Un'immagine aerea dell'arrivo di Caorle © Giro d'Italia
L'Artiglio di Gaviglio

E se RCS si unisse a Flanders Classics?

Ritiri in massa e tagli alle tappe più dure che si ripetono ogni anno: il Giro è politicamente debole? E allora perché non pensare ad una partnership col colosso belga per farsi ascoltare da UCI e gruppi sportivi?

25.05.2023 20:35

Ora che, finalmente, il Giro è entrato nel vivo con le tappe di alta montagna che decreteranno il vincitore di questa edizione, le polemiche della scorsa settimana – dai ritiri in massa per Covid, Evenepoel in testa, al taglio del Gran San Bernardo – restano sullo sfondo. Ma, onde evitare di ritrovarci, fra un anno, puntualmente alle prese con l'ennesimo psicodramma, sarebbe il caso lavorare sui punti centrali che minano la credibilità della corsa rosa: criticità organizzative e peso politico di RCS Sport. E prescindendo, per una volta, da qualsiasi valutazione su Mauro Vegni: del direttore di corsa – anche in questa stessa rubrica – si è infatti già ampiamente scritto, criticandolo, sì, ma chiarendo anche come non lo si possa certo ritenere l’unico responsabile di tutti i guai occorsi negli ultimi anni.

È infatti ad un livello ancora più alto che si gioca lo status del Giro d'Italia nel lungo periodo. Ed è, appunto, il piano politico. Troppo spesso, infatti, si è avuta l'impressione dello scarso peso di RCS Sport all'interno del sistema ciclismo: ne sono prova, in primis, la difficoltà ad ottenere quello slittamento del Giro di un paio di settimane in avanti nel calendario, che risolverebbe molti dei problemi legati al maltempo; oppure la leggerezza con cui le squadre annunciano il ritiro dei propri atleti dalla corsa rosa (ed il caso Evenepoel, in questo senso, è paradigmatico: qui non si discutono le ragioni mediche che hanno portato allo stop di un corridore positivo al Covid–19, ma la sua tempistica ed il mancato preavviso dato agli organizzatori quando, invece, le squadre rivali erano state opportunamente avvisate dalla Soudal-Quick Step) o le critiche frontali alla direzione, troppo spesso tirata in ballo dai gruppi sportivi o dalla stessa UCI che, per restare a questa edizione, ha emesso un comunicato insolitamente duro per stigmatizzare il trasferimento in elicottero sfruttato da Soudal, Bahrain e Bora per i propri corridori al termine della tappa del Gran Sasso. Cosa già vista, in passato, sia sulle strade del Giro che su quelle del Tour, senza che Aigle tirasse altrettanto platealmente per la giacchetta i proprietari della Grande Boucle, e cioè la Amaury Sport Organisation.

Già, ASO: c'è chi dice che il bene del Giro potrebbe passare per un suo ingresso nella società francese o chi, addirittura, paventa un complotto finalizzato a questo scopo. Naturalmente non esiste nessuna trama segreta ma, sul lungo termine, chi se la sente di escludere che, un giorno, Jean-Étienne Amaury non alzi il telefono per chiedere davvero ad Urbano Cairo di fissare un prezzo per le corse Gazzetta? In fondo, non è già successa la stessa cosa per la Vuelta a España e la Volta a Catalunya? Ecco, di fronte alle difficoltà attuali di RCS Sport, questo è uno scenario tutt'altro che improbabile, ma assolutamente da evitare. Perché nel momento in cui chi già organizza il Tour e la Vuelta entrasse in possesso anche del Giro non ci sarebbero più ostacoli alla riduzione a 18 tappe, se non addirittura a due settimane, della corsa spagnola e di quella italiana. Con la Vuelta abbiamo già avuto un assaggio nell'eccezionale calendario 2020 segnato dalla pandemia, ed è un progetto a cui l'UCI aspira da anni, per liberare giorni di gara da destinare, magari, a nuove corse in giro per il mondo. Ma è ovvio che ASO non depotenzierà mai la corsa iberica fino a quando non potrà disporre anche del Giro e lasciare, così, che solo il Tour possa fregiarsi del rango di grande gara a tappe di tre settimane.

E dunque è fondamentale che il Giro non finisca mai sotto l'ombrello ASO. D'altra parte, RCS Sport avrebbe bisogno di un partner per controbilanciare l'influenza della società transalpina. E allora, perché non pensare ad una partnership con Flanders ClassicsIl colosso belga è l'altro grande attore del ciclismo internazionale e potrebbe avere interessi complementari a quelli della società milanese. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità della vendita centralizzata dei diritti tv per un portafoglio gare di valore assoluto che, a quel punto, annovererebbe da una parte Giro d'Italia, Milano-Sanremo, Lombardia, Strade Bianche, Tirreno-Adriatico, Giro del Piemonte e Milano-Torino; dall'altra, Giro delle Fiandre, Gand-Wevelgem, Omloop Het Nieuwsblad, Dwars door Vlaanderen, Scheldeprijs e Freccia del Brabante.

