Allenare adolescenti
Il dibattito tra vecchie e nuove metodologie di preparazione impazza, ma è il momento che la scuola classica (o quel che ne resta) si adegui ai tempi: lo vuole anche la Costituzione!
Un guasto alla lavatrice di casa e le nostre giornate sono sconvolte, dimentichiamo il cellulare e ci sentiamo nudi, lo scooter si ferma e raggiungere il lavoro si complica enormemente; la tecnologia è parte della nostra vita, cambia i nostri tempi e la nostra visione del mondo nel bene e nel male.
Negli ultimi anni, proprio l’avvento di nuovi strumenti tecnologici alla portata di tutti (misuratori di potenza, ciclomulini interattivi) ha fatto sì che anche nel ciclismo iniziasse ad esserci una nuova visione: un’idea diversa su come allenarsi, alimentarsi, sviluppare le proprie capacità psicofisiche, sul percorso idoneo per raggiungere il professionismo.
Inevitabilmente durante questo passaggio culturale si creano divisioni tra il vecchio ed il nuovo.
In una recente puntata della SqualoTV, bella trasmissione condotta su Twitch da Lello Ferrara con Vincenzo Nibali e Domenico Pozzovivo, è emerso un vero e proprio confronto generazionale su questi temi, che ha visto Giorgio Brambilla, ex professionista, laureato in scienze motorie ed autore con Alan Marangoni del canale YouTube GCN Italia, confrontarsi con Alberto Bettiol e Riccardo Magrini, oltre ai fondatori della tv del fuoriclasse messinese.
È emersa una discussione interessante proprio per il suo valore di scontro culturale, i cui argomenti principali sono stati: la parabola ciclistica di Vergallito (per riprendere il titolo del thread sul forum di Cicloweb); Gaffuri, amatore con ambizioni da professionista e preparatore atletico, non ritenuto da molti dell’ambiente adatto a stare in gruppo sia come ciclista sia come allenatore; infine come allenare gli adolescenti nel ciclismo.
In tutti questi temi emerge come le nuove tecnologie abbiano inevitabilmente creato una spaccatura ideologica, se un tempo per correre forte era necessario compiere un percorso classico dalle giovanili al World Tour, con squadre dilettantistiche gestite da allenatori-educatori e tante gare in circuiti di paese, oggi, la possibilità di allenarsi con precisione con i misuratori di potenza, la scuola e la diffusione delle conoscenze della scienza motoria, hanno generato una nuova visione su come arrivare al professionismo e quando utilizzare certi allenamenti specifici, aspetti che fino a non molti anni fa erano esclusiva di chi faceva del ciclismo un mestiere. Si fatica a tracciare un confine tra allenatore e le nuove figure professionali, i preparatori atletici; o forse più semplicemente la figura dell’allenatore classico è in via di estinzione.
Nell’era pre-potenziometri il ciclismo italiano è stato riferimento per tutto il mondo, non si contano i corridori che sono venuti nel nostro paese ad imparare il mestiere, e ancora oggi siamo aggrappati a quella scuola, a quella generazione di allenatori-educatori che ha fatto grande il nostro movimento. Più passano gli anni, più è evidente che i risparmi di quel patrimonio iniziano a scarseggiare, il confronto con le realtà straniere è sempre più a sfavore, la crisi di risultati è evidente.
Le ragioni della crisi del ciclismo italiano sono molteplici e giustamente preoccupano tutti e molto: le difficoltà delle categorie giovanili, la sicurezza delle strade, la mancanza di risorse economiche; su questi temi non ci sono divisioni, che invece emergono quando si discute su come e quando allenare i giovani; ed è proprio questo il tema che più mi interessa approfondire tra quelli trattati alla SqualoTV.
Giorgio Brambilla ha evidenziano una verità scientifica, nell’adolescenza si ha il picco di valori di testosterone, è l’età chiave per costruire un motore atletico, sia da un punto di vista muscolare e strutturale (Vo2max, Soglie anaerobiche, resistenza ossea e tendinea, ecc.), sia neurologico (capacità coordinatorie, propriocezione, sviluppo di unità motorie, ecc.); quindi di conseguenza è proprio questo il momento su cui bisogna concentrarsi, su cui vale la pena investire per far ritornare agli albori il ciclismo italiano.
Dall’altra parte si fanno giustamente notare i rischi di una tale politica: distrarre dagli studi, stressare troppo il ragazzo, che poi inevitabilmente abbandona dopo pochi anni, negare con troppa scienza e tecnologia il divertimento ed il gioco.
Tutto giusto, ma facciamo un passo indietro; prima di domandarsi cosa far fare ad un adolescente nel pieno della sua esplosione ormonale, bisogna domandarsi per cosa, per quale obiettivo e fine, quale ragazzo/a sia il/la protagonista di queste attenzioni, come queste persone debbano essere scelte.
