Affinità-divergenze tra Sinner e noi - del conseguimento del maggior pubblico
Le ragioni dell'esplosione del fenomeno Jannik e perché oggi è così difficile che si impongano all'attenzione di massa i nuovi Tomba, Rossi e, nel ciclismo, Pantani
Dopo 47 anni l’Italia è tornata a vincere la Coppa Davis, la più importante competizione a squadre per nazionali del tennis. Finalmente possiamo aggiornare le immagini sgranate delle magliette rosse dei tennisti che trionfarono in Cile nel 1976, con quelle azzurre della finale di Malaga 2023. Un successo che ha entusiasmato e coinvolto un pubblico molto vasto, ben oltre i confini degli appassionati di questo sport, e che sta arricchendo di nuovi iscritti le scuole ed i circoli del tennis del nostro paese.
Un fenomeno sportivo e mediatico che mancava da molto tempo in Italia: milioni di spettatori, tifosi, neo-esperti incollati alla televisione ad assistere all’evento del momento. La memoria non può che tornare agli anni ‘80 e ’90, a personaggi sportivi che hanno paralizzato il paese durante le loro gare o corse: Alberto Tomba, Marco Pantani, i primi anni di Valentino Rossi.
Dopo lungo tempo, l’Italia è tornata ad avere un idolo sportivo indiscusso ed amato, l’altoatesino Jannik Sinner, un ragazzo educato e determinato in campo tanto quanto poi gentile fuori dal rettangolo di gioco, di cui sui social e media è già partita la santificazione e l’idolatria. Niente di strano, fa parte del meccanismo e Sinner dimostra molta intelligenza a non caderne vittima. Non è facile per un ragazzo di 22 anni avere questa professionalità ed equilibrio con il successo.
Indipendentemente dal talento di San Candido e l’ammirazione che merita, il “fenomeno Sinner” è interessante per capire cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale nella passione sportiva degli italiani, di come e quando un personaggio faccia “massa” oppure no. Recentemente il nuoto e l’atletica italiana hanno raccolto trionfi straordinari, ed un atleta come Tamberi ha tutte le stigmate del personaggio, spigliato e teatrale, iconico con la sua mezza barba, ma comunque meno incisivo e popolare dei capelli color carota del tennista del momento.
Eppure il palmares di Gianmarco Tamberi è il migliore della storia dell’atletica azzurra, un oro olimpico, uno mondiale e due europei nel salto in alto. Anche essere l’uomo più veloce al mondo (l’oro olimpico Marcell Jacobs) non è bastato per pareggiare l’interesse scatenato da Sinner in questi giorni.
Un discorso a parte merita la regina del nuoto italiano, Federica Pellegrini. Lei è ciò che più assomiglia al successo dei vari Tomba, Pantani, Rossi e Sinner. Anche Pellegrini ha ispirato molti bambini ad iscriversi alle società di nuoto, anche lei è stata ed è ancora un’icona pubblicitaria, ha saputo anche diventare personaggio televisivo, ma non ha concentrato sul nuoto la stessa attenzione. Pellegrini non è solo una sportiva la cui fama ha oltrepassato i confini dello sport, ma è una donna che ha saputo conquistarsi il successo anche fuori dall’ambito sportivo e non solo perché una campionessa e non solo per il suo bell’aspetto estetico.
Rispetto agli anni di Tomba e Pantani ciò che più è cambiato è il modo in cui si vive e si segue lo sport. Le payTV hanno ristretto numericamente il pubblico e, se la Davis e le ATP Finals non fossero state trasmesse dalla RAI, non parleremo nemmeno del fenomeno Sinner. Le payTV hanno anche cambiato la natura dell’appassionato. Più ore e repliche, più approfondimenti, più dati e numeri alla lunga selezionano il pubblico, stancando una parte di esso.
