Bernal e Caruso, forme alternative di perfezione
Le Pagelle del Giro d'Italia: Ineos illegale, Evenepoel bicchiere mezzo pieno, Trek-Segafredo mezzo vuoto. Fortunato e Valter rivelazioni, Sagan non emoziona
Egan Bernal – 10
Dopo questo Giro tiriamo un energico sospiro di sollievo, perché abbiamo ritrovato un fuoriclasse che seriamente temevamo di aver perduto. Corridore eccezionale, fisicamente tanto quanto mentalmente, a 24 anni può già fregiarsi di aver vinto Giro e Tour, cosa riuscita nella storia solo a Gino Bartali ed Eddy Merckx. Ha sfruttato al massimo i jolly che aveva a disposizione nella prima parte di gara: la tappa di Montalcino e quella di Cortina D’Ampezzo gli hanno permesso di scavare solchi non più colmabili per i rivali.
È stato eccezionale tanto quanto la sua Ineos-Granadiers, una squadra dall'organico illegale ( un salary cap nel ciclismo è quantomai urgente) e, rispetto a quello che vedremo al Tour stiamo parlando della formazione B. Al di là delle qualità dei singoli, formazione perfetta come raramente lo è stata in altre occasioni, per scelte tattiche, puntualità e unità. Due in particolare gli uomini simbolo: cominciamo da Filippo Ganna (8). Per lui dobbiamo scomodare le sacre scritture: uno e trino, artefice principale dell’aggressiva tattica di inizio Giro che ha messo fuori gioco più di un rivale per la generale, avanguardia del gruppo in interminabili frazioni intermedie, ed en passant prima maglia rosa e solito rullo compressore delle prove contro il tempo; alfa e omega, segna l’inizio e la fine del Giro con le sue vittorie contro il tempo.
Sugli altri terreni, Daniel Martinez (8) è l’emblema di una squadra che già l’anno scorso aveva dimostrato con successo di avere sempre un piano B per giocarsi il Giro. Si temeva che la scelta del team britannico per il colombiano fosse un comodo ripiego verso una scelta di gregariato facile, invece lo scalatorino che con Bernal condivide il destino dell’esser lanciato da una squadra Italiana (nel suo caso, l’allora Wilier-Southeast) ha dimostrato di essere un uomo determinante nella terza settimana, capace di stare a fianco del suo capitano fino in fondo, persino di incitarlo quando serve ( ha regalato forse lo scatto più iconico di questo Giro a Sega di Ala). Se poi vorrà un giorno giocarsi le sue carte, dovrà un tantinello migliorare in discesa.
Damiano Caruso – 10
Di solito il voto massimo è quello che si riserva al vincitore del Giro, ma a Damiano Caruso cosa si poteva chiedere di più? Ha preso in mano una squadra subito orfana di un Mikel Landa (s.v.) che sembrava davvero lanciato verso la corsa della vita, dando esempio di dove può arrivare un buon corridore quando raggiunge il perfetto equilibrio tra condizione e assertività. In tutto questo Giro d’Italia Caruso non ha mai dato il minimo segno di ansia da prestazione o cedimento, riuscendo a ottenere un risultato incredibile fino a tre settimane fa, ma che allo stesso tempo risulta logico e ineluttabile. Caruso è il vertice di un Giro del quale il tratto comune è il compromesso tra ragione e agonismo, e la sua azione vincente nell’ultima tappa di montagna sta lì a dimostrarlo: pur attaccando a 50 km dal termine e avendo un margine risicato, Caruso non ha mai dato l’idea di non avere la situazione sotto controllo. In questo fa tanto anche la ritrovata importanza dei compagni di squadra, nel suo caso quel Pello Bilbao (6,5) che doveva essere l’alternativa principale a Landa e si è redento all’ultimo, col prezioso contributo verso l’Alpe Motta, da una corsa sottotono.
