La Sanremo è un inno alla multidisciplina e al talento
Sono stati due ciclocrossisti, un pistard e il più forte ciclista al mondo ad animare lo splendido finale della Classicissima: i tempi della specializzazione sono alle spalle, spazio alla fantasia
Negli scorsi giorni, settimane, mesi e potremmo dire persino anni, hanno tenuto banco nell'ambiente del ciclismo diversi dibattiti riguardanti l'opportunità di praticare doppia o tripla attività per alcuni ciclisti di primo piano. Basti pensare a Tom Pidcock, campione olimpico nello short track, iridato nel ciclocross e vincitore della Strade Bianche solamente pochi giorni fa, o a Tim Merlier, campione belga, attualmente miglior velocista del mondo e grande atleta nel cross (soprattutto in passato); ma ancora Quinten Hermans (secondo alla Liegi '22), Gianni Vermeersch e per parlare anche di pista e di Italia Elia Viviani - di cui sarebbe superfluo elencare il mostruoso palmares - Simone Consonni e Jonathan Milan, tutti atleti che del binomio strada-pista si sono fatti portabandiera.
Oggi sul podio della Sanremo sono saliti i tre esponenti più autorevoli delle due categorie citate (crossisti e pistard), vale a dire Mathieu van der Poel, Filippo Ganna e Wout van Aert. Potrebbe essere la pietra tombale di tutte le discussioni, ma è prevedibile che tra qualche tempo le voci dubbiose su quest'approccio al ciclismo contemporaneo torneranno a prendersi la scena del dibattito ciclistico.
A portare avanti alcune delle tesi più tranchant in difesa del tradizionalismo “strada-centrico” - che poi è ciò che più lontano dalla tradizione possa esistere, visto che i migliori ciclisti della storia non si sono limitati a disputare solo corse su strada nel corso della loro carriera - sono state personalità del calibro di Tom Boonen e Patrick Lefevere. I due belgi, però, ancora affezionati ad un passato recente in cui la specializzazione e la limitatezza degli orizzonti era cultura imperante, si sono dimostrati con quelle stesse parole per nulla al passo con i tempi, che al contrario predicano varietà e multidisciplinarietà.
La generazione dei Pogacar, degli Evenepoel, impostasi prepotentemente a partire dal 2019 in avanti, ha infatti riportato al centro del ciclismo una dimensione di fantasia e di estro che era stata quasi dimenticata nell'era precedente, dominata da trenini di vario genere e pochi colpi di classe (ma quei pochi erano di assoluto spessore). Ma sono stati soprattutto i tre atleti saliti sul podio nella Sanremo odierna ad affermare in maniera incontrovertibile il successo della multidisciplina, che permette a tutti noi di godersi lo spettacolo delle sfide fra WVA e MVDP anche a dicembre e la potenza ed eleganza in pista di Ganna a stagione (stradale) finita.
Tuttavia, si sa, se si vuole essere considerati dei Grandi con la G maiuscola del ciclismo di fronte alla vasta platea di appassionati è necessario affermarsi anche su strada, non basta regalare emozioni. Ma è proprio su questo che le due fazioni, da una parte Boonen e Lefevere, dall'altra ex-crossisti come Lars Boom e Zdenek Stybar, si dividono, interpretando in maniera divergente l'utilità per la stagione primaverile/estiva di ciclocross e pista (seppur questa disciplina sia in realtà un po' esterna alla discussione, visto che nessuno tra gli atleti di vertice che la alternano alla strada si impegnano in una vera e propria stagione nei velodromi, ma piuttosto inseriscono la attività tra un blocco e l'altro dell'anno "outdoor").
Per i primi, disputare corse che richiedono sforzi intensi già a dicembre e gennaio non permette di essere poi al top nelle grandi classiche ad aprile. Quindi, se l'obiettivo di Wout e Mathieu è quello di conquistare quante più Fiandre e Roubaix possibili, meglio lasciar perdere il cross e limitarsi a costruire il fondo durante l'inverno. Per i secondi invece, che hanno sperimentato ambedue gli approcci, continuare a correre nel fango è la chiave per una carriera lunga e di successo.
Ad alimentare ulteriormente questa polemica è stato negli scorsi giorni lo stesso Van der Poel, il quale ha dichiarato che forse, per lui, la preparazione ideale in vista della primavera stradale sarebbe senza cross, poiché tale scelta gli consentirebbe di iniziare l'anno su strada con un'ottima base di fondo da cui partire per raggiungere in un secondo momento la massima condizione, difficilmente acquisibile altrimenti. Ciò che fa riflettere di questa affermazione, però, è che le migliori annate di MVDP su strada sono state successive ad un inverno intenso nel ciclocross, mentre la peggiore è stata per distacco, almeno nel suo incipit, il 2020, quando il figlio e nipote d'arte ebbe tutto il tempo di accumulare chilometri in allenamento, ma si presentò ad agosto con una gamba tutt'altro che eccezionale.
Anche alla luce del successo odierno, ottenuto grazie all'astuzia tattica sì, ma soprattutto per merito di grandi gambe, le migliori di tutto il lotto di partecipanti, pare confermata la tesi che l'avvicinamento ideale ai grandi appuntamenti per Mathieu si raggiunge attraverso alcune gare di cross (non una stagione intera, bensì una decina/quindicina di gare) e altre corse di preparazione, opportunità ideale per rodare la gamba in vista degli obiettivi clou.
E per ciò che concerne Ganna, Van Aert e tutti gli altri invece? In generale si sta confermando la tendenza degli ultimi anni: chi pratica la doppia attività migliora sia su strada che nella propria disciplina madre; gli esempi sono molteplici (oltre a quelli d'inizio articolo ve ne sarebbero molti altri, ma non serve elencarli tutti) e la conclusione che ci portano in dote è solamente una: la multidisciplinarietà è positiva sotto ogni punto di vista, di spettacolo, prestazioni o energia e libertà mentale che sia.
Chi invita Ganna o Van Aert ad abbandonare pista e cross dovrebbe ricalibrare la mira delle proprie critiche anche - ma non esclusivamente - alla luce di ciò che ci ha detto la gara odierna, vale a dire che quando conta chi si prepara in maniera “diversa” ed è supportato da grande talento si fa trovare pronto. Filippo, ad esempio, ha disputato l'Europeo di Grenchen in febbraio e tra San Juan, l'Algarve e soprattutto le corse italiane ha palesato una condizione eccezionale, probabilmente la migliore della sua carriera (che dopo oggi potrebbe prendere direzioni parzialmente inaspettate). Perché dunque voler per forza rinnegare l'utilità della multidisciplina in nome di una rigidità ideale di cui non si comprendono fino in fondo le radici?