Sandra Mäder: "Credo che fosse destino di Gino morire quel giorno"
A quasi tre mesi di distanza dalla morte del figlio, la mamma dell'ex corridore della Bahrain-Victorious ha rilasciato un'intervista in cui ripercorre i momenti più concitati di quei giorni
Il 16 giugno il mondo del ciclismo è stato funestato da una notizia che mai si vorrebbe sentire, la scomparsa di un atleta. Al Tour de Suisse, infatti, Gino Mäder scivolava lungo un pendio dopo un'uscita di strada in discesa e, pur soccorso e trasportato in ospedale d'urgenza, perdeva la vita poche ore dopo l'incidente. La mamma dell'ex corridore della Bahrain Victorious, Sandra, ha deciso di rilasciare la prima intervista ufficiale in merito alla questione a quasi tre mesi di distanza, ai microfoni del quotidiano Südkurier.
“Quando qualcuno mi chiedeva se Gino avrebbe partecipato al Tour, ho sempre risposto che una cosa del genere non è mai certa. Una caduta e tutto potrebbe finire, queste furono le mie parole allora. Quel giorno sono uscita a cena, sono stata invitata a un evento organizzato da un ex datore di lavoro. Non ho approfondito, ma Gino mi ha esortato ad andarci invece di guardare il Tour de Suisse. Che ci crediate o no sono stata nervosa tutto il giorno, non sapevo nemmeno il perché. Qualche ora dopo ho ricevuto dei messaggi che chiedevano come stava Gino, mi è stato detto che era caduto. In quel momento non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo. Il fatto che fosse indietro a causa di una caduta non significava che fosse successo qualcosa di grave“.
Sandra Mäder, poi, ha parlato dei momenti concitati vissuti quando i medici hanno provato a salvarlo: “Mi era già chiaro che l'unica domanda che sarebbe rimasta era quando disconnettere le macchine. Gli scenari erano chiari. Se ci fosse stata attività cerebrale le macchine si sarebbero dovute spegnere. In quel caso Gino doveva poter respirare da solo, altrimenti sarebbe soffocato. Inoltre, anche se fosse riuscito a respirare efficacemente, nessuno avrebbe potuto dire se sarebbe stato per un minuto, un'ora, un giorno, o dieci anni”.
La mamma del compianto ex corridore della Bahrain-Victorious, però, non punta il dito verso nessuno: “La colpa non è di nessuno. Pedalare in salita e in discesa fa parte del percorso. Anche chi va a lavorare in macchina corre dei rischi. La possibilità che un corridore abbia un incidente in allenamento è maggiore che durante una gara. Credo che fosse destino di Gino morire quel giorno. Due giorni dopo la sua scomparsa abbiamo visitato anche il luogo dell'incidente. Abbiamo raccolto i pezzi del suo casco e ci siamo sentiti legati a lui”.