L'amore ritrovato
Il ritorno di Diego Rosa alla Mountain Bike dopo dieci stagioni da professionista su strada è il riannodarsi di un filo, il chiudersi di un cerchio. Con tanto di titolo italiano!
...Certi amori non finiscono
Fanno dei giri immensi
E poi ritornano
Amori indivisibili
Indissolubili inseparabili
Ma amici mai
Per chi si cerca come noi
Non è possibile
Odiarsi mai
Per chi si ama come noi
Basta sorridere...
(Antonello Venditti - Amici mai)
Il paesaggio si apre in maniera splendida e selvaggia agli oltre duemila metri di Forcella Mendana, in una domenica che chiude il mese d'agosto. Un sentiero che sale su per la montagna con pendenze a tratti aspre, su cui dover cadenzare bene il passo. Diego attacca lì, dopo che Riccardo Chiarini (che da anni ormai ha lasciato l'asfalto per le ruote grasse) ha lavorato ai fianchi gli avversari in precedenza.
Diego allunga, si scrolla di ruota tutti gli altri e prosegue solo, nel godimento pieno di quella libertà già conosciuta in giovinezza che aveva generato in lui l'amore per le due ruote. Col passare dei minuti guadagna terreno, al punto che in minuti è quantificabile il suo vantaggio nei confronti degli altri bikers che strenuamente lo inseguono, anche se invano. Arriva da solo a Telve, in provincia di Trento, alzando le braccia al cielo per vivere per la prima volta, a trentaquattro anni, l'emozione di vincere un campionato italiano nella specialità Marathon della Mountain Bike, nell'anno del pieno ritorno.
Il Diego di cui si parla è Rosa e in queste righe iniziali vi è la sostanziale sintesi di un amore ritrovato. Quello di un ragazzo fattosi ormai uomo che sulla strada sentiva di aver speso tutto, al punto da voler essere lui a scegliere la degna conclusione del proprio percorso ciclistico. «Sono nato biker e morirò biker», affermava il cuneese in un video in cui annunciava il ritorno a quelle origini dove la Mountain Bike era stata inizialmente scommessa vinta (una sfida con dei compagni di scuola consistente nel partecipare ad una gara, per giunta poi conquistata) e poi sempre più mezzo attraverso cui cercare il massimo del divertimento, fino a crescere ed ottenere risultati di una certa importanza: basti pensare che nel 2011 riuscì a vestire la maglia azzurra e a partecipare così ai campionati del mondo di Champery, in Svizzera, ottenendo pure un lusinghiero ottavo posto nella categoria Under 23.
Altrettanto inaspettatamente, proprio come gli esordi, arrivò poi la bicicletta da strada in seguito ad un infortunio. Nuove sfide, una resistenza notevolissima, giornate da autentico cavallo pazzo vissute tra i dilettanti con la Palazzago (al punto da conquistare il Giro del Friuli e la maglia di migliore scalatore al GiroBio nel 2012) fino all'immediato passaggio al professionismo per l'inizio di una storia protrattasi per dieci anni, attraverso le casacche di Androni, Astana, Sky (poi divenuta INEOS), Arkéa-Samsic ed infine Eolo-Kometa.
Dieci stagioni oscillanti tra le prospettive di un futuro roseo tra gare a tappe e classiche particolarmente impegnative e le umili e toste fatiche del gregario, costretto sovente a sacrificarsi per aiutare i compagni ad arrivare alla vittoria. Appena tre vittorie, tutte bellissime, alla Milano-Torino (nel 2015), sul traguardo di Arrate ai Paesi Baschi dopo una lunghissima fuga (nel 2016) e nella classifica finale della Settimana Coppi&Bartali (nel 2018) che probabilmente troppo poco hanno detto rispetto al sudore versato e a quell'infinita voglia di libertà espressa nelle azioni a lunga gittata. Che dire poi di quella volata persa da Esteban Chaves a Bergamo nel 2016, in quel primo ottobre che poteva consegnargli il Giro di Lombardia e, forse, cambiare definitivamente il corso della storia?
A ben pensarci però a Diego Rosa, nonostante qualche velo di malinconia, le cose sono andate bene lo stesso. Per essere ciclisti occorre godere sempre di quel piacere speciale che ti fa fare anche cose folli, come il tornare a casa a Montecarlo (storia di un anno e mezzo fa) dopo aver già concluso la Milano-Sanremo e portare così, un po' per scommessa e un po' per necessità, il computo di chilometri percorsi al termine di quel giorno a quasi trecentocinquanta. Anche per questo Diego sentiva di aver fatto ormai il suo tempo su quella strada in cui aveva scelto coraggiosamente di mettersi in gioco, decidendo di tornare a quei sentieri, a quella polvere su cui era diventato atleta di ottimo livello.
Nell'ultimo anno con la Eolo le prime gare per riprendere confidenza, prima del ritorno vero e proprio con la Cicli Taddei in questo 2023, caratterizzato da varie ottime prestazioni nelle Gran Fondo, culminate con il titolo italiano e con la partecipazione al mondiale Marathon di Glasgow, concluso con un buon nono posto nonostante un avvio sfortunato. A Diego continua ad essere più congeniale il fondo rispetto alle gare di pura tecnica ed esplosività. Quel che però gli interessa è che sia tornato a divertirsi come voleva. Perché certe cose, in fin dei conti, le devi solamente a te stesso.