Una cartolina a Fabio Genovesi
Una penna fortunata e un talento naturale, la terza voce delle telecronache Rai ricopre un ruolo delicato e lo fa con la massima grazia e con timida umanità. E senza pedanterie da professore
Alla fine della bella tappa di Napoli, ancora con gli occhi pieni della bellezza della costiera amalfitana e della metropoli partenopea, abbiamo avuto la fortuna di ascoltare la quotidiana cartolina di Fabio Genovesi al Processo alla Tappa. Lo scrittore della Versilia, felicemente ispirato dal suo mar Tirreno, ci ha regalato un breve e bell'aneddoto su John Fante in visita a Napoli, innamorato della città ai piedi del Vesuvio, e dell’albergo in cui alloggiò l’autore italo-americano di “Chiedi alla polvere”, il medesimo in cui ha dormito Genovesi stesso. La grazia della scrittura di Fabio ha reso facile, divertente, piacevole questa storia, lasciando un dolce sapore a chi ha avuto la sorte di ascoltarlo.
Spesso si leggono e sentono molte critiche, anche elogi, verso la “terza voce” della telecronaca Rai del Giro; un punto di vista che abita oltre i margini del ciclismo, viaggio esterno a questo mondo, una proiezione fisica e metafisica nel territorio attorno; felice intuizione del Giro sulla rete pubblica. Le critiche sono al ruolo in sé, per alcuni un disturbo ad una narrazione di una corsa, un inutile esercizio culturale messo di traverso al fluire della bicicletta lungo la penisola e, se va bene, un pedaggio da pagare ad un canale generalista.
Altre volte sono vere e proprie invettive personali verso l’autore di “Chi manda le onde”, vincitore del premio Strega giovani 2015, un giudizio ipercritico e polemico. Non posso non difendere Fabio Genovesi dalle pagine di questa rubrica. In fondo la “terza voce“ non è che un aficionado fuori dalla Plaza de Toros, con le orecchie tese a seguire la corsa ascoltando i rumori e urla del pubblico all’interno.
Anche Genovesi siede nella Tribuna dei Sarti, così chiamata perché in passato quando un torero veniva ferito, era portato fuori dall’arena e ricucito. In Spagna, el Tendido de los Sastres (la tribuna dei sarti) indica appunto in senso generale gli spettatori fuori da una corrida, da una partita di calcio, da un concerto, intenti a seguire un evento senza vederlo, solo attraverso le urla, i canti ed i silenzi del pubblico pagante. Un mondo parallelo, un punto di vista, un anarchico fluire di pensieri e sogni, talvolta di discorsi seri provando ad non essere mai banali, ed ardue arrampicate sui rami di un albero fuori da uno stadio nel tentativo di superare il muro che esclude lo sguardo.
A molti gli interventi di Genovesi possono apparire semplici aneddoti raccolti qua e là, un esercizio per cui è sufficiente avere una buona dimestichezza con internet, una “lettura di un gobbo” televisivo, un carosello culturale tra un pezzo di cronaca e l’altra. Ammesso e non concesso che fosse solo questo la terza voce di un racconto di una corsa ciclistica, vi pare semplice? Quali storie scegliere? Come riassumerle in pochi secondi senza snaturarle e, soprattutto, come scriverle bene?
La penna di Genovesi è fortunata, dotata di un talento naturale, di una bellezza e precisione mai pedante, mai arrogante. È questo il più grande pregio di Fabio, non appare mai come il professore che dall’alto della sua erudizione ti concede una perla di sapere; la sua timidezza e dolcezza superano la diffidenza della nostra ignoranza, con lui non esiste alcuna pedana su cui appoggiare una cattedra.
Talvolta può capitare che il tema scelto sia già noto a chi ascolta e vorremmo essere noi lì pronti ad aggiungere particolari, a correggere magari una pronuncia dialettale sbagliata, a voler allungare il discorso, a dimostrare tutto il nostro sapere. Ecco, immaginiamoci pubblico di noi stessi, onestamente non risulteremmo noiosi o peggio ridicoli?
Per quel difficile ruolo ci vuole una dote particolare, che solo un bravo scrittore o artista può avere. Genovesi non può essere sostituito da ChatGPT, perché la sensibilità e la dolcezza sono ancora umane, fatte sì di parole, ma anche di suono della voce, di spalle strette e sempre infreddolite, di guance scavate da un timido sorriso.
Fabio è un uomo fragile come noi che può trovare nella noia di alcune fasi di corsa la vera ricchezza del ciclismo, fatto di vuoti e di pieni, di terra appenninica e di mare; solo così possiamo apprezzare l’epica del ciclismo, le imprese e la sua storia. Sconfiggere la nostra impazienza con la parola, meglio se scelta da un bravo scrittore, no?; per cogliere la trama di un grande giro a tappe e per apprezzare appieno i suoi momenti più spettacolari e folli.
Grazie Fabio per le tue ricerche, la tua sensibile curiosità e, soprattuto, per la tua felice penna. Perché, finito tutto e dopo aver ascoltato la tua cartolina di chiusura da Napoli, mi è venuta voglia di riprendere in mano un libro di John Fante e fermarmi infine alla lettura di questa frase: “Sono risorti i morti? I libri dicono di no, la notte grida di sì”.
Non ci rimane che chiudere il testo ed ascoltare la “quarta voce”, il silenzio.