Immaginiamo che il mercato italiano, in particolare, possa fare molto gola a Flanders Classics, dal momento che, ad oggi, solo la Ronde viene trasmessa in chiaro. Ma non solo: la società belga è infatti protagonista anche nel ciclocross, di cui organizza i due massimi circuiti internazionali – la Coppa del Mondo, compresa la tappa italiana in Val di Sole, ed il Superprestige – e nel gravel, con eventi capaci di richiamare migliaia di appassionati a Heuvelland, Oudenaarde, Bilzen e Durbuy. Ebbene, proprio il fuoristrada è ad oggi, anche in Italia, il settore in maggior espansione e, soprattutto, quello in cui è più facile monetizzare la passione degli appassionati, per cui un'eventuale serie di eventi targati Flanders Classics-RCS Sport avrebbe ottime possibilità di successo. Le economie di scala per entrambe le parti in causa sarebbero evidenti, ma quel che più ci interessa, tornando alle premesse da cui eravamo partiti, sarebbe appunto il risultato di rafforzare il ruolo del Giro d’Italia nel panorama internazionale. In barba al meteo e ai tamponi, alle frane e alle cadute, e soprattutto lontano dall’ombra ingombrante del Tour de France.

Sviscerato quello che rimane l’aspetto più importante, vale comunque la pena tornare su un punto che continuerà ad essere di competenza della direzione sportiva, sia che essa competa ancora a Vegni, sia che il testimone passi ad altri già nel futuro prossimo: la credibilità del Giro passa necessariamente per la certezza del suo percorso o, comunque, per la salvaguardia del suo tasso tecnico. Che non può essere stravolto con il taglio, dalla sera alla mattina, delle salite più importanti ed attese. Che a maggio, in Italia, possa fare freddo, piovere o addirittura nevicare ad alta quota, è ormai un fatto assodato, per cui la questione va affrontata nella sua sistematicità e non più secondo una logica emergenziale. Così come la tutela della salute dei corridori non può più essere sacrificata allo spettacolo nel nome della stucchevole retorica dei "forzati della strada" che, costantemente, ripropone il non più accettabile paragone tra i “ciclisti viziati” di oggi e gli eroi che, nei bei tempi andati, scalavano Bondone e Gavia sotto tormente di neve. I tempi, fortunatamente, sono cambiati e, con essi, è maturata una nuova consapevolezza del corridore inteso come lavoratore professionista che, in quanto tale, ha dei diritti non più comprimibili per il solo sollazzo del pubblico (nemmeno pagante, peraltro, nel ciclismo).

Dunque, che fare per tenere insieme capra e cavoli? Non ci stancheremo mai di ripeterlo: la soluzione è una soltanto, e passa per la definizione di piani B presentati contestualmente al percorso del Giro, per quelle due o tre tappe di ogni edizione a maggior rischio. Piani B definiti per tempo con gli enti locali interessati e le autorità responsabili del traffico stradale ed aereo, ai quali passare con un congruo preavviso non appena la tappa originale risulti a rischio per qualsiasi motivo, al fine di prevedere percorsi anche radicalmente diversi che ne mantengano le caratteristiche tecniche: per capirci, una tappa di tre colli e 200 km non dovrà mai più essere ridotta ai suoi ultimi 70–80 km, né vedere un gpm di prima categoria sostituito con uno di terza. Anche a costo di cambiare la sede d'arrivo. Ed è questo il nodo centrale, perché sono proprio i vincoli che impongono ad RCS Sport di mantenere inalterato il traguardo a partorire dei ripieghi dell'ultim'ora non all'altezza ma a quel punto inevitabili, mancando spesso una soluzione alternativa per andare da A a B, che non sia quella di passare direttamente per il fondovalle, o di bypassare in pullman i primi gpm. 

Naturalmente andranno dunque rivisti i contratti che RCS Sport, di volta in volta, stipula con le amministrazioni interessate ad ospitare un traguardo di tappa, inserendo clausole che consentano all'organizzazione di posticipare all'anno successivo tale traguardo, qualora le condizioni del meteo (o delle stesse strade, come nel caso della tanto discussa discesa dalla Croix de Coeur, poi comunque affrontata dai corridori nella 13ª tappa decurtata del Gran San Bernardo) non lo permettano nell'edizione prevista. Si dirà che, in questo modo, la Crans–Montana di turno non sarà mai disposta a pagare la stessa cifra che metterebbe sul piatto con la certezza di avere il Giro nell'anno desiderato, ed è vero, ma RCS Sport potrebbe raccogliere la differenza dai Comuni che si rendessero disponibili come traguardi alternativi per un tot di anni.

E ad ogni modo, gli avvocati della società di Urbano Cairo potrebbero sempre studiare i contratti che la FIS, la federazione mondiale degli sport invernali, stipula con le stazioni sciistiche ospitanti la Coppa del Mondo di sci alpino, dove le cancellazioni di interi weekend di gara, ed il recupero degli eventi annullati in altri resort, sono all'ordine del giorno. Perché se per lo sci, parimenti esposto ai capricci del meteo, questo non rappresenta un problema insormontabile, allora non deve esserlo nemmeno per il ciclismo e per il Giro d’Italia.

La crisi infinita del ciclismo tedesco
Zana è al settimo cielo, Pinot lo incorona: «Oggi non ero il più forte»