...ma alla fine è sempre Van der Poel vs Van Aert
Pagelle della stagione maschile di ciclocross: nessuno raggiunge la perfezione, neanche WVA e MVDP. Bene praticamente tutti i big; tanti i giovani alla riscossa, l'Italia gioca un ruolo di secondo piano con le sue nuove frecce
Mathieu van der Poel: 9
Si è presentato al via della tappa di Hulst, il 27 novembre 2022, dicendo che il suo unico obiettivo stagionale sarebbe stato il Mondiale. Certo, se in mezzo avesse vinto quante più gare possibili meglio, ma affatto necessario. Ha mantenuto la parola, curando quasi per niente l’avvicinamento al periodo natalizio – ma d’altronde era impegnato a mettere chilometri nelle gambe in vista della primavera – e concentrandosi esclusivamente sull’appuntamento iridato di Hoogerheide. Il risultato di tutto ciò, anche alla luce dell’ottima condizione del suo rivale di sempre (e per sempre), è stato complessivamente forse il peggior inverno della sua carriera, non considerando ovviamente il 2021-2022, quando fu abbattuto dai problemi alla schiena. Aperta l’annata con il piede giusto in quel di Hulst, al termine di un Vestingcross piuttosto lineare, non è stato infallibile né a Boom né a Vermiglio e già questa sarebbe stata una notizia a prescindere, ma a posteriori assume un’importanza ancor più elevata poiché anticipa un topos del periodo centrale della stagione, quello delle festività natalizie, e cioè la non infallibilità di Van der Poel nella guida, anzi, la sua debolezza tecnica palesatasi più e più volte e che in talune occasioni (Loenhout in particolare) gli è costato il successo. Eravamo abituati a conoscere MVDP come il Dio sceso in terra per ciò che concerne coordinazione e capacità di leggere curve, terreni, contropendenze o qualsivoglia difficoltà proposta dai vari percorsi, e invece ce lo siamo ritrovati un po’ arrugginito, talvolta addirittura goffo. Difficile affermare con assoluta certezza le cause di questo passo indietro (al di là dei problemi alla schiena che lo hanno limitato ad inizio gennaio), impossibile che abbia perso tutto d’un tratto il manico; è probabile, tuttavia, che quasi due anni di allontanamento forzato dalla bici di ciclocross abbiano influito e, in misura minore, la pressione e la ricerca di doversi per forza riscattare a seguito delle tante batoste subite in questa stagione gli abbiano giocato un brutto scherzo proprio nei momenti cruciali, come appunto nel succitato Azencross, in cui una scivolata nel segmento più fangoso dell’intero circuito ha compromesso la sua fuga solitaria verso il traguardo. Come far collimare allora un giudizio per certi versi molto severo con un voto così alto (seppur Mathieu sia stato abituato nelle sue annate migliori a ricevere vagonate di 10 cum laude)? La motivazione è già stata esplicata nelle righe precedenti: per Van der Poel contava solamente Hoogerheide e lì non c’è stato posto per gli errori tecnici, le indecisioni nel finale o una condizione fisica non ottimale. In casa sua Mathieu ha fatto valere la legge del più forte, ricordando a tutti quanti perché è davvero lui il più grande di ogni tempo. In pochissimi sarebbero stati capaci, nella sua stessa situazione, di mantenere la calma e non abbandonare i piani iniziali: chapeau. E, a margine, c’è da esser certi che nel 2023-2024, con addosso la maglia iridata, cercherà di esser implacabile in qualsiasi gara.