Se non si riuscirà a rendere la sua fruizione più generalista e gratis, il rischio è che il successo attuale del tennis sia effimero; ricordiamoci che è solo il pubblico occasionale che fa i grandi numeri, che fa “massa”. E non è detto. Ammettiamo pure che i grandi tornei di tennis tornino in chiaro, potrebbe essere comunque inutile; è probabile che il tempo di attenzione e dell’infatuazione di tutti oggi sia più breve e bruci un qualsiasi fenomeno mediatico più velocemente che in passato.
Altra differenza con gli anni ‘80 e ’90 sta nello stile e nella personalità dei protagonisti. Tomba e Pantani non erano solo ottimi sciatori e ciclisti, ma interpretavano lo sport in maniera eretica, anche all’occhio del non esperto; le loro imprese avevano un valore artistico, quasi rivoluzionario.
Tutto questo era percepito perché il pubblico culturalmente era predisposto a coglierlo e valorizzarlo. Oggi, l’ipertrofica offerta di canali specializzati e la disponibilità di motori di ricerca in Internet pronti a snocciolare dati e statistiche, riduce o addirittura cancella la sensibilità artistica del pubblico. In altre parole, lo sport è meno poetico.
In questa era le personalità degli sportivi tendono ad essere piatte e meglio associabili a prodotti pubblicitari. Ve lo immaginate in questi anni un Muhammad Ali o Maradona? O nel ciclismo un Bartali? La loro forza “politica” sarebbe anestetizzata dall’attuale narrazione.
È completamente cambiato il significato che la società dà allo sport, cosa simbolicamente rappresentata quella impresa sportiva o quel campione sportivo, conta lo spettacolo più della prestazione. Rimane invece, questo sì Sinner ha in comune con i suoi predecessori, il racconto del Noi e Loro, spesso condito di becero nazionalismo. Il Noi è fondamentale, oggi come allora, la partigianeria é necessaria per potersi appassionare, fermarsi ad assistere all’evento.
Gran parte del successo del calcio si fonda su questo, sul processo di identificazione in dei colori, generatore di mute sociali, accozzaglie di persone che condividono poco o nulla, ma capaci di riconoscersi in un feticcio, un club, spesso nemmeno territoriale, che almeno un suo senso lo avrebbe.
Nel 1976 i tennisti italiani nel doppio affrontarono gli avversari indossando delle magliette rosse, come protesta contro la dittatura militare di Pinochet e, forse soprattutto, per placare le polemiche politiche in Italia che chiedevano di non giocare per non dare alcuna vetrina al regime cileno. Quanto fu mito e quanto reale gesto politico quello delle magliette rosse è tuttora argomento di discussione, e forse anche in questo il presente si differenzia con il passato, l’assenza di mitologia.
Anche nelle finali Davis di Malaga non sono mancati gli accenti politici. Le prese di posizione di Djokovic durante la pandemia ne ha fatto un idolo per chi aveva posizioni critiche verso il vaccino anti-COVID, e un nemico per gli altri. Ancora un Noi e Loro in salsa moderna, un ingrediente politico che ha aggiunto gusto al piatto e, nel suo piccolo, contribuito al successo di ascolti, ma nessun mito all’orizzonte.
La domanda e speranza degli appassionati di ciclismo oggi è se ci sarà un Sinner-corridore capace di riportare ai vecchi fasti questo sport antico nei suoi valori e significati. È molto difficile che accada, recentemente un grande fuoriclasse come Nibali non ha acceso le masse. Un evento simile sarà solo possibile se il ciclismo saprà sintonizzarsi con le nuove sensibilità della società: ecologismo, benessere psicofisico, paesaggio.
Temo che il grande pubblico odierno non sia più in grado di riconoscere un nuovo Pantani; c’è bisogno di un linguaggio nuovo. È una grande sfida che vede coinvolti tutti noi che amiamo questo sport, sapergli dare significati simbolici in grado di interessare un grande pubblico ed allo stesso tempo preservare l’essenza epica e temeraria di una corsa in bicicletta.
Nel frattempo, assecondando il nostro lato conformista e con un pizzico di invidia per il tennis, diciamo “bravo Sinner, viva Sinner!”.