Quelli come Iserbyt
Omaggio al fresco campione nazionale belga di ciclocross, una carriera destinata a svolgersi nell'ombra di quei due... ma lui a tutto pensa meno che ad arrendersi
Mathieu è lontano, lontanissimo. Distante come una nave ormai consegnatasi al mare aperto per disperdersi in un'immensità praticamente impossibile da quantificare, con un sipario di nebbia a dischiudere quella visione consona ad un mondo onirico. Si potrebbe pensare che Van Der Poel sia come l'Olandese Volante, vascello che riappare sul più bello nella sua inesorabile rotta, spettrale e imponente come non mai. Oppure, più semplicemente, si potrebbe vedere in lui una reincarnazione di Achille per quella sua ciclistica perfezione in cui, oltre all'umano, pare albergare un'indole divina capace di generare una sorta d'invincibile furore.
Non parlassimo di corse ciclistiche potremmo fare un pensierino ad un'alternativa rivisitazione dei poemi omerici. Wout van Aert invece è appena più avanti, ben visibile. La sua ruota può essere riagguantata, hai visto mai che nelle ultime battute si possa pensare di sopravanzarlo? Del resto se Mathieu è come Achille, Wout idealmente è l'Ettore di questa epopea che con entusiasmo si trascina negli anni, tanto negli sterrati quanto sull'asfalto. Guerriero valoroso, capace di splendide imprese ma pressoché condannato alla sconfitta il più delle volte che incrocia l'altro eroe. Se però è lui ad avere i principali riflettori, allora ecco che la "vittima" diviene il perfetto "carnefice" capace di far strame di tutti gli altri. Dove gli altri sono quelli come Eli Iserbyt.
Ad essere onesti ben sappiamo che il perfetto terzo incomodo dell'epopea è Tom Pidcock, a suo modo poliedrico, capace di sorprendere ed entusiasmare su ogni terreno possibile ed immaginabile ma poi siamo portati a chiederci: come immaginare una storia senza quelli come Iserbyt? Perché il bello sta proprio lì, ovvero nella perpetua ambizione di una perfezione che sembra dover restare inappagata e, al tempo stesso, la consapevolezza che la pragmaticità può essere la risposta più semplice da ricercare sulla strada per il successo.
Le ultime battute della gara di Anversa (e poi anche quelle di Zolder quattro giorni dopo) sono l'emblema di ciò che può spingere a tifare il leader della Pauwels: una fede incrollabile nella propria caparbietà, capace di far tirare fuori ogni stilla d'energia anche nel momento in cui l'avversario diretto (negli specifici casi Van Aert) affonda il colpo per involarsi verso il traguardo. Del resto chi la storia di Eli la conosce bene sa che non si parla di uno approdato alla massima categoria come uno qualunque, bensì di un ragazzo fatto ormai uomo che nel ciclocross ha trovato passione viscerale e ragione di vita, in opposizione a quell'onnipresenza che la multidisciplina dei nostri giorni ha finito col propagandare (con tanti effetti benefici, questo va detto). Non serve neppure essere irriducibili conservatori ma semplicemente realisti.
Eli Iserbyt poteva essere calciatore, inseguire sogni diversi e meno segnati dalla fatica. Eppure ha scelto la bicicletta, anzi dovremmo dire che ha scelto il ciclocross. Sugli sterrati tutto gli è sempre venuto così splendidamente naturale, a dispetto di un fisico minuto che avrebbe potuto meglio adattarsi a qualcuno desideroso di andare a cercare la gloria sulle grandi montagne. No, nel suo caso il vero godimento è sempre stato nell'emergere dal fango, dalle dune sabbiose, dalla polvere per provare a diventare il migliore di tutti. Cosa che da ragazzino è effettivamente stato, visti i due mondiali vinti da Under 23, i titoli europei, le tante prove sul suolo nazionale inserite nei più prestigiosi circuiti.
Eppure Iserbyt si è presentato con ottime credenziali anche nella massima categoria, cominciando a vincere molto giovane in Coppa del Mondo e arrivando ad imporsi anche nella classifica finale. Come pure è stato capace di domare il sabbiosissimo contesto di Koksijde, sorta di tempio per i cultori del ciclocross. Nonostante questo si è avuta sempre la strana, per non dire surreale, sensazione che Eli non fosse abbastanza. Che le sue evoluzioni non fossero tali da meritare un posto nell'eterno come quelle di altri. Su di lui le ombre di Van Der Poel e Van Aert (e in misura minore di Pidcock) paiono sempre dover essere destinate ad aleggiare, lasciando qualcosa d'incompiuto alla fine della storia.
Pensiamoci bene ancora un attimo: troviamo realmente così noioso e inconcludente il modo d'interpretare il ciclocross del "belga tascabile"? Saremmo ingenerosi e forse anche un tantinello ignoranti e presuntuosi se lo pensassimo, quantunque alcune condotte di corsa sparagnine non ci abbiano fatto strabuzzare gli occhi. Però poi osserviamo l'espressione grintosa, la volontà di non cedere neppure un metro fino a quando le gambe lo consentono, quell'animo girovago che porta a correre in ogni circuito allo scopo di racimolare più soddisfazioni (e vittorie) possibili, la capacità di attaccare al momento giusto quando altri avevano lentamente esaurito la propria verve, andando così a prendersi la vittoria o un piazzamento ben remunerativo per i propri piani a lungo termine.
Allora conveniamo che anche Iserbyt ci diverte quando s'intraversa e resta in splendido equilibrio in occasione di contropendenze ostiche, come pure quando dà sfogo alla propria esplosività su uno strappo bello irto in cui mostrare convintamente i pregi della propria leggerezza. Conveniamo che Iserbyt è ammirevole e degno d'applausi nel non voler arrendersi all'evidenza che altri possano essere e restare superiori e nel credere che una gara vada onorata sempre e comunque.
Mathieu è lontanissimo, non si vede già più. Wout affonda il colpo con grande potenza e resta anche lui solo. Eli resta lì stoicamente a combattere. Lui che in certi giorni si fa re e rende tutti gli altri sudditi grazie al talento di cui dispone. Lui che sogna ancora l'iride più bella anche se ha appena conquistato il tricolore di campione nazionale belga, che se non è un mondiale poco ci manca. Lui che non si issa in cima ad un ideale Parnaso con l'arte della poesia né sembra capace di proiettarsi nel sublime. Però in questa storia ci sta e continua a starci bene. Perché nel ciclismo c'è tanto bisogno anche di quelli come Iserbyt.