Adam Hansen, presidente del CPA © Adam Hansen
Professionisti

Il sindacato, il Giro, la chicane, i corridori e le cadute: tutte le verità di Adam Hansen

In una lunga intervista esclusiva il presidente del CPA che ci spiega ogni cosa nel dettaglio. Su RCS Sport: "Non è facile lavorare con loro". Sugli airbag: "Arriveranno presto". Sull'associazione: "Dobbiamo migliorare"

15.06.2024 13:10

Sempre di più, da diverse stagioni in qua, il CPA - Cyclistes Professionnels Associés - ha fatto parlare di sé, così come tantissimi commenti, spesso molto critici nei confronti dei corridori, ha scatenato l'operato del sindacato presieduto dal 2023 dall'australiano Adam Hansen.

Ciclista professionista dal 2007 al 2020 (con qualche anno speso tra le categorie GS3 e Continental prima e dopo queste date), celebre per il record di 20 grandi giri di fila disputati (e conclusi) dalla Vuelta 2011 al Giro 2018 e con 5 vittorie all'attivo, Hansen è passato praticamente in via diretta dalla sella alla scrivania: ha smesso di pedalare ufficialmente nel settembre 2022, e dal marzo 2023 è presidente del CPA.

Proprio a lui abbiamo voluto porre le domande che circolano tra gli appassionati ogniqualvolta l'attività sindacale irrompe sulla scena (che si tratti di una tappa da tagliare per maltempo, o di una discesa pericolosa da mettere in sicurezza, o di una chicane da inserire all'ultimo momento in una grande classica), con le immancabili polemiche che seguono tale attività… Una lunga ed esplicativa intervista grazie alla quale capiremo una molteplicità di aspetti sul ciclismo che vediamo in questi anni.

In questa intervista vorremmo capire come funziona il Cyclistes Professionnels Associés nel dettaglio. Innanzitutto ci potresti condurre attraverso il sistema di sondaggi e votazioni?

«Il nostro modus operandi dipende dal tipo di voto. Per quanto riguarda il sistema SafeR i ciclisti pagano per il 20% dei fondi totali e c'è un sistema di votazione individuale. Ogni squadra ha un rappresentante che è delegato a raccogliere i voti individuali e comunicarci quanti sì e quanti no ci sono.

All'interno di una gara, per esempio è successo varie volte durante l'ultimo Giro d'Italia, quando i ciclisti presentano una richiesta inizialmente facciamo un sondaggio non ufficiale sul gruppo Telegram. Chiediamo quante squadre sono d'accordo, poi vediamo in quanti rispondono; per esempio nella prima occasione avevamo avuto solo 8 risposte. Se fossero la maggioranza (come successo nel caso dello Stelvio, ndr) apriamo una nuova votazione Telegram e questa volta sarà ufficiale.

Solitamente, anche se potrebbe cambiare, ciò che voglio sempre fare è far sì che per una modifica importante – per esempio al Giro 2023 – la maggioranza sia posta all'80%. Ma in precedenza ci siamo accordati all'unanimità che se si raggiunge l'80%, tutti i corridori devono accettare la decisione. Questo è fondamentale, vogliamo che anche quando i corridori individualmente sono in disaccordo, supportino la decisione del gruppo. Nel caso della tappa accorciata dell'anno scorso la percentuale si aggirava intorno al 90%, un numero molto alto. Non comunichiamo il totale, ma che si sia superato l'80%.

È in arrivo una app attraverso la quale si potrà votare individualmente invece che con un rappresentante, e il processo sarà più preciso.

Poi ci sono altre modalità, per esempio quando votiamo per il presidente si vota all'Assemblea Generale, per le votazioni interne la maggioranza è al 50%, e in generale ogni tipo di situazione ha le proprie regole».

Quando il CPA ha annunciato la chiacchieratissima curva a gomito della Roubaix prima della Foresta di Arenberg, com'è stato possibile che un atleta di fama mondiale come Mathieu van der Poel potesse dichiarare pubblicamente che non ne sapesse nulla? Ed era vero?

­«Siamo piuttosto arrabbiati per quella situazione. In quel caso abbiamo contattato solamente corridori che avrebbero corso la gara, perché ASO era già d'accordo con noi e non volevamo farne un caso mediatico. Tante squadre non partecipavano, allora ho contattato specificamente un corridore per squadra fra i partecipanti. Ho coperto ogni squadra, ma il corridore indicato della Alpecin non ha letto il messaggio.

