Champions: facciamola a eliminazione diretta, facciamola per nazionali
La competizione creata lo scorso anno dall'UCI ha delle potenzialità e sicuramente le intenzioni sono le migliori. Ma la sensazione è che manchi qualcosa, quel qualcosa che alla lunga potrebbe farla implodere
Che cosa ci lascia la seconda edizione della Champions League su pista, consumatasi attraverso cinque tappe nelle ultime quattro settimane? Di sicuro l'entusiasmo di una manifestazione in cui i corridori che partecipano sono coccolati, esaltati, premiati bene (con un montepremi di mezzo milione di euro, equamente diviso tra uomini e donne, vorremmo vedere…), degnati di una notevole attenzione mediatica attraverso cui si vede chiaramente la volontà costruttiva, da parte degli organizzatori (l'UCI insieme a Discovery+), nei confronti di un progetto che si vuole sviluppare nel corso del tempo, basando la crescita del medesimo sulla creazione di personaggi in grado di catalizzare la passione del pubblico.
Che poi è una delle due cose che di fatto mancano: per esempio, possiamo parlare a profusione della sfida tra Harrie Lavreysen e Matthew Richardson (e l'abbiamo fatto), ma ci rivolgeremo sempre a una supernicchia anche all'interno dello stesso pubblico del ciclismo (non parliamo poi di quello generalista, per il quale già “ciclismo su pista” equivale a un morfema che si situa dalle parti dell'aramaico antico). È inutile dire che - almeno al momento attuale - l'unica via per dare risalto e luce alle varie discipline a due ruote è il coinvolgimento degli stradisti. Accade nel cross con Van der Poel e Van Aert, i quali proprio partendo dai tracciati fangosi e andando a dominare anche su strada hanno conquistato una celebrità a 360° e non solo in Belgio e Olanda, per cui oggi fungono da grande richiamo quando tornano al loro primo amore; accade in misura decisamente minore nella pista (per l'Italia basta fare un nome: Filippo Ganna), e non sarà la Champions League per come l'abbiamo fin qui conosciuta a colmare questo gap.
Una rassegna in cui, peraltro, non si contano le assenze di grido già tra i pistard stessi. Discovery impiegherà meno tempo a creare dei personaggi a tutto tondo, mediaticamente appetibili, o a ritirare la sponsorizzazione nel momento in cui dovesse prendere coscienza che per avere un reale ritorno ci vogliono più anni del previsto?
La seconda cosa che manca alla manifestazione varata nel 2022 dall'UCI è una formula ancora più coinvolgente. Si è deciso di puntare su sole quattro specialità, la Velocità individuale, il Keirin, lo Scratch e l'Eliminazione, scegliendo - tra tutte - quelle più semplici e immediate, allo scopo di avvicinare un pubblico di neofiti il quale può essere respinto (e lo è, è inutile negarlo) da gare appena più complesse come potrebbero essere una Corsa a punti o una Madison.
Però, tanto per cominciare, il giochino rischia di diventare alla lunga un po' ripetitivo, e se in un'edizione ti manca la sfida all'ultimo centimetro (come è stata in questa la lotta tra Richardson e Lavreysen) anche i contenuti tecnici risultano rivedibili. In secondo luogo, se la ratio è la semplificazione, bisogna dire che un sistema basato su una challenge a punti non è il più immediato possibile. Se è un pubblico nuovo quello a cui puntiamo, siamo sicuri che tale pubblico riesca a seguire (e quindi ad appassionarsi a) una classifica in rapida evoluzione, che memorizzi i punteggi, che si ricordi da una settimana all'altra chi era in testa, quanti punti di vantaggio aveva, quali erano i suoi più vicini contendenti (il tutto moltiplicato per quattro categorie, due maschili e due femminili)? Dubbio.
In queste settimane abbiamo riflettuto non poco su questi aspetti, e siamo giunti alla conclusione che, in mancanza di nomi di fortissimo richiamo popolare, ciò che potrebbe attrarre maggiori attenzioni sarebbe una sfida tra nazionali, più che tra singoli ciclisti. Di concerto con tale concetto, una formula a eliminazione diretta creerebbe di sicuro una più facile empatia nello spettatore.
Mettiamola così: gli ottavi di finale ce li giochiamo allo Scratch, accoppiamo 16 partecipanti di 16 diverse nazioni a due a due, quello dei due che arriva prima del diretto concorrente all'interno della gara qualifica la propria nazione ai quarti.
Quarti di finale, Keirin: le otto nazioni qualificate dagli ottavi vengono riaccoppiate per sorteggio, la gara si svolge attraverso batterie da quattro corridori ciascuna. Le prime due batterie vedono fronteggiarsi le otto squadre eliminate agli ottavi (a loro volta accoppiate a due a due), che proseguono così il percorso di classificazione che le porterà, a fine torneo, ad avere ciascuna il proprio piazzamento dal nono al 16esimo posto; le ultime due batterie contengono le sfide tra le otto nazioni qualificate dagli ottavi, sempre accoppiate a due a due. Emergeranno quattro squadre vincitrici dei testa a testa (chi nella batteria si classifica prima del diretto concorrente qualifica la propria nazionale alla semifinale).
Semifinale, l'Eliminazione: le squadre gareggiano tutte insieme, ma sempre accoppiate a due a due in base ai risultati del turno precedente. I due vincitori dei due accoppiamenti principali (contenenti i quattro team vincitori dei quarti) vanno alla finale.
Finale, la Velocità individuale: procedendo dal basso della classifica emersa dai testa a testa precedenti, avremo due nazionali che si sfideranno per il 15esimo posto, due che lotteranno per il 13esimo, due per l'11esimo e così via fino alla gara per il primo posto, una vera e propria finalissima. Il tutto potrà essere naturalmente spalmato su più tappe, comprendendo nel giochino un paio di turni di qualificazione per arrivare alle 16 nazionali destinate a disputarsi il titolo nell'ultima serata.
A spiegarlo sembra complicato, ma garantiamo sulla realizzabilità della cosa. Appena David Lappartient leggerà quest'articolo e ci contatterà, saremo ben lieti di mettere la nostra esperienza al servizio di una manifestazione che merita di spiccare il volo e non di restare un po' fine a se stessa, come purtroppo pare essere al momento.
(Naturalmente prendete, cari lettori, l'ultima parte di questo articolo come un divertissement; però la sostanza c'è: sarebbe un gran peccato che, nel medio termine, la Champions League finisse con l'assumere i contorni di una manifestazione contenente più fumo che arrosto, perché a quel punto l'implosione sarebbe un rischio tangibile, e non vorremmo scoprire che l'aver sacrificato la vecchia - e migliorabilissima, ci mancherebbe - Coppa del Mondo a questa kermesse sia stato un capolavoro di autolesionismo).