Jumbo-Quick Step: ma questa fusione si fa o no?
Proprio quando sembrava di sì, sono iniziate a piovere le smentite. E noi tifiamo fortissimamente per il fallimento del progetto, soprattutto pensando agli “esodati” del Wolfpack
E chi ci capisce più qualcosa? La mormorata, presunta e negli ultimi giorni data quasi per certa fusione tra le attuali Jumbo-Visma e Soudal Quick-Step assomiglia sempre di più ad una di quelle telenovele sudamericane piene di plateali colpi di scena, che rendono effettivamente imprevedibile prevederne il finale non tanto per la bravura degli sceneggiatori – anzi! – quanto per la trama confusionaria che mette a dura prova qualsiasi sforzo del pubblico di individuarne un filo logico. E così, quello che era nato come un semplice rumor senza riscontri, e che con il passare dei giorni aveva però assunto sempre più concretezza man mano che i vari tasselli andavano incasellandosi ciascuno al proprio posto, nelle ultimissime ore è stato rimesso nuovamente in discussione ancora una volta dai media olandesi, che erano stati anche i primi ad alimentare la macchina delle speculazioni.
Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo alla seconda metà di settembre, quando il sito Wielerflits ha lanciato per primo la notizia affermando che sì, la Quick Step stava effettivamente pensando di unirsi ad un altro team, e che non si trattava della INEOS, come si era vociferato già durante il Tour de France, bensì della Jumbo, tanto che una lettera di intenti tra le due parti era stata firmata proprio nei giorni della Grande Boucle. La cosa, lì per lì, era sembrata una boutade: troppo importanti e troppo consolidate, le due realtà, per pensare che potessero davvero unire le forze (o per meglio dire, le debolezze, come analizzato in questa stessa rubrica la scorsa settimana); troppi i galli da tenere assieme nello stesso pollaio; troppi i nodi contrattuali da risolvere, troppo diversi i caratteri dei protagonisti – sia in sella alla bici che dietro alla scrivania – per dare vita ad un nuovo gruppo che fosse veramente coeso e allineato sugli stessi obiettivi.
Ed invece, contro ogni aspettativa, ad un certo punto i diversi pezzi del puzzle erano sembrati andare ciascuno al proprio posto e, apparentemente, proprio nella direzione di una fusione: prima Primož Roglič che alla vigilia del Giro dell’Emilia annuncia la rescissione del contratto (ed è di oggi l’ufficializzazione del suo passaggio alla Bora-Hansgrohe); poi Patrick Lefevere che si lascia scappare che in fondo, alla soglia dei 70 anni, non gli dispiacerebbe godersi la pensione (e poveri i suoi nipotini, che si ritroverebbero tutti i giorni tra i piedi un nonno così rompiscatole!); quindi l’UCI a specificare che, comunque, la licenza World Tour lasciata vacante dalla Quick Step non verrebbe riassegnata, dando così ulteriore credito a voci sempre più insistenti; e ad un certo punto il sussurro che perfino Remco Evenepoel, dopo sei ore di riunione fiume con colui che nel caso diventerebbe il suo futuro team manager, Richard Plugge, parrebbe abbia accettato/si sia rassegnato a passare dai Lupi ai Calabroni, avendo ricevuto rassicurazioni sul fatto di poter condividere con Jonas Vingegaard i gradi di capitano al Tour dell’anno prossimo.
Dunque l’amore trionfa e vissero tutti felici, contenti e gialloneri?
Ma neanche per sogno! Perché quasi immediatamente partono i distinguo. A cominciare dalla preoccupazione per le sorti di quella ventina di corridori in uscita dalla Quick Step, ma ancora con un contratto in vigore per la prossima stagione, che non troverebbero posto nel nuovo… FrankensTeam, inteso come abnorme e non meglio definita creatura nata da un avventato e mai provato prima esperimento di laboratorio. E cosa ne sarebbe, poi, del personale al seguito? Il problema, tra gli altri, lo solleva Fabio Jakobsen: il velocista olandese lascerà comunque il Wolfpack, avendo firmato da tempo per il Team dsm-firmenich, ma giustamente rileva che «se unisci due squadre devi dividerle a metà. Perché non puoi uscire all'improvviso con dodici massaggiatori o meccanici quando normalmente ne hai sei». E dunque, che fine farebbe lo staff in esubero?
