DesoLanda, quando il Giro è una disdetta
Il talento basco e il ciclico appuntamento con la sorte avversa
Il Blockhaus è una salita dalla bellezza e dalla durezza micidiale. Nei giorni più tersi dalla vetta è possibile spaziare fino al Gargano e alle Isole Tremiti, forse addirittura scorgere qualche isola croata. Simil bellezza va conquistata con la giusta dose di fatica e sofferenza, perché proprio al cospetto della Majella si sono gettate spesso le basi per il successo finale del Giro d’Italia. Qui ha scritto il primo capitolo di una storia leggendaria nella corsa rosa Eddy Merckx, qui ieri Nairo Quintana si è librato come un condor andino per donare agli occhi dell’osservatore tutta l’essenza dello scalatore di razza.
In tanti aspettavano dal secondo arrivo in salita di questo Giro numero 100 le prime autorevoli risposte sul proprio destino, dove passare da grande e ambizioso protagonista a comparsa è un attimo. Già, il destino. Quando vuol metterci lo zampino sa essere cinico e spietato come pochi. Più di una rampa al 15%, di quelle che in cui verrebbe tanta voglia di voltare al bivio appena fuori Roccamorice per dirigersi verso lo spettacolare Eremo di Santo Spirito scolpito nella roccia e votarsi a tutti i santi possibili. Lì però dove le corazze dell’animo non vengono scalfite dalle dure pendenze, può subentrare il fato beffardo, sottoforma di motocicletta della Polizia Stradale mal collocata sulla carreggiata e centrata da Wilco Kelderman, scatenando il prevedibile domino che ha mandato a terra una decina di questi corridori.
La Sky, coinvolta quasi in toto, è apparsa subito come la formazione maggiormente bersagliata, con gli occhi rivolti principalmente su Geraint Thomas, giunto a questo Giro con grandi ambizioni di podio e rialzatosi dolorante per tentare una disperata rimonta. Quasi in secondo piano è invece passata l’immagine sofferente di Mikel Landa, la seconda punta, la solita variabile impazzita da cui puoi aspettarti di tutto. Mentre Thomas cercava d’inseguire furioso, il basco iniziava a scivolare inesorabilmente nelle retrovie, godendo del breve conforto di qualche compagno prima di abbandonarsi, sconsolato e nel dolore psicofisico, alla legge del Blockhaus duro come la pietra, superato da decine di corridori fino alla condivisione del calvario del gruppetto, terminato dopo quasi 27 minuti di ascesa cruenta e inesorabile. Ancora una volta questo Giro non è cosa, caro Mikel. La familiarità ciclistica con la legge di Murphy sembra essere sempre più assodata.
Mikel Landa, talento discontinuo e sventurato
Eppure solamente ventiquattro ore prima Landa aveva regalato a pubblico e addetti ai lavori un antipasto fantasioso di ciò che sarebbe potuto essere la prima giornata campale verso il Blockhaus. Uno zampellotto, nulla di più, prima di planare verso Peschici ed ecco che il gruppo era stato chiamato a reagire per evitare una sorpresa ben riuscita. Perché se di Thomas possibile spauracchio si è tanto detto e tanto si è scritto, un Mikel Landa pimpante e in ottima forma poteva costituire una delle variabili più interessanti di questa corsa, oltre a costituire una nuova importante possibilità di valere i gradi di capitano di uno dei team più forti e meglio attrezzati al mondo.
Del resto le grandi qualità dell’atleta basco sono note da tempo, fin dai tempi della Euskaltel, dove mostrò i primi notevoli sprazzi di talento a cui spesso non si accompagnavano quella continuità e spirito di sacrificio necessari per diventare un vero e proprio top rider. Più che un novello Contador o Joaquim Rodríguez, per citare i maggiori protagonisti spagnoli delle gare a tappe degli ultimi anni, Landa sembrava destinato a seguire la parabola di Roberto Laiseka, scalatore irresistibile in certe giornate ma capace anche di cotte clamorose. O forse di Iban Mayo, dotato di un talento anche superiore ma troppo spesso rallentato da inconvenienti fisici che ne finirono per minare anche la tenuta psicologica (senza addentrarsi nelle problematiche con l’antidoping sopraggiunte in seguito).
L’approdo in Astana nel 2014 e le prime convincenti prestazioni al servizio della squadra sembravano per lui costituire una nuova dimensione, prima che il 2015 rappresentasse un nuovo e decisivo spartiacque per lui: nel Giro d’Italia di quell’anno l’attesa era tutta per Fabio Aru, chiamato a contrastare la classe del “vecchio” leone Contador. Strada facendo però Mikel finì col mostrare una gamba sempre più convincente. Prima Madonna di Campiglio, poi Aprica dopo aver scalato il Mortirolo e dove Aru rischiò seriamente la deriva ed ecco che il basco sembrò poter essere giunto all’occasione della vita. Non possiamo sapere se le cose realmente avrebbero preso una piega diversa ma quell’ascesa verso il Sestriere, con Contador che sorprendentemente sembrava destinato a naufragare e con Landa richiamato agli ordini di scuderia per non delegittimare Aru resta ancora oggi l’immagine dell’occasione della vita vista sfuggirsi inesorabilmente davanti. Non consolò fino in fondo il podio conquistato proprio assieme a Fabio ma alle spalle di Contador. Né una Vuelta corsa da ottimo protagonista come leale scudiero di Aru, condotto alla vittoria e con il premio di un successo di tappa, bastò a togliere dalla testa l’idea di aver visto scappar via il treno buono.
Quali prospettive ora in questa Sky?
Inevitabilmente il Giro d’Italia 2015 qualche strascico doveva pur lasciarlo e così l’occasione della Sky afferrata, questa sì, al volo sembrava essere la grande occasione per poter avere un’opportunità tutta per sé. Non prima però di un inverno contrassegnato da alcuni malanni che ne hanno ritardato l’avvio della preparazione per la stagione 2016. Superati questi però, soprattutto la vittoria al Giro del Trentino sembrava lanciarlo al meglio verso una nuova corsa rosa da assoluto protagonista. Poi la febbre e i dolori di stomaco, la luce che si spegne improvvisamente sul Passo della Collina, ben lungi da Sestola (traguardo della decima frazione), i minuti che scorrevano, il morale che andava sotto i tacchi. Giù dalla bici e su in ammiraglia, in un’immagine di malinconica resa e arrivederci a tutti.
Il successivo Tour de France vissuto come gregario di Chris Froome (con alterne prestazioni) sembrava riproporre il dilemma: questo Landa può davvero sostenere un grande giro in qualità di capitano o sembra destinato ad un prosieguo da gregario di lusso? Il centesimo Giro d’Italia sembrava il banco di prova ideale per provare a dirimere nuovamente la questione, con risposte che fino a ieri si erano mostrate convincenti e in grado di costituire una variabile tattica non del tutto toccata dalla pressione a cui invece era chiamato Geraint Thomas. Invece il nuovo inghippo ha lasciato ancora una volta in sospeso il conto.
Lo rivedremo forse di nuovo al Tour, il buon Mikel, pronto a spendersi nuovamente alla causa di Froome. Magari lo vedremo alla Vuelta, tra la sua gente a vedersi concessa un’altra possibilità, da condividere magari alla pari con Sergio Henao, tanto per citarne uno. Adesso ci resta solamente una divisa sbrindellata di colore nero. Come l’umore di Mikel, a cui vien concesso di primeggiare ancora solamente nella sventura.