Simon Yates – 7,5
Altro esempio di corridore che ha imparato a conoscere i suoi limiti ed ha corso il Giro al massimo delle sue possibilità, salvandosi nell'odiata tappa di Montalcino, ottimizzando il consumo di energie e risultando uno dei più in forma nella terza settimana. Purtroppo per lui, il massimo risultato che ha potuto cogliere è un terzo posto, e difficilmente in futuro il britannico potrà ambire a qualcosa di diverso: Simon Yates è un corridore eccellente, ma soffre abbastanza il freddo (ed è stato un Giro d’Italia particolarmente faticoso, da questo punto di vista) e sebbene sia eccellente sulla salita secca, come ha dimostrato sull’Alpe di Mera, rende meno degli scalatori puri oltre i 2000 metri e nei tapponi.
Alexander Vlasov – 7
In questo Giro d’Italia il corridore russo ha dimostrato di essere, oltre che un eccellente scalatore, un corridore affidabile per le corse a tappe: non era scontato visto il modo in cui è rimbalzato al Giro lo scorso anno. Ha corso fino alla Zoncolan dando l’impressione di poter lottare contro Bernal, poi dopo la cotta in Friuli si è un po’ piegato ai suoi limiti attuali senza schiantare, vincendo la maglia bianca “ad honorem”. L’Astana può essere soddisfatta: puntare sul ragazzo cresciuto ciclisticamente alla Viris Vigevano si rivela finora una scelta azzeccata.
Romain Bardet – 6,5
Diciamo la verità: il “gemello diverso” di Thibaut Pinot non gode della stessa fiducia di quando tentava in tutti i modi con Aru di mettere in difficoltà Froome al Tour ( non una delle edizioni più memorabili della storia, a pensarci bene), se non altro invecchia meglio. Ha scelto il Giro che gli permetteva di correre con la “cazzimma”, ed in 2-3 occasioni ha dimostrato di avercela tutta: l’attacco scriteriato in discesa a Campo Felice, il 2° posto a Cortina e l’attacco di squadra verso l’Alpe Motta sono stati momenti meritevoli di un podio finale. Peccato che da contraltare facciano le tante, troppe controprestazioni che lo relegano solo a un 7° posto finale. Comunque meglio dell’evanescente Jai Hindley (4), mai tornato sui livelli del Giro dell’anno scorso ed evaporato a metà gara per costanti problemi fisici.
João Almeida – 6,5
Ma quanto si sarà mangiato le mani il portoghese, per la bambola di Sestola? Da allora in poi il suo Giro d’Italia non ha avuto un momento di cedimento, è stato sempre all’altezza dei migliori in salita e con l’ultima crono a disposizione, almeno il podio sarebbe stato ampiamente alla sua portata. La fuga nella Sacile-Cortina e le sue accelerazioni nei finali di Sega di Ala e dell’Alpe di Mera, riuscendo a staccare Bernal in entrambi i casi, hanno fatto davvero paura. Chiunque andrà a tesserare il portoghese l’anno prossimo, avrà tra le mani un favorito d’obbligo per qualunque GT, anche se non abbonderanno le crono.
Daniel Martin – 6
Same old Daniel: è arrivato al Giro con una gamba notevole, risultando uno dei migliori sulle salite appenniniche. Ma è una corsa a livello tecnico troppo esigente per lui e nella tappa di Montalcino è risultato una delle vittime principali, venendo confinato fuori dalle zone alte della classifica. Ha comunque reagito positivamente, lanciandosi spesso in fuga fino alla bella prova vincente di Sega di Ala, dove ha sfoggiato di nuovo una gran gamba. Ed a pensarci bene, in un Giro così falcidiato dalle cadute per lui è un gran risultato anche non essere tornato a casa in ambulanza.
Hugh Carthy – 5,5
Dopo il salto di qualità dimostrato alla Vuelta della scorsa stagione, il lungagnione britannico partiva al Giro con discrete ambizioni e una squadra votata alla sua causa. Non è andato poi così male, ma come dire…pur orbitando in zona podio dopo la tappa di Cortina, non ha mai dato l’idea di poter essere realmente competitivo per un risultato importante. Qualche scattino ma mai un vero guizzo sulle salite della terza settimana, che lo hanno abbastanza ridimensionato.