Wout van Aert: 8
Se Van der Poel non ha potuto recitare una delle sue solite stagioni da solista, senza considerare la caduta a Boom e l’idiosincrasia per il ghiaccio palesata in Val di Sole, il merito è solamente di questo belga qui. Ad Anversa, esordio stagionale, la gamba non è che girasse un granché, anzi, qualche chilo di troppo era visibile. Poi però, messi nelle gambe gli allenamenti giusti, nel periodo di Natale si è raccontata la sua di epopea, con Pidcock e Van der Poel a recitare “solamente” il ruolo di personaggi di contorno, ma pur sempre necessari perché lo spettacolo potesse prender forma. Il predominio di Wout è durato più di due settimane, iniziato a Mol e terminato con l’assolo quasi scontato di Zonhoven. L’apice però è stata la notturna di Diegem in cui a poco più di metà gara WVA sembrava spacciato, per poi regalare invece una di quelle azioni che verranno ricordate a lungo per la loro onnipotenza: rimonta sia su Pidcock che soprattutto su un Van der Poel saltato sia di testa che di gambe alla visione dell’avversario che gli tornava sotto piantandogli davanti immediatamente uno scatto niente male. Proprio questo elemento, la predominanza di Van Aert anche a livello mentale, prima e durante i cross delle festività, ha rappresentato la principale novità al vertice della disciplina, poiché solitamente a Wout apparteneva il ruolo dello sfidante e non quello dello sfidato, proprio di Van der Poel (e chissà che il Mondiale non abbia nuovamente rovesciato le gerarchie in tal senso). Dopo un tale avvicinamento era lecito attendersi un Mondiale coi fiocchi da parte sua, però, proprio nella giornata più importante, si è dovuto rassegnare alla superiorità di MVDP, non riuscendo a ribattere alla sua tattica di gara composta da accelerazioni brucianti e rallentamenti a spezzare il ritmo degli attacchi. Tecnicamente Van Aert ha sfiorato la perfezione, come del resto in tutta la stagione; si può sostenere a ragione che abbia guidato decisamente meglio di Mathieu tra dicembre e gennaio, ma poi, il cinque febbraio, ad abbandonarlo è stata ancora una volta quella testa che tanto è lodata da colleghi e addetti ai lavori, ma che un po’ troppo spesso nei momenti chiave ha fatto cilecca. Nel complesso potrebbe essere stata la sua miglior annata nel cross da quando è stradista e ciò fa ben sperare in vista della prossima in cui sicuramente sarà assetato di vendetta. Lui dice che un quarto iride cambierebbe poco nella sua carriera, ma c’è da esser certi che la sconfitta di Hoogerheide gli bruci come poche altre e che non veda l’ora di riprovarci. Prima, però, testa ad una primavera e ad un’estate che potrebbero regalargli soddisfazioni ancor più grandi.
Tom Pidcock: 6.5
Assegnare una valutazione al campione di Leeds non è esercizio semplice proprio per la mancanza di un chiaro obiettivo all’interno della sua stagione che non fosse il solo divertimento agonistico o la mera preparazione atletica in vista della strada. Tom è riuscito a battezzare la propria maglia arcobaleno e già questo è fondamentale, ma ad illuminare le sue uscite sporadiche nel cross non sono le vittorie ottenute contro gli stessi avversari che aveva già preceduto a Fayetteville, bensì quelle due-tre apparizioni in cui ha tenuto testa a Van der Poel e Van Aert da pari a pari. E se Gavere in fondo non deve far tanto scalpore, considerando il feeling di Pidcock con i tracciati esigenti dal punto di vista altimetrico, è molto più sorprendente la prestazione di Diegem su un percorso dalle caratteristiche tecniche diametralmente opposte rispetto a Gavere e mancante di qualsivoglia segmento sterrato in salita in cui fosse possibile fare la differenza. Nonostante ciò in quell’occasione il portacolori della Ineos ha sfiorato l’impresa di battere entrambi i titani e di issarsi, almeno per un paio di notti, al comando dell’universo crossistico. Anche a Loenhout, nonostante sia il meteo che le condizioni del terreno facessero presagire tutt’altro, è stato capace di resistere fino alla volata a ruota di WVA e MVDP dando vita ad un triello dal sapore nuovo. In altri contesti, come ad esempio Mol e Anversa, ha confermato alcune sue ataviche difficoltà (la sabbia su tutte) e in generale l’inferiorità nei confronti del belga e del neerlandese, ma comunque ciò che di più importante abbiamo compreso da questo suo 2022-2023 è che in futuro il britannico potrà dar filo da torcere a Mathieu e Wout non solamente sui tracciati che meglio si adattano al suo peso e alle sue capacità tecniche, ma anche su altri teoricamente non adattissimi al suo profilo di crossista. La rinuncia al Mondiale è una macchia sulla sua stagione, ma in ogni caso sarebbe stata una macchia di bronzo ed è anche comprensibile che Pidcock voglia tentare un approccio diverso alle classiche (e di primo acchito pare proprio abbia funzionato!) dopo che la scorsa primavera non fu per lui esattamente memorabile.
