Come un dolce risveglio
Per quanti anni Riccardo Lucca ha dovuto rinviare il proprio sogno di approdare al ciclismo professionistico? Ora finalmente per lui si sono dischiuse le porte di una chance: e la Chimera lascia spazio alla luminosità del giorno
"[...] Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l'immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera"
Molte volte il ciclismo assomiglia ad una poesia struggente, passionale, in cui si avvicendano il desiderio, fomentato dai poteri dell'onirico, e l'illusione che possa per davvero palesarsi ciò che produce l'immaginazione. Esattamente come ne "La Chimera", uno dei più bei componimenti scritti da Dino Campana, di cui qui sopra sono riportati gli ultimi versi. Per questo il ciclista giovane vive sovente in un mondo di sogni da trasformare in realtà, per poi cominciare a comprendere il lato più amaro e crudo della realtà nel momento in cui si viene considerati sì ancora giovani ma non sufficientemente per meritare l'agognato passaggio al professionismo.
Anni e anni di sacrifici per cosa quindi? Per arrivare a tanto così dal riuscire a fare il grande salto e poi ritrovarsi improvvisamente con un pugno di mosche? Per giunta con quel senso di beffa nel veder approdare alla massima categoria colleghi che magari sono inferiori tanto nelle qualità quanto nei risultati? Tutto questo parrebbe un qualcosa fuori da ogni logica, eppure nei tempi attuali il rischio che qualche ragazzo di belle speranze possa trovarsi in una situazione simile, con tutta la frustrazione che ne consegue, è tutt'altro che peregrino, tanto più ora che l'asticella si è alzata al punto da coinvolgere in presa diretta già coloro che hanno appena concluso la categoria juniores.
Rileggiamo di nuovo i versi sopra riportati e poi pensiamo a Riccardo Lucca: ragazzo trentino che già tra gli juniores, quando questa categoria era ancora nulla più di un importante fase di passaggio per chi della bicicletta faceva il divertimento preferito ma con la prospettiva di farlo diventare un qualcosa di più serio, mostrava le sue belle speranze. Una medaglia di bronzo agli Italiani a cronometro al primo anno nella categoria (nel 2014), la piazza d'onore al prestigioso Giro della Lunigiana l'anno successivo, vittorie di tappa alla 3-Tre Bresciana e in generale la sensazione di poter diventare un ottimo passista-scalatore.
Ecco quindi il dilettantismo, vissuto dapprima nelle due formazioni più gettonate dei tempi, la Zalf Desirée Fior e la Colpack, con già belle prestazioni e pure le prime vittorie. Serviva però qualcosa di più sostanzioso, quel qualcosa che si può cominciare ad esibire con la maggior esperienza, sagacia tattica e capacità di spingere al massimo lì dove gli altri vanno al gancio. Riccardo allora ha preso a darci dentro con le fughe, con le prestazioni convincenti sui percorsi mossi, riuscendo ancora a mostrarsi talmente competitivo a cronometro da chiudere al sesto posto assoluto il Campionato Italiano Open (storia di quasi tre anni fa).
Sembrerebbe giunto finalmente il tanto sospirato momento del grande salto, tanto più quando la Gazprom l'aveva scelto per fargli vivere un'esperienza da stagista che poteva essere il preludio di qualcosa in più. Esperienza non troppo fortunata quell coi russi (col senno di poi, visti gli amari sviluppi del tutto, verrebbe da dire che è stato meglio così) e soprattutto zero chiamate per divenire professionista a tutti gli effetti. Zero.
Cosa devi fare, a quel punto, per convincere qualcuno a prenderti? Altro non puoi fare, se trovi chi ti consente ancora di gareggiare nonostante quell'età che una volta ti avrebbe fatto contraddistinguere con la voce “Élite Senza Contratto”), che continuare a impegnarti, a farti vedere a suon di belle prestazioni e a vincere. Così Riccardo Lucca ha fatto e in quel caldo pomeriggio marchigiano, quando scattò con la forza e la rabbia di un sognatore indomito al cospetto della bellezza del Conero, in cui andò a prendersi di giustezza una tappa dell'Adriatica-Ionica lasciandosi alle spalle gente che il professionismo a tempo pieno ormai lo viveva già da un pezzo, nel suo pedalare sembrava quasi di cogliere tutto il senso di quell'"amore disperato" cantato da Nada tanti e tanti anni fa. Con la differenza che l'amore disperato continuava ad avere le malinconiche fattezze della Chimera irraggiungibile.
Non essere mai abbastanza: ecco una delle peggiori condanne dei tempi moderni, sicché neppure il ciclismo fa eccezione. Riccardo qui, tra un fare spallucce qua e là, ha continuato a mettersi sotto e pedalare, timbrando al Giro del Veneto e poi addirittura sul mitico Zoncolan al Giro del Friuli, esibendo quel mix di forza e di passo che caratterizza i corridori di razza. A furia d'insistere e persistere la porta è stata finalmente scardinata e la Bardiani (divenuta nel frattempo Green Project) ha deciso che sì, il ragazzo divenuto nel frattempo venticinquenne (saranno ventisei il prossimo 24 febbraio), doveva avere la sua benedetta chance!
Ora come ora Riccardo Lucca non chiede, probabilmente, neppure troppo se non il poter svolgere quello che, in cuor suo, era diventato già da anni il suo mestiere. Perché quelli come lui non si fanno problemi a prendere il vento in faccia e ad aiutare i compagni e fanno sempre il massimo per riuscire anche a concludere la corsa (alla Challenge Maiorca è stato presente in quattro delle cinque prove previste, riuscendo sempre a vedere il traguardo).
Perché quelli come Riccardo Lucca forse non vivranno una favola come quella vissuta da Alessandro Ballan, un altro che rischiò seriamente di non approdare mai al professionismo e che poi seppe addirittura issarsi in cima al mondo. Di certo però l'essere lì, in mezzo a quel gruppo per tanti anni soltanto immaginato, assomiglia ad un dolce risveglio. Uno di quei risvegli in cui la Chimera, lentamente, si dissolve per lasciar spazio a tutta la radiosa luminosità del giorno.