Remco Evenepoel – 6,5
Valutare un corridore così estremo con un numero è un’impresa ardua, ci proviamo lo stesso sottolineando che il suo primo Giro d’Italia è un bicchiere mezzo pieno, al di là delle botte e delle cotte. La prima risposta è stata positiva: subito competitivo e voglioso di essere lì tra i primi, nonostante 9 mesi di inattività, tanto da risultare la principale alternativa a Bernal fino a Montalcino. Ma in prospettiva, è una cosa positiva che abbia preso atto dei suoi limiti e cominciato ad affrontarli. È chiaro ora che per il suo futuro da atleta la priorità è lavorare per colmare i suoi limiti tecnici, dato che lo espongono a pericoli (vedi la caduta che l’ha messo fuori gioco, per molti versi evitabile per un corridore comune) e lo portano in crisi cognitiva in maniera tale da esaurire quelle risorse che invece in una corsa di un giorno o in una corsa a tappe breve sembrano infinite.
Vincenzo Nibali – 6
Il più grande corridore italiano delle corse a tappe negli ultimi 20 anni ci ha tenuto a tutti i costi a essere a questo Giro ed a portarlo a termine, consapevole che fosse un grande banco di prova per Tokyo e che per i 5 posti della prova in linea c’è parecchio da sgomitare. Da una parte l’esperienza non gli ha giovato, avendo rischiato di farsi ancor più male in più di una caduta; dall’altra ha dimostrato consapevolezza della sua fase discendente dando una grande mano a Giulio Ciccone (6), il quale però è stato artefice di un Giro abbastanza controverso, compromesso a livello di classifica già prima della caduta nella discesa di Passo San Valentino. Nella prima parte di Giro Ciccone ha dato sfoggio di mezzi atletici inattesi, ma continua a dimostrare di non avere la malizia necessaria per diventare davvero un uomo da grandi corse a tappe (riuscirà fino alla fine Nibali a trasmettergli qualcosa? ). Nel complesso la Trek-Segafredo risulta una delle squadre più deludenti del Giro, con nessun successo di tappa, nemmeno da Bauke Mollema (5) che ha corso da separato in casa e senza neanche avvicinarsi a un successo nelle fughe che ha colto.
Diego Ulissi – 6
Altro corridore che rischiava di esser perso per problemi di cuore e invece è stato ritrovato, e magari chissà, potrebbe arrivare a Tokyo con una gamba davvero degna di buone cose. Il suo Giro d’Italia non è stato proprio eclatante, e a voler essere cattivi tornare a casa senza vittorie di tappa per uno che ne ha vinte 8 in 5 edizioni è un po’ deludente, ma pensiamo positivo: quel 4° posto a Sega di Ala, correndo alla pari coi big, promette molto bene. Chi invece il posto a Tokyo rischia di esserselo giocato è Davide Formolo (5), partito bene ma poi crollato in quella che doveva essere una tappa a lui congeniale (Montalcino), per poi spegnersi dopo aver tentato una reazione nella tappa dolomitica.
George Bennett – 4,5
Occasione forse unica per uno dei migliori uomini dell’ossatura Jumbo-Visma di correre per sé in una corsa a tappe, ha rinunciato abbastanza presto a un ruolo di primo piano riciclandosi nelle fughe, e risultando non all’altezza neanche in quell’ambito. Per il team olandese molto meglio i giovani Koen Bouwman e Tobias Foss (7), il norvegese non è un fenomeno ma intanto in top 10 finale ci è finito.
Marc Soler – s.v.
Ennesimo esame di maturità rimandato per uno dei più attesi e imprevedibili corridori spagnoli delle corse a tappe: la caduta all’inizio della tappa di Bagno di Romagna costringe a tornare a casa il capitano Movistar, che fino a quel punto aveva condotto un Giro discretamente volitivo. Lo raggiunge nella lista degli incerottati Emanuel Buchmann dopo la terribile caduta di Grado.
Lorenzo Fortunato – 7,5
L’atleta emiliano, oltre a essere una delle principali rivelazioni del Giro d’Italia, rappresenta la positiva esperienza della Eolo-Kometa, la quale dimostra di avere orizzonti più ambiziosi delle storiche professional italiane: un conto è vincere i premi combattività e sperare nella fortuna in qualche tappa da fughe, un altro è vincere in cima allo Zoncolan. Il progetto Contador-Basso parte col piede giusto.
