami Philippe Gilbert oppure Peter Sagan. Resterà un eterno rimpianto o forse un sorriso beffardo come un allungo sul Poggio male accompagnato dalla sorte o dal poco altrui coraggio.
Il 24 aprile 2022, per l'ultima volta, Philippe ha preso la strada di Liegi acclamato da quella folla che l'ha costantemente amato. Con le macchine ferme a lato dell'autostrada per omaggiare la sacralità della Doyenne. La Redoute era tutto un grido e un nome impresso sull'asfalto. Poco dopo, al culmine della salita, sul falsopiano una scheggia impazzita è fuoriuscita per dar vita ad uno dei più bei voli delle ultime stagioni. Era Remco Evenepoel che partiva in quello che è già divenuto il suo marchio di fabbrica e che già disegna una nuova era. Il tutto mentre Philippe sorrideva grato e rinfrancato nei confronti di chi ancora una volta lo incitava, veleggiando nella quarantesima primavera. Figli della Redoute si nasce, fuoriclasse si diventa: non esiste regola più semplice, salendo già verso la collina.