Chi penserebbe, insomma, agli esodati Quick Step? La stessa UCI, nella stessa sua comunicazione già citata pocanzi, aveva precisato anche che tutti gli obblighi contrattuali ancora in essere andrebbero rispettati e che, quindi, nessun tesserato potrebbe essere lasciato a piedi. E meno male! Ma Aigle, al massimo, potrebbe imporre alla nuova creatura il pagamento di penali che compensino i lavoratori danneggiati sul piano economico, mentre nulla sarebbe possibile a riparazione del danno sportivo: in altre parole, i corridori che rimanessero fuori dal nuovo progetto potrebbero anche continuare a percepire un indennizzo per uno o due anni, ma difficilmente troverebbero, a questo punto dell’anno, una sistemazione adeguata per la prossima stagione, con il rischio dunque di dover scendere di categoria o, peggio, di rimanere inattivi, vedendo comunque compromesse – chi in parte, chi del tutto – le prospettive di carriera a lungo termine. Per non parlare, appunto, di chi ha ancora meno potere contrattuale e meno mercato dalla sua: lo staff.
E d’altra parte, che la situazione in seno all’attuale Wolfpack sia tutt’altro che serena, lo testimoniano le dichiarazioni di Ilan Van Wilder dopo la sua vittoria alla Tre Valli Varesine: «Vogliamo solo che questa merda finisca e vogliamo continuare come Soudal Quick-Step». Più chiaro di così!
Anche perché – e questo è l’aspetto veramente paradossale – qui non si sta parlando di una squadra a rischio chiusura per mancanza di sponsor: Soudal si era unita al team di Lefevère appena all’inizio di questa stagione, e ha tutta l’intenzione di continuare a sostenerlo anche per gli anni a venire. È la controparte olandese, se mai, ad avere problemi di sopravvivenza nel medio termine, dato l’annunciato abbandono di Jumbo a fine 2024 che verrebbe compensato solo in parte dal subentro di Amazon, disponibile a mettere sul piatto appena 15 milioni di euro, cioè meno della metà di quanto garantisce l’accordo (in scadenza) con la catena di supermercati. E nonostante tutto questo, sarebbe proprio la ex Jumbo a papparsi la Soudal, mettendo le mani sulla sontuosa sponsorizzazione dell’azienda belga, sul gioiello della casa, Evenepoel, e su qualche altro valido corridore di supporto (Van Aert, ad esempio, a Babbo Natale avrebbe chiesto Yves Lampaert), lasciando che gli altri si arrangino: a ottobre inoltrato, quando la gran parte degli organici degli altri team è ormai definita e, tutt’al più, c’è posto giusto per qualche gregario con cui completare il roster.
Oggi, però, il nuovo colpo di scena: Remco Evenepoel in persona dice di essere all’oscuro di tutta la faccenda: «Non sappiamo proprio niente. So solo quello che sai tu. Al momento ci sono solo punti interrogativi. Tutto quello che possiamo fare è aspettare. E spero che vada a finire bene. Non possiamo stimare cosa ci accadrà nei prossimi dieci giorni o due settimane. C'è un'atmosfera un po' strana, un po' confusa».
Ecco, se c’è una cosa di cui siamo tutti certi, a questo punto della telenovela, in effetti è proprio la confusione generale. E non ci resta che sperare che alla fine non se ne faccia nulla. Perché altrimenti, comunque la si giri, la fusione sarebbe davvero una brutta storia: brutta per Evenepoel e Vingegaard che finirebbero con il pestarsi i piedi in più di un’occasione; brutta per il pubblico, che vedrebbe anestetizzata quella che potrebbe essere invece una rivalità esplosiva; brutta per la concorrenza che si rassegnerebbe a subire – e a questo punto chissà per quanto, dato l’innesto dei nuovi capitali provenienti da Soudal e Amazon – la supremazia tecnica dei Calabroni; e brutta, soprattutto, per tutti coloro che resterebbero con un pugno di mosche e sarebbero costretti a cercarsi, in pochissimo tempo, una soluzione di ripiego.