Lapierre, una certa idea della bicicletta
I mezzi della Groupama-FDJ rispondono per molti aspetti a un concetto di francesità ma sono aperte all'Europa tramite la collaborazione con l'Università di Eindhoven per i sempre più fondamentali studi in galleria del vento
I francesi chiamano il Tour de France fête de juillet. Ed è proprio così, una festa. Monsier le Président al seguito in una tappa, la “prise de la Bastille” e poi L'Arc de Triomphe e gli Champs-Elysées. Tutto accade nel Luglio francese.
La Grande Boucle percorre le strade secondarie per non creare troppi disagi ma soprattutto per riuscire ad attraversare i paesi più sperduti. La corsa passa in 5 minuti e poi tutto finisce ma nei villaggi l’aspettano per l’intero anno. Ogni borgo si veste a festa per ospitare il Tour. Le giostre, le orchestrine che suonano, i barbecue, i contadini che offrono da bere a tutta la carovana; e poi le coreografie, i “Vive le Tour”, i “Merci le Tour”. Qualcosa di ingenuo e spontaneo che parla di una cultura contadina molto viva, di una grande cura del territorio e di uno spiccato senso di comunità.
Gianni Mura, compianto decano dei suiveurs, amante della cultura francese e soddisfatto osservatore di quella tradizione culturale che intitolava i licei a Jacques Brel, diceva: “Il Tour non è una corsa che si svolge in Francia ma è la Francia stessa, come la voce di Edith Piaf, le Gauloises senza filtro, il pastis e la baguette. La Francia dei poeti, degli chansonniers, dei giocatori di petanque sotto i platani, dei campi di girasoli a perdita d’occhio, delle città con una luce speciale”.
Aggiungiamo che il ciclismo francese sono le tante squadre professionistiche suddivise per regioni che alimentano interesse e rivalità. Tra queste la Groupama-FDJ, la squadra fondata da i fratelli Madiot (Marc ed Yvon, ex ciclisti professionisti) nel 1997. Un team sempre nel cuore dell’azione, in cui sono passati fior di campioni. Più che una squadra una promessa nella lunga attesa, quasi beckettiana, di un vincitore francese alla Grande Boucle. Il capitano della FDJ per questo tour 2023, David Gaudu, conta di riuscire ad arrivare molto vicino al podio. Con un gioco di parole gia sentito e comunque irresistibile diciamo “aspettando Gaudu…”.
Una outsider di successo
Si dice che la storia la scrivano i vincitori ma i capitoli scritti dagli outsider hanno un loro fascino ed un sapore forse più intenso. La FDJ, partendo da non favorita, ha scritto memorabili pagine nella piccola storia delle corse su strada degli ultimi anni. Varie tappe nei tre grandi giri, un podio al tour, la Milano-Sanremo, la Parigi-Roubaix, il Giro di Lombardia. Ad accompagnare queste vittorie un partner tecnico di spiccata matrice francofona. Anch’esso un outsider di grande talento: la Lapierre Cycles.
Il marchio Lapierre ha 75 anni di vita, nasce a Dijon, la capitale della storica regione della Borgogna. Il passaggio fondamentale per lo sviluppo ad alto livello dei modelli da strada avviene nel 2002, quando Lapierre diventa partner ufficiale del Team FDJ. La partnership ha dato il grosso vantaggio di poter sviluppare costantemente i mezzi in funzione delle specifiche necessità degli atleti professionisti. Nello sviluppo del materiale riveste un importante ruolo di raccordo il responsabile delle prestazioni del team Fred Grappe, ricercatore di scienze dello sport all’Università di Besançon dove è stato creato un laboratorio di ricerca finalizzata alla performance FDJ.
Altro aspetto importante è la collaborazione, per gli imprescindibili studi sull’aerodinamica in galleria del vento, con Bert Blocken, professore belga di ingegneria alla Technische Universiteit di Eindhoven. Si è creato dunque, nel cuore dell’Europa continentale, un triangolo - Besançon-Dijon-Eindhoven - che descrive una metodologia europea per lo sviluppo della bici da strada il cui risultato sono i mezzi in dotazione agli uomini di Madiot.
Il parco macchine 2023
Nella collaborazione ormai più che ventennale Lapierre mette a disposizione modelli con caratteristiche diverse: Aircode DRS e Xelius SL3.
La prima è una bici progettata per i velocisti e le gare di pianura. I progettisti si sono concentrati più su aerodinamica, rigidità e reattività. È stata il modello prediletto di Arnaud Démare e del suo treno nelle spettacolari volate a cui ci avevano abituati. Interessante sarà vedere se lo sviluppo di questo modello si fermerà qui sia per gli orientamenti più recenti che danno meno peso ai modelli esclusivamente aero sia per le scelte strategiche del team che ha smantellato il treno e lasciato libero Arnaud.
Nelle ultime versioni la Xelius SL3 è diventata sempre più una bici all-round. A caratterizzare la nuova versione è la forma ancora più marcata del carro posteriore. I pendenti superiori del carro oltrepassano il tubo piantone senza entrarvi in contatto e si innestano al tubo orizzontale. A dire di Lapierre questa scelta determina una distribuzione ottimale delle vibrazioni che provengono dal basso, facilita le fasi di rilancio ed alleggerisce il telaio.