Più di una settimana prima della Roubaix ero all'incontro dei direttori sportivi e tutti sapevano già della modifica. Quando sono arrivato scherzavano con me dicendo che volevo rendere la Roubaix più lunga, e mi sono presto reso conto che tutti stavano parlando di quell'argomento. Il DS della Alpecin era presente, ci ho parlato, gli ho mostrato tutto, foto comprese, e sapeva tutto. Gli ho mandato un Whatsapp dicendogli che tutte le squadre avevano accettato tranne la sua, e che era importante sapere il loro parere perché se la squadra o Van der Poel avessero avuto dei dubbi, come chiunque altro, li avremmo voluti risolvere insieme. Vogliamo sempre rappresentare tutti. Il DS non ha più risposto e non ha segnalato alcun problema, quindi abbiamo proceduto.

Detto ciò, non rappresentiamo solo un corridore, quindi anche se lui fosse stato in disaccordo, avremmo seguito la maggioranza. Terry di ASO è stato molto gentile e ci ha detto che l'importante era che avessimo la maggioranza. Quindi è stato un problema di comunicazione interno alla Alpecin, ho gli screenshot Whatsapp della conversazione con il DS e semplicemente non ha informato gli atleti.

Alla visione del tweet mi sono molto arrabbiato, perché questo scredita il CPA: lavoriamo tanto e in questo modo sembra che non abbiamo contattato tutti, quando l'abbiamo fatto. Successivamente sono riuscito a parlare con il DS e ha detto che era troppo presto per un cambiamento così grosso. Gli ho chiesto, troppo presto per chi? Visto che sono stati i ciclisti a chiedermelo e volerlo. Forse era troppo presto per lui, ma sicuramente non per i ciclisti, che erano tutti d'accordo. Per i fans? Non facciamo cose per i fans, ma per la sicurezza.

Alla fine ho parlato anche con Van der Poel e lui mi ha confermato che era un cambiamento giusto, che ha reso la corsa più sicura e anche che odia – come tutti – l'ingresso ad Arenberg, che è un rischio ogni singola volta. Quindi era d'accordo anche lui, ma purtroppo il DS non l'aveva avvisato».

Dopo qualche anno di lavoro del CPA, succede ancora spesso che gli atleti si mostrino sorpresi o ignari riguardo a votazioni e cambi di regole. State studiando nuovi metodi di comunicazione con gli atleti per raggiungere maggiore consapevolezza e partecipazione?

«Questo è il fulcro di tutto. Comunichiamo tutto con link e comunicati, ma spesso tanti corridori non vogliono essere coinvolti. Quando sul gruppo parliamo di SafeR magari metà sono molto interessati e l'altra metà non risponde, non comunica coi compagni e rende tutto più difficile. Noi facciamo il possibile, poi ci deve essere anche responsabilità da parte loro, è il loro lavoro e dovrebbero prenderlo seriamente. “Posso portare il cavallo fino all'acqua ma non posso obbligarlo a bere”.

Nel gruppo del Giro all'inizio c'erano 68 corridori su 176, ma ogni giorno che passava se ne aggiungevano altri 5 con rinnovato interesse. In tanti vogliono saperne qualcosa solo quando c'è qualcosa di grosso in ballo. Ma miglioreremo».

In che misura i ciclisti sono coinvolti e credono nel processo di votazione? In percentuale, quale è l'attuale trend di partecipazione?

«Con SafeR abbiamo bisogno del 100% di voti dei corridori, raccolti da ogni rappresentante – e la percentuale dei “sì” deve essere alta, come spiegato precedentemente. Tanti sondaggi invece non hanno un quorum, ma rimane sempre la regola base: anche se non tutti votano, tutti dovranno essere d'accordo con la decisione espressa dalla maggioranza dei votanti. Quindi se non vuoi che si prenda una decisione che non approvi, ti conviene partecipare o creerai un problema per te stesso. Invito anche tutti a scrivermi di persona per parlare di un problema, così da avere il polso del sentimento del gruppo al di là di quelli che rispondono sempre, che rischiano altrimenti di monopolizzare le decisioni. Facciamo del nostro meglio per far sentire la voce di tutti i corridori.

Per quanto riguarda le percentuali, dipende molto dalle votazioni: per esempio l'anno scorso ho fatto un sondaggio con 171 atleti di Paris-Roubaix maschile e femminile e dell'Itzulia. L'unica squadra a non rispondere dalla Roubaix fu la Visma, perché all'inizio c'erano delle frizioni fra la Visma e il CPA, ora risolte. Una delle modifiche principali riguardava il contratto collettivo fra i corridori e le squadre. Avevo chiesto ai ciclisti di farmi parlare con i loro agenti che conoscono bene la situazione, e alla fine l'abbiamo aggiustato in favore degli atleti.