Michael Vanthourenhout: 8.5
Campione europeo in un contesto dal valore assoluto altissimo come quello di Namur e campione belga pochi mesi dopo. Un inverno da sogno almeno nelle gare da tutto o niente, in cui il cugino del CT della nazionale del Belgio si è sempre espresso benissimo (esempio clamoroso: argento al Mondiale di Valkenburg 2018 davanti a Van der Poel). Sia a Namur che a Lokeren ha sfruttato un percorso particolarmente adatto alle sue caratteristiche, non facendosi travolgere dall’ansia e dalla pressione. Al momento del dunque non gli sono tremate le gambe, anche se in entrambe le occasioni ha dovuto dare tutto per spuntarla in delle sfide equilibrate e soffrire fino all’arrivo prima di potersi godere il successo. Ma la sua stagione non è solo Europeo e BK, ma molto altro. A differenza delle scorse stagioni, da rilevare un cambiamento tattico in seno alla Pauwels, con Vanthourenhout meno impegnato a far da gregario in svariate occasioni a Iserbyt e maggiormente intento a mettersi in proprio (con l’eccezione del finale di stagione, quando LVDH è tornato a riaccendere le polemiche sul comportamento dei suoi due avversari), con risultati eccellenti. Il Druivencross di Overijse non assegnava nessuna maglia, ma la sua strenua resistenza contro la rimonta esaltante di Pidcock vale almeno uno dei due titoli conquistati ed è forse la vittoria più sentita e apprezzata da Vanthourenhout, confermatosi maestro di stile e tecnica in ogni contesto. Ha da recriminare sulla gestione del Mondiale, corsa in cui si è forse fatto prendere dalla foga esagerando nell’attaccare sin dal secondo giro, ma per il resto il suo è un 2022-2023 di gran classe condito anche dai podi nelle classifiche generali di tutte e tre le challenge.
Laurens Sweeck: 9
Alla vigilia della stagione si diceva che il suo obiettivo dovesse essere dar più battaglia possibile a Iserbyt, atteso dominatore della prima parte dell’anno, almeno fino all’arrivo di WVA e MVDP. Laurens, invece, anche complice l’infortunio patito da Eli, è andato oltre, conquistando per la prima volta in carriera la Coppa del Mondo, la generale più prestigiosa e importante delle tre, anche perché formata da ben quattordici prove contro le “sole” otto di SP e X2O. Il portacolori della Crelan è partito subito fortissimo, dando immediatamente l’impressione di potersela giocare costantemente con i Pauwels, ma complice anche un po’ di inesperienza, se vogliamo chiamare così la poca abitudine ad affrontare la coppia di Mettepenningen per cui il belga ha corso fino allo scorso ottobre, non è riuscito a sbloccarsi fino a Maasmechelen; dopodiché la sua stagione è proseguita a gonfie vele con molti altri successi e l’inaspettato bronzo di Namur su un tracciato che arrideva ben poco alle sue doti. Solamente nel periodo natalizio c’è stata da parte sua una minima flessione, ma Sweeck è stato in grado di riprendersi rapidamente in vista del campionato belga, in cui ha colto un argento con qualche polemica, e del Mondiale – unica delusione del suo inverno – dove ha pagato lo scotto di cinque mesi affrontati a tutta dalla prima all’ultima gara. Nel post-Hoogerheide però Laurens ha ritrovato se stesso, collezionando altri tre primi posti che hanno portato il totale di vittorie a quota otto (22 podi), un numero mai toccato prima, nemmeno nella annate in cui ha potuto concentrarsi solamente su determinati obiettivi ignorando quasi totalmente le classifiche della varie challenge. L’approdo estivo al Development Team della Alpecin potrebbe essere utile per consentirgli di compiere un ulteriore miglioramento e riconsegnarcelo a settembre ancora più forte di sei mesi fa.