Una nuova metodologia di laminazione del carbonio ottimizza il rapporto peso/rigidità. Il telaio grezzo nella misura “M” si avvicina molto alla soglia dei 700 g e nel contempo la rigidità torsionale è aumentata.
Aerostorm DRS (TT) è il modello utilizzato dal team nelle prove contro il tempo. Tutto ruota intorno alla massimizzazione dell’aerodinamica. Freni a disco idraulici perfettamente integrati nel telaio; il baricentro basso; la parte anteriore rivista ed un nuovo manubrio in carbonio, con un profilo alare che aiuta a tagliare meglio l’aria.
Simbiosi tra ciclista e bicicletta
In un’intervista Bert Blocken, il professore belga alla dell’università di Eindhoven, parla del lavoro fatto dal suo dipartimento in collaborazione con il marchio Lapierre per lo sviluppo dei modelli da competizione. Una parte importante delle ricerche è costituita da simulazioni al computer (CFD) mirate a rendere sempre più performanti le biciclette. Si presentano problematiche per nulla lineari, con innumerevoli variabili da mettere in equilibrio. Il professore dice: «Con le simulazioni riusciamo a rendere le biciclette più veloci anche del 5%, ma quando ci metti sopra il ciclista questo guadagno diventa molto minore perché questi ha una grande influenza nella resistenza totale anche a causa dell’interazione fra il ciclista e la bicicletta. A volte le case di produzione sono entusiaste dei nostri risultati perché vedono che le biciclette diventano molto più veloci delle altre ma, appunto, quando le provi con i ciclisti sopra questo guadagno diventa molto meno evidente».
Da qui si vede quanto risulti cruciale spostare il focus del lavoro in galleria del vento sulla posizione dell’atleta in sella. Preparare le corse non si risolve solo nei ritiri in altura o nelle accurate tabelle di allenamento. Non si tratta soltanto di allenare - portandole al limite - le possibilità biologiche dell’atleta ma la prestazione è data anche da un continuo lavoro aerodinamico alla ricerca della migliore posizione e - in un rapporto biunivoco - della bicicletta che meglio si adatti all’atleta. Insomma è necessario tendere, in chiave aerodinamica, ad una simbiosi perfetta tra uomo e mezzo.
Per fare questo Blocken lavora con i modelli 3D degli atleti, ottenuti con scansioni sull’uomo e stampante 3D. Esiste un manichino simile in tutto e per tutto a Thibaut Pinot sin nelle sembianze del volto, che viene sistemato sulla bici col misuratore laser per lunghe sessioni di prove in galleria del vento. Le ricerche sono spinte all’estremo comunque, visto il gran numero di variabili in gioco: i margini per miglioramenti sono ampli e gli anni a venire registreranno sempre progressi.
Alla ricerca di un certo appeal
Si sa, il Tour è una vetrina gigantesca e quest’anno assistiamo ad un gran numero di restyling. Molti team hanno adottato nuove maglie pensate ad hoc con le colorazioni più fantasiose. Anche molte bici hanno cercato le verniciature più spettacolari e personalizzate. Una battaglia di marketing che in tanti casi oltrepassa i limiti. Queste battaglie di percezione confondono le acque. Creano modelli fittizi che non hanno alcun contenuto tecnico e sono alla ricerca di “valori aggiunti” per il mercato.
Le verniciature Lapierre sono sempre state molto accattivanti rendendo i modelli di questo marchio tra i più charmant del gruppo. Ma nella costante ricerca di un appeal forse si è andati oltre.
All’inizio di questo Tour è stata presentata la Xelius SL 10.0 Symbiosis Edition, la versione che i corridori devono usare in corsa. Commissionata ad un collettivo di artisti francesi - Obvious - che cerca nuove forme di espressività artistica attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale. L’opera intende affrontare il tema del movimento simbiotico tra meccanica e biomeccanica, tra uomo e macchina. Il movimento è rappresentato attraverso cerchi concentrici. L’uso del colore concettuale e simbolico: il rosa rappresenterebbe l’umanità e il blu la meccanica.
Non è dato sapere se si tratti di un’opera destinata a rimanere negli annali. Certo il concetto di intelligenza artificiale accostato all’arte è molto stridente e viene la voglia di esprimere forte dissenso verso gli algoritmi salvifici.
La curiosità è che nel gruppo di questo Tour si aggira anche Mondrian, un artista la cui intelligenza è tutt’altro che artificiale. Si può trovare una nota di colore tra le pieghe della corsa e fare un confronto tra le opere in cammino verso Parigi.
Quanta strada nei miei sandali
Questo è un Tour dal disegno particolare. Subito il calore dei Paesi Baschi, poi i Pirenei. Subito battaglia sin dalla prima tappa. Quei due che se le danno di santa ragione e le loro squadre che li circondano. Le bici perfette, pronte a dare il massimo.
Insomma un Tour da non perdere.
Vai al cine, vacci tu
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