Dopo che avevo parlato alla Visma, un singolo corridore era generalmente contro il CPA per questioni passate, e gli ho spiegato quanto stessimo facendo nell'ultimo anno. Poi gli ho detto: se la tua squadra non vota non c'è problema, ma in questo modo non avrete voce e dovrete accettare decisioni che non volete. Alla fine ci siamo capiti, hanno votato e ora Visma è una delle squadre più attive e coinvolte nel CPA.

Quando posto le percentuali online voglio far capire questo concetto, e da quella volta alle votazioni partecipano molti più corridori.

Durante il Tour dei Pirenei femminile 2023 abbiamo lavorato per cancellare una tappa e modificarne un'altra, ed è stato molto importante: in occasioni come quella serve sempre la maggioranza a numeri molto alti».

Il caso della chicane di Roubaix

Sia nel caso della curva della Roubaix che della discesa pericolosa in Itzulia gli allarmi hanno suonato ben prima che gli organizzatori si muovessero riguardo al problema sicurezza. Come mai passa così tanto tempo dalla segnalazione alla risposta, per esempio nel caso della monumento francese? Quali soluzioni per ridurre questo importante divario temporale? Forse c'è troppa politica a rallentare il processo?

«Non è semplice avere a che fare con l'organizzazione delle corse. Per la Roubaix ho chiesto a Terry ed è stato super veloce. La storia si è sviluppata così: c'è stata una squadra che me l'ha chiesto per prima, ed è successo molti mesi fa, già in gennaio avevo detto a Cycling Weekly che stavamo pensando a qualcosa. C'erano tre opzioni, ho chiesto al direttore di corsa quale fosse praticabile e lui mi ha detto che era impossibile spostare tutto a destra o a sinistra, ma la chicane era una possibilità, e alla fine l'hanno fatto. In questo caso l'idea è venuta da noi del CPA, e lui stesso ha preteso la maggioranza dei voti dei corridori. È stato molto bravo.

So che ci sono state polemiche sul fatto che a volte sono molto duro con RCS o altri e più morbido con ASO, ma la verità è che sì, ASO organizza corse molto importanti, ma soprattutto con loro è facile parlare, e sono anche più proattivi ed accondiscendenti. Sono una delle organizzazioni con le quali è più facile incontrarsi e discutere. Anche UniPublic è un organizzatore molto valido che fa le cose ben bene, ma la comunicazione con loro è più complicata che con ASO; rimane comunque molto più facile che con RCS.

Cambiare percorsi è molto difficile, non è solo politica: le organizzazioni hanno contratti da rispettare con le città di partenza e arrivo, devono ottenere permessi e garanzie dalla polizia che sono progettati da mesi, quindi quando hai bisogno di cambiare tutto con pochissimo preavviso è un grosso stress. Spesso poi quando chiediamo qualche modifica al percorso ci sono strade fondamentali per le infrastrutture pubbliche, magari anche per ospedali o stazioni dei pompieri, che non possono essere mai chiuse. Questo è uno dei fattori chiave, ed è molto difficile per gli organizzatori».

Come funziona il tuo accordo economico con il CPA? E quante altre persone lavorano per l'associazione? Quali sono le vostre risorse economiche ed umane per mandare persone a controllare corse di tutto il mondo, e secondo la tua opinione, sono sufficienti per coprire almeno le corse più importanti, con un occhio ad un'espansione futura anche alle gare minori?

«Gli impiegati del CPA sono tre. Per me è più che un lavoro full-time. Poi ci sono un segretario e un tesoriere. Poi abbiamo le associazioni nazionali (Italia, Francia, Spagna, Belgio, Portogallo, Colombia, Svizzera, Australia, Polonia) con relativi membri del CPA. Queste associazioni nazionali hanno un proprio bilancio e c'è un delegato in ogni paese, per esempio un rappresentante della sezione italiana è presente ad ogni tappa del Giro (Salvato, ndr) e rappresenta i ciclisti italiani.

Il motivo è che abbiamo tante questioni riguardanti contratti e leggi dei vari paesi, e servono persone con un background legale specifico per ognuno.

Per ogni corsa World Tour abbiamo un rappresentante in loco; l'80-90% delle volte sono io o un altro degli impiegati. Per le corse che non riusciamo a coprire incarichiamo un corridore, ma agisce solo in caso di attuazione dell'extreme weather protocol. In quei casi ci sono quattro attori a dover decidere: ciclisti, squadre, UCI e organizzatori, e abbiamo bisogno di un tramite».