Dal 20 settembre 2023 nel nostro paese c’è una grande novità, una nuova breccia di Porta Pia, la modifica dell’articolo 33 della nostra Costituzione che recita questo nuovo comma: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. Questo cambia completamente la prospettiva ed il fine dello sport, non più confinato e finalizzato al solo raggiungimento di traguardi agonistici, olimpici o minori, ma voltato verso l’individuo, qualsiasi talento esso abbia.
Allenare un adolescente seguendo le più moderne conoscenze scientifiche non deve significare spremere fisicamente e mentalmente il ragazzo/a, ma utilizzare gli strumenti più idonei per accrescere e sviluppare il proprio corpo, e lo si può fare divertendosi e lo si può fare con tutti. La tecnologia ci offre la possibilità di rapidi feedback, che motivano, non annoiano la mente rapida e multitasking delle nuove generazioni; senza caricare di aspettative e stress, come avviene nel professionismo; senza necessariamente con il fine di “costruire” un campione.
Non è possibile delegare un compito educativo così importante (lo sviluppo psico-fisico) alla buona volontà di appassionati e volontari, da poco è compito costituzionale dello Stato, così come la Repubblica è responsabile dell’istruzione di ogni individuo. Riguardo l’istruzione, l’articolo 34 della legge madre italiana dice che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, così nello sport i più talentuosi hanno la prerogativa di poter raggiungere traguardi olimpici e mondiali.
È la scuola che deve aprirsi alle nuove conoscenze scientifiche dell’allenamento, far sì che l’educazione fisica non siano solo due ore alla settimana di minimo esercizio fisico, ma diventino un programma graduale di crescita psico-motoria.
Una scuola ideale dovrebbe avere obbligatoria la prima ora di lezione dedicata all’educazione fisica generale, al fine anche di attivare ogni mattina la mente con sicuri benefici sul rendimento scolastico, con la possibilità (non obbligatoria) di avere un’altra ora nel pomeriggio dedicato ad uno sport specifico a scelta del giovane.
In questa ora perché non utilizzare schemi di allenamento e di esercizio fisico specifico, con l’ausilio di strumenti tecnologici oggi facilmente disponibili? Perché non sviluppare le capacità di forza e resistenza di ognuno, non necessariamente per raggiungere obiettivi sportivi, ma per un migliore stato di benessere? Chi lo vorrà, poi potrà spingere il proprio motore più avanti, sempre però all’interno di una cultura della salute che deve essere asse dell’educazione motoria nelle classi.
Se il fine dell’allenamento è un corpo sano ed una mente fresca all’apprendimento, questo non deve richiamare ad alcun sabato fascista, a nessun regime dittatoriale. Dopo un secolo, possiamo serenamente cancellare questo stigma dello sport di stato in Italia; non più una gioventù marziale con il moschetto, ma una capace di leggere su un’applicazione i propri progressi, la propria salute, di vivere il proprio corpo nella sua interezza.
Se all’interno di questo programma emergesse il talento, sarà un atleta più consapevole del proprio corpo, più educato ad un concetto di salute psicofisica imparato nelle palestre e sui banchi di scuola, il che sarebbe anche un faro nella decisione di dove spingere i propri limiti; ma soprattutto, raggiunto il personale benessere fisico e non dovendo sentirsi obbligato a mirare per forza ad obiettivi agonistici, si tratterebbe di un atleta agonista più sereno e felice.
Tornando alla discussione della SqualoTV, credo che Giorgio Brambilla, forte dei suoi studi, abbia una visione giocosa, motivante e non stressante dell'allenare specificamente un adolescente; una visione in cui la figura del preparatore, laureato in scienze motorie, ha le giuste competenze per questo compito.
Senza nulla togliere all’esperienza, ma “l’università del (ciclismo su) strada” non ha gli strumenti atti a raggiungere un obiettivo così complesso ed ampio, non è più possibile arroccarsi su posizioni del tipo “come facevamo noi ai nostri tempi”; lo sport ed il ciclismo italiano devono adeguarsi a questa nuova realtà, all’estero già lo fanno; si guardi a Vergallito e Gaffuri non come estranei ed eccezioni a questo mondo, ma come nuovi sentieri che è possibile percorrere per far crescere il nostro movimento, indipendentemente dai risultati dei due: se ci si fermasse solo a questi, allora si guarderebbe il dito e non la luna.
La scienza dell’allenamento, senza paura, diventi la nuova lavatrice di casa, tecnica capace di modificare il nostro tempo, la nostra visione del mondo e della vita, regalandoci uno sport più sano, per tutti, e non assillato dalle medaglie, che sicuramente arriveranno, ma avranno un altro significato e valore; valori che da poco possiamo chiamare costituzionali.