Eli Iserbyt: 8
Il rapporto realtà-aspettative è uno zero decimale, ma il folletto di Kortrijk ha tutte le attenuanti del caso. Prima tra tutte la sciatica che da Namur in poi lo ha obbligato a rimodulare gli obiettivi e a correre di rimessa almeno fino a gennaio; per Eli, infatti, i mesi di novembre e dicembre sono stati una sofferenza interminabile, eppure, grazie alla sua grinta, unica nell’intero panorama crossistico e persino superiore a quella di Van Aert e Van der Poel, è riuscito a rimanere a galla sia per la CDM che per il SP che soprattutto per l’X2O, trofeo che aveva già conquistato due volte in passato. La caduta di Vermiglio ha ulteriormente rallentato la sua ripresa, avvenuta solamente a fine anno in quel di Diegem. In generale, comunque, Iserbyt ha confermato la tendenza delle ultime stagioni che l’ha visto ben comportarsi in praticamente ogni contesto, con qualche preferenza per i tracciati ricchi di curve e inversioni marcia o dall’altimetria complessa ma senza fango. Ancora una volta, tuttavia, ha mancato il tricolore belga nonostante l’assenza di Wout rendesse il BK di Lokeren appetibile una schiera più vasta di crossisti. A Hoogerheide invece è riuscito nel proprio obiettivo: salire nuovamente sul podio, stavolta però solo soletto accanto ai due Grandi, una soddisfazione mica da ridere. Se dovesse ritrovare la sua solita costanza e solidità – fisica e soprattutto caratteriale – nel 2023-2024 c’è da esser sicuri che punterà a far filotto di challenge. La sfida è lanciata, ma anche la concorrenza non rimarrà a guardare.
Lars van der Haar: 8
Già nella scorsa stagione, quando vinse il titolo europeo sul Vamberg, era riuscito a mettersi alle spalle un periodo decisamente buio della sua carriera, iniziato intorno al 2015 (ultimo suo successo di rilievo, anche in quel caso titolo europeo) con l’avvento di WVA e MVDP. In questo 2022-2023 LVDH è stato capace di confermarsi all’altissimo livello dell’inverno precedente, vincendo di nuovo il titolo nazionale, prendendo una medaglia a Namur, ma mancandola a Hoogerheide (va detto che la concorrenza era superiore rispetto ai Mondiali americani). Il valore aggiunto della sua stagione è stata però la vittoria nel Superprestige, conquistato per la prima volta in carriera, solamente la seconda challenge messa in bacheca per lui che non ha mai brillato quanto quest’anno per costanza di rendimento. Le poche vittorie – solamente quattro tra cui il capolavoro del Koppenbergcross – non testimoniano a pieno la competitività di Van der Haar, il quale, soprattutto nel post-Mondiale, ha raccolto una serie di secondi posti per i quali recriminerà sicuramente almeno un po’. Il suo stile di gara in determinati contesti, generalmente percorsi veloci in cui è possibile prendere una certa velocità di crociera e mantenerla a lungo, è molto particolare, fin troppo caratterizzato da generosità, ma alla fine paga spesso dividendi.
Gerben Kuypers: 9.5
L’atleta operaio che ha intrapreso una scalata sociale giungendo infine alla nobiltà crossistica. Ad inizio stagione Kuypers si trovava nella scomodissima situazione di doversi svegliare alle 5 del mattino, allenarsi e poi andare a lavorare in fabbrica (per un totale di 40 ore canoniche a settimana), mentre i rivali che incontrava in gara sabato e domenica facevano proprio del ciclocross la loro unica attività di vita. Poco prima di Essen, a metà dicembre, dove ha ottenuto il primo successo in carriera in terreno fiammingo, si è licenziato in modo da potersi concentrare pienamente sullo sport e i risultati si sono visti subito: già in precedenza stazionava sovente nella top ten delle grandi corse, ma da quel momento in avanti è diventato stabilmente uno dei grandi protagonisti della stagione, capace persino di giocarsi il podio ai Mondiali. La Intermarché lo ha giustamente messo sotto contratto con la squadra continental e grazie a loro Gerben potrà correre anche su strada, d’estate. Molto probabilmente da settembre in avanti lo ritroveremo ulteriormente cresciuto rispetto al 2022-2023 ed è difficile stabilire ora fino a dove potrebbe spingersi il belga. Le sue caratteristiche sono abbastanza lampanti: poco esplosivo, tanto che in partenza paga sempre tantissimo rispetto agli avversari con cui si scontra poi negli ultimi giri, ma un motore eccezionale, superiore a quello del 95% del circus crossistico. Attualmente, tra i crosser di livello mondiale sono solamente in sette a potersi dire sicuramente superiori a Kuypers (Van der Poel, Van Aert, Pidcock, Iserbyt, Van der Haar, Vanthourenhout e Sweeck), ma in futuro chissà che non scali ancora le gerarchie interne alla nazionale belga, imponendosi come uno dei capitani.
Kevin Kuhn: 7
Partenza al fulmicotone e difesa della top ten fino al traguardo. Questa, ridotta all’osso, l’immagine della stagione dello svizzero, sicuramente uno degli atleti che può esser maggiormente soddisfatto di quanto compiuto. Raramente fuori dai dieci nelle gare di primissimo piano, gli unici due nei dell’inverno sono il dodicesimo posto al Campionato del Mondo e la sconfitta per mano di Timon Rüegg al campionato svizzero.
Jens Adams: 7
Un anno soddisfacente e condito da tanti piazzamenti di prestigio per lui – grande amante della sabbia – che a differenza degli altri corre in un team personale senza compagni di squadra. Highlight dei suoi ultimi mesi i primi tre giri dell’Herentals Crosst in cui si è goduto da vicino il duello tra Van der Poel e Van Aert.
Niels Vandeputte: 7.5
Lo stacanovista del ciclocross (40 gare disputate, record stagionale) a settembre si era prefissato come obiettivo quello di compiere un ulteriore passo in avanti entrando stabilmente nei dieci in tutte le corse importanti con l’intento di giungere, tra qualche anno, al culmine della disciplina. Ad inverno compiuto possiamo affermare con sicurezza che il portacolori della Alpecin è riuscito nel proprio intento, uscendo raramente dalla top ten (solamente otto volte, il 20%) e brillando particolarmente sui “suoi” tracciati, quelli cioè in cui può ambire a qualcosa in più di un semplice piazzamento. Tecnicamente favoloso, la sua superficie prediletta è senza dubbio la sabbia; nel 2023-2024 metterà nel mirino la vittoria in qualche gara di prima fascia.
Joris Nieuwenhuis: 7
Già solamente la scelta – coraggiosissima – di abbandonare la strada, almeno nella categoria del World Tour (era in forze alla DSM), merita un elogio; i risultati, inoltre, danno ragione al campione del mondo U23 di Bieles 2017 ritornato all’ovile e sbarcato nella Baloise Trek Lions di Sven Nys, che in poche settimane ha ridato linfa a uno dei talenti perduti del ciclocross. La “cura” del Cannibale di Baal ha funzionato immediatamente e nel primo mese di cross Nieuwenhuis ha realizzato una lunga serie di prestazioni di livello, sfiorando la vittoria in un paio d’occasioni. Con il trascorrere delle settimane è un po’ calato, complice anche una preparazione non ideale per una stagione completa di ciclocross, ma talvolta è emerso dal folto gruppo di outsider ottenendo ottimi risultati (due esempi su tutti sono il campionato nazionale di Zaltbommel, nel quale solamente nel finale LVDH l’ha staccato, e la prova di Coppa a Besançon, chiusa in seconda piazza dietro all’imbattibile Van der Poel). La prossima stagione sarà fondamentale per comprendere fino a che punto potrà spingersi questo talento puro della disciplina che il mondo del fuoristrada ha ritrovato dopo averlo quasi perso per sempre.
Toon Vandebosch: 6
Un anno diviso a metà che non ci dà grosse indicazioni in ottica futura. Nei primi due mesi è rimasto costantemente nel gruppetto di quelli subito alle spalle dei primissimi, ma da quando la stagione è entrata nel vivo lui ha iniziato ad accusare le fatiche delle settimane precedenti, raggiungendo il punto più basso della propria annata a gennaio e febbraio, in particolare proprio nel Mondiale di inizio febbraio.