Su Cicloweb negli ultimi anni abbiamo parlato molto di protezioni sui ciclisti, e ne parliamo con ogni atleta che contattiamo per interviste. Voi cosa ne pensate? Avete intenzione di spingere su questo tema o è un'utopia?

«Ne stiamo parlando su SafeR proprio in questo periodo. Presto testeremo il sistema airbag fornito da un'azienda tedesca. L'unico problema con gli airbag è che quando cadi si aprono automaticamente, anche dopo urti lievi. Nei casi in cui cascano tanti corridori insieme si possono creare problemi: se cadono in 40 e solo due sono infortunati, gli altri 38 airbag si apriranno comunque, e bisogna capire cosa questo possa comportare: devono smettere di correre, devono attendere un altro airbag dalla squadra, o dagli organizzatori…? Dovremo tenere tutto in considerazione, ma è un discorso attivo».

È difficile lavorare con RCS Sport

I corridori in attesa di partire "da Livigno" all'ultimo Giro © ANSA
I corridori in attesa di partire "da Livigno" all'ultimo Giro © ANSA

Abbiamo avuto tante controversie durante gli ultimi Giri d'Italia, e spesso da fuori è difficile comprendere le reali dinamiche delle decisioni e il punto di vista del gruppo. Avendo vissuto da dentro entrambe le situazioni in ruoli diversi, ci potresti raccontare qualcosa su Morbegno o Crans Montana?

«Accorciare o cancellare una tappa è un'operazione che viene sempre fatta con buon cuore. Al Giro del 2023 avevamo avuto una tappa di maltempo che aveva mandato a casa dieci ciclisti il giorno stesso e altrettanti il giorno dopo perché si erano ammalati. Abbiamo perso venti atleti in un giorno dopo aver provato a fare qualcosa al riguardo, ma non era stato possibile. Ovviamente questo non è bello per i tifosi. Il gruppo corre sempre col maltempo, ma alcune giornate sono davvero estreme e credo che il pubblico non si renda conto di quanto. Non si tratta di mezz'ora al freddo, ma giorni e giorni sulla bici, sei ore al giorno, sempre al freddo, e poi quando arrivi ad una discesa di 15-20 km non puoi pedalare e ti raffreddi sempre più. È veramente dura. Abbiamo provato a fare qualcosa, non ci è stato permesso adducendo come motivazione la mancanza di preavviso. Allora la volta successiva abbiamo avvisato con tre giorni di anticipo, ma alla fine nel giorno della tappa il meteo non era così male. Ma bisogna fare dei compromessi.

L'idea è che in ogni altro sport all'aperto appena c'è una goccia di pioggia si fermano, mentre nel ciclismo si continua. Dobbiamo badare alla salute dei corridori. Alla Freccia Vallone c'era un corridore (Mattias Skjelmose, ndr) che ha sofferto di ipotermia. Nel calcio o nel tennis quando il tempo peggiora possono ripararsi e riscaldarsi, i ciclisti sono in mezzo al nulla, senza protezioni. Per questo vogliamo proteggerli».

In tanti pensano che RCS Sport abbia una vita più dura con le richieste del gruppo rispetto ad ASO. Esiste una differenza di approccio quando si parla con un'organizzazione più potente rispetto ad un'altra?

«Credo che la percezione del pubblico sia un po' fuori fase su questo argomento. La realtà è che parlare e lavorare con ASO è molto, molto facile. Per la chicane della Roubaix fu semplicissimo, erano molto favorevoli e ci siamo addirittura sorpresi. Al contrario non è facile lavorare con RCS. Francamente non capisco perché, noi facciamo del nostro meglio. In loro difesa va detto che il posizionamento del Giro nel calendario è molto penalizzante. Dovrebbe iniziare una settimana più tardi come era prima, e lo pensano tutti. Il motivo della continua problematicità del Giro è principalmente questo».

Sei stato soddisfatto del lavoro fatto con RCS all'ultimo Giro d'Italia? Il caso di Livigno sembra un esempio del vostro difficile rapporto comunicativo con questa organizzazione.

«­Per raccontare tutta quella giornata ci vorrebbe infinito tempo. Riassumendo, non sono stato molto soddisfatto del risultato, che non è stato buono per il ciclismo, anche se quantomeno lo è stato per i ciclisti, che non hanno dovuto pedalare nella neve come avrebbero voluto gli organizzatori.
Al meeting preliminare ho chiarito che non fosse sicuro far correre il gruppo con 2 gradi e la neve su due lunghe discese alpine, mentre la loro posizione era che bisognasse affrontarle.

Gli ho chiesto perché ci fosse questa necessità, considerato anche il rischio di strada chiusa per neve; loro hanno proposto questa specie di pit stop con la possibilità di far riscaldare e cambiare i corridori in cima. Per me anche questa idea era un disastro. Se ci fosse stato un gap di 15' fra fuggitivi e gruppo, avrebbero fatto fermare tutti per un quarto d'ora in mezzo alla neve e poi ripartire? Era un casino, è ciclismo professionistico, non vogliamo fermarci e ripartire durante le corse.

Insomma hanno fatto tutte queste proposte ma alla fine le autorità svizzere hanno prevedibilmente chiuso le strade per la neve. A quel punto RCS ha detto "Facciamo due giri a Livigno e poi da lì seguiamo quello che ci avete chiesto". In quel momento aveva già nevicato alla partenza e i corridori stavano già aspettando da un po'. Ma l'obiettivo dell'organizzatore era partire da Livigno, sono anche stato chiamato al telefono dal sindaco e ho ricevuto un sacco di reprimende da RCS, e solo a quel punto hanno rivelato che la partenza da Livigno per loro era la cosa più importante di tutte.

Ci sono rimasto male, perché sarebbe stato molto più semplice dirlo da prima, all'inizio delle negoziazioni. Durante il meeting non erano mai, mai stati menzionati questi due giri intorno a Livigno fino a quando le autorità svizzere non hanno chiuso la strada. A quel punto l'hanno proposto a cinque minuti dalla partenza. Sono sicuro che se l'avessero menzionato da subito i corridori sarebbero stati felici di salutare il pubblico, ma a quel punto era troppo tardi».

Al Delfinato c'è stata un'altra grossa caduta, che ne pensi? E pensi che potrebbe essere utile istituire delle figure che fungano da leader della questione sicurezza dentro al gruppo in futuro, portando avanti il vostro lavoro da dentro?

«Tante strade sono scivolose per motivi diversi, è difficile capire ogni volta la causa precisa. Ciò che conta è che ci sono sempre troppe squadre forti che cercano di controllare le discese mettendosi davanti al gruppo. Non voglio usare la parola rispetto, ma non è così necessario chiedere sempre ai ciclisti di stare davanti in ogni fase della corsa, questo aspetto sta creando un sacco di problemi.

Proprio per questo motivo, sfortunatamente, potremmo aver bisogno come suggerite di inserire dei "safety leader" in gruppo in futuro, per controllare meglio le gare, suggerire cautela quando serve e dare il buon esempio. Altrimenti sarà sempre più difficile, e la pressione per vincere gare prestigiose è altissima. Ma credo che stiamo migliorando, e le recenti news che arrivano da SafeR segnano la strada per un futuro migliore».

Quanto sei generalmente soddisfatto del lavoro del CPA e del suo ruolo nel ciclismo? Cosa ci possiamo aspettare dal sindacato nei prossimi anni?

«Penso che possiamo fare molto e che miglioreremo sempre più. Mi sono stati offerti diversi lavori nel ciclismo, in cambio dovrei lasciare subito la presidenza, ma questo ruolo e questo lavoro mi piacciono davvero tanto, e oltre a concludere questo mandato mi piacerebbe prolungare iniziandone un altro.

Ho in mente tante cose per il CPA, ci vorrà tempo e non posso fare tutto nello stesso tempo ma ci arriveremo. Credo che i ciclisti ora sentano di essere ben rappresentati ed è la cosa più importante. Una delle prossime cose sarà la app che stiamo creando per comunicare meglio con i corridori, e poi vorrei fare qualcosa per l'applicazione che viene usata per fornire la propria localizzazione al sistema Adams, che al momento è alquanto terribile. Con l'impostazione attuale si può cambiare la località in cui passerai la notte in caso di esigenza, e per esempio molti atleti ora vivono a Girona o nei dintorni e possono modificare liberamente la località ed andare ad Andorra per allenarsi, e il sistema supporta questa pratica. Ma successivamente quando subiscono un test antidoping e non sono presenti possono comunque essere accusati di aver commesso un'infrazione. Ma se il sistema non accetta questa pratica, non deve essere permessa nella app: questa è una delle tante cose che vogliamo sistemare. Ma sono sicuro che andremo migliorando».

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