Ode a Van der Poel
Il Fenomeno scrive una pagina di storia all'Amstel Gold Race con un finale da batticuore
Il quarto posto al Giro delle Fiandre 2019, qualche giorno fa, in effetti qualche sospetto avrebbe dovuto farlo già nascere, perché non è del tutto normale che uno che cade malamente, sta fermo per un po', sembra quasi sul punto di ritirarsi, con una spalla dolorante, risalga in bici e faccia quarto, rimontando praticamente mezzo gruppo, in quella che tra muri, pavè e strade strette è forse la classica più deteriorante in assoluto, forse persino più di una Paris-Roubaix, che ha regole più interpretabili, per le quali le pietre spaccano gambe e gruppi e mettono i migliori contro.
Ecco, oggi al sospetto s'è sostituita la visione, di un ciclismo presente ma probabilmente molto a lungo futuro, nel quale Mathieu van Der Poel farà, in certi giorni, letteralmente quello che vorrà, perché l'onnipotenza è propria solo degli dei, prenderà sberle, perderà bene e male anche lui, ma oggi abbiamo avuto una prova tangibile di quella semidivinità che appartiene solo a pochissimi.
Una tattica non perfetta, ma le gambe non lo abbandonano mai
È difficile in questa epoca cronistica, nella quale le narrazioni sono diventate ridondanti, arrivando a magnificare anche il più banale dei gesti tecnici, esprimere, con parole, l'Amstel Gold Race 2019 di Mathieu van der Poel, tutta. Perché se quell'ultimo chilometro è già storia di questo sport, pillola da riproporre per decenni, è tutto lo svolgimento della corsa dalla prospettiva del ragazzo olandese che è folle per concezione, sballato per tattica. Ricomponiamolo allora attraverso visioni, non parole: Mathieu attacca a quasi 50 chilometri dall'arrivo, da solo, un affondo che pare sconclusionato e forse lo è, perché si esaurisce poco dopo e, soprattutto, lo lascia scoperto quando sono Julian Alaphilippe e Jakob Fuglsang ad andarsene.
«Vabbè, un errore di gioventù», «non lo rifarà», «gli servirà in futuro», bla bla bla. Fuga andata, gruppetti vari davanti, corsa persa. La regia si concentra, giustamente, altrove, Alaphilippe e Fuglsang, Michael Kwiatowski e Matteo Trentin, Maximilian Schachmann, in ordine di apparizione. Poi, un'altra visione, ai piedi dell'ultimo strappo, Van Der Poel alla testa del gruppetto, alle spalle dei citati, ma troppo lontano (forse, perché i rilevamenti GPS sono sempre quelli che sono). Poco dopo, la superficie dell'acqua inizia a incresparsi, il francese e il danese in testa si guardano, il polacco stacca l'italiano, il tedesco arriva su quest'ultimo, l'olandese tira ancora, non riceve mezzo cambio nemmeno a pagarlo, è più vicino, ma nessuno ha idea di cosa stia per arrivare.
Eccolo, lo scatenarsi della tempesta. Due chilometri, quelli finali, nei quali ancora, da solo, ingurgita metri, macina l'asfalto, rompe il vento, e tutti dietro, a fregarsi le mani, «fa tutto lui e poi lo passiamo», «fammi stringere gli scarpini», «fammi controllare il rapporto», perché due chilometri a ruota sono tanti, hai il tempo di pensare, ma il pensiero di un piazzamento, chi mai potrebbe immaginare di rientrare su quelli davanti, che tanto vantaggio avevano, e che non sono propriamente due pedalatori comuni.
Cancellara in passato, ora tocca a lui
L'ultimo chilometro, la follia. Rewind: Compiègne, terza tappa del Tour de France 2007, Fabian Cancellara è in giallo. Proprio all'ultimo chilometro c'è un settore di pavè, ma una striscia, ben messa tutto sommato, che problemi non dovrebbe crearne. Cancellara usa quelle poche decine di metri per spaccare le gambe degli avversari, prendere cinque metri, aprire un gruppo che sta procedendo compatto verso la volata e arrivare a braccia alzate al traguardo. La più brutale dimostrazione di forza dello svizzero.
Presente: Van Der Poel è a tutta, inizia a seminare gli avversari alla sua ruota, mette nel mirino coloro che ha davanti, Kwiatkowski è davanti, Alaphilippe si lancia, quel furbone di Fuglsang gli è a ruota, è molto più lento ma l'ha fregato tatticamente e ha più gambe, lo passa, ma non serve a nulla, perché su tutti loro si abbatte il tornado olandese, che è incredibile solo pensare che avesse ancora energie per alzarsi sui pedali. E invece li stronca, è assurdo immaginare che l'abbia fatto dopo un inseguimento solitario, con tanti uomini dietro, e invece vediamo compiersi di fronte ai nostri occhi una roba che non può essere descritta, la manifestazione ciclistica dell'irrazionale, perché ne deride le basi, lo stare a ruota, il non sprecare energie prime per averle dopo e tutte quelle cose che sono vere solo per gli umani. E ora per anni si discuterà se sia stata più inumana l'azione dello svizzero o quella del neerlandese.
Dopo il traguardo Mathieu van Der Poel non ci crede, si mette le mani in testa, crolla a terra. Tutti corrono verso di lui, vogliono vederlo. Vogliono ammirare il volto e il corpo di colui che proprio di fronte a loro ha forse appena iniziato la sua opera di riscrittura del ciclismo.