Pim Ronhaar: 6.5
La sua vocazione sono la sabbia, i tracciati pesanti e quelli con tanta salita, ma questo lo si sapeva già. Il colpo di scena è stata la decisione di abbandonare gli under e passare con gli élite dopo la batosta di Namur, in cui in un solo giro, l’ultimo, è passato da guidare l’Europeo in solitaria a concludere mestamente quinto. Questo a dimostrazione della sua voglia di sfidare i più grandi e raggiungere il più velocemente possibile la vetta del mondo. Giunto sulla scia di buone prestazioni al mese di novembre, non ha particolarmente brillato in gran parte delle sue uscite successive, non riuscendo a replicare alcuni exploit del 2021-2022. Nell’ultimo scorcio dell’anno si è però ripreso bene, compiendo di tanto in tanto ottime gare (Hamme in primis, Lille in secundis). Anche per lui il divenire è tutto da scrivere.
Cameron Mason: 8.5
Un’esperienza breve ma intensa quella dello scozzese alfiere della Trinity, entrato in scena solamente a inizio dicembre nella vicina Dublino. Da lì a Hoogerheide Mason si è dimostrato uno dei talenti più futuribili della disciplina – è un classe 2000 – andando vicino al podio in alcune importantissime corse belghe, vincendo per la prima volta il titolo britannico (gara dominata in assenza di Pidcock) e terminando in top ten al Mondiale, su un percorso tutt’altro che favorevole. Sì, perché Cameron ha sempre preferito il fango lento all’erba scorrevole, prediligendo gare dalle medie orarie molto basse. In partenza non è ancora un fulmine di guerra e questo è sicuramente un aspetto da migliorare, ma sul “lanciato”, dalla seconda tornata in avanti, vale i migliori cinque-sei del mondo.
Filippo Fontana: 7
Lui, che sin da quando era un ragazzino prometteva scintille, al primo anno vero da élite è andato a conquistare il tricolore per cui tutti lo vedevano pronto già da diverso tempo. A Ostia, Filippo non ha lasciato scampo né a Toneatti né ai due che si erano divisi la maglia negli ultimi anni, cioè Gioele Bertolini e Jakob Dorigoni, entrambi autori di una stagione priva di squilli. Anche nelle poche altre gare italiane disputate Fontana si è ben comportato, vincendo a Jesolo e al Guerciotti, terminando secondo a Faè e a Vittorio Veneto. Proprio in questo, però, cioè nell’esiguo numero di cross disputati, peraltro quasi tutti casalinghi, sta il problema. Correndo così poco e quasi esclusivamente in Italia è difficile emergere al più alto livello (leggasi gare in Belgio e Paesi Bassi) anche per un talento come Fontana, il quale, al momento, sembra prediligere la MTB. Non devono quindi sorprendere i piazzamenti lontani dal meglio della disciplina sia a Besançon che a Hoogerheide, due tracciati che oltretutto non arridevano certamente al veneto. Se in futuro l’azzurro si prefisserà come obiettivo quello di emergere anche a livello internazionale, sarà necessario aumentare il numero di corse disputate durante la stagione e soprattutto raccogliere maggior esperienza nelle Fiandre.
Davide Toneatti: 7
La doppia attività strada-ciclocross con l’Astana ha dato i suoi frutti soprattutto a ottobre e novembre, mesi in cui Davide ha trionfato al Trofeo Città di Firenze ed è stato in corsa fino all’ultimo giro per il podio nella categoria under 23 all’Europeo di Namur. Dopo una pausa fisiologica è tornato in campo a fine dicembre sempre mantenendo un buon livello di condizione, ma proprio nella giornata clou ha deluso, concludendo oltre la ventesima posizione il Mondiale U23 (ultimo anno in questa categoria). Un po’ di sfortuna e una partenza fin troppo ambiziosa ne hanno minato la prestazione, che nel complesso è risultata, purtroppo, la peggiore del suo 2022-2023 crossistico.