Qhubeka – Assos 7,5
Il Giro d’Italia di una delle squadre più modeste del World Tour era partito malaccio, col capitano Pozzovivo presto costretto ad abbandonare e Giacomo Nizzolo (6,5) che proprio non riusciva a sbloccarsi. Tutto è cambiato nella magica seconda settimana, con 3 successi in 5 giorni, cominciando dall’interessante neoprofessionista Mauro Schmid in quel di Montalcino, per passare a Nizzolo che finalmente si sblocca a Verona e al trionfo di Victor Campenaerts a Gorizia, probabilmente l’azione più 'cattiva' vista a questo Giro. Cenerentola a chi?
Andrea Vendrame, Alberto Bettiol – 7
Corridori-simbolo di un ciclismo italiano di media portata che fatica sempre più a ritagliarsi un posto al sole, ma che ha ancora corridori affidabili, in grado di andare al Giro per vincere una tappa portandola poi effettivamente a casa. Due vittorie in fuga, entrambe conseguite in maniera spettacolare su percorsi interessanti: in più Bettiol rivela ottime capacità in salita, che ne faranno un uomo prezioso per la Ef – Nippo e per le squadre che eventualmente verranno anche in termini di gregariato.
Attila Valter – 7
Menzone speciale per il primo ungherese ad indossare la maglia rosa al Giro, a soli 22 anni. Una maglia rosa che tra l’altro, non è esattamente piovuta dal cielo, ma dopo l’aiuto di una fuga è arrivata lottando e stringendo i denti in salita nella tappa di San Giacomo. In un’epoca di fenomeni, un 15esimo posto finale magari non fa notizia, perciò non dimenticate questo nome. Se serve c’è sempre lo spelling: A come atrocità, doppia T…
Taco Van Der Hoorn – 7
Il funambolico passista olandese, con un’azione da applausi, è stato il primo di una lunga serie di vincitori di tappe decise da una fuga, ben 10 in tutto il Giro grazie a una congiuntura favorevole tra uomini di classifica abbastanza sazi e velocisti resistenti non abbastanza affamati. Ricordiamo anche Victor Lafay ed i più sfortunati Joseph Dobrowski, Gino Mäder e anche Alessandro De Marchi (non vincitore, ma maglia rosa per un paio di giorni), tutti finiti dal podio a baciare rovinosamente l’asfalto nel giro di poco tempo.
Geoffroy Bouchard – 7
Non è un caso se il vincitore della maglia blu è un francese, ormai sono gli unici a dimostrare fuori dal Tour un interesse per la classifica scalatori ( e Bouchard sta diventando uno specialista: ha vinto alla Vuelta nel 2019, ora punterà a una storica tripla corona con la pois? ). E a ben donde: agli annosi problemi di distribuzione dei punti si aggiunge quello dei premi. La ciclamino vale 10.0000 euro, così come la maglia bianca, la blu ne vale solo la metà, appena 200 euro più della classifica fughe: va bene che i soldi li mettono gli sponsor, ma non sarebbe meglio recuperare il valore di tale classifica?
Caleb Ewan – 6,5
Più di qualcuno ha storto il naso di fronte al ritiro anticipato del velocista australiano, ma non nascondiamoci dietro un dito: certe dinamiche fanno parte della tradizione dei velocisti al Giro e in passato anche al Tour. Ewan magari poteva essere più “onesto”. Resta il fatto che ha dimostrato di essere di gran lunga il più forte velocista presente, unico atleta assieme a Bernal e Ganna a vincere almeno 2 tappe a questo Giro d’Italia.
Tim Merlier – 6,5
Dopo due tappe la Alpecin-Fenix aveva già dimostrato di meritare pienamente di essere al Giro, grazie alla volata di questo velocista dalla vittoria facile (una anche dopo essersi ritirato dal Giro!), ed ha continuato a farlo per tutta la corsa rosa con prove di eccellente combattività tra il campione belga Dries De Bondt che lottando su ogni traguardo volante andava a conquistare l'omonimo premio ed Oscar Riesebeek che andava vicino al successo a Gorizia. Oltre a Mathieu c’è di più...
Davide Cimolai – 6,5
Salgono le quotazioni del velocista veneto, che nel corso del Giro d’Italia ha vinto abbastanza presto la concorrenza interna di Patrick Bevin convincendo la squadra (non abbastanza spesso, a dire il vero), che era il caso di tirare per lui. Niente successi di tappa, ma a fine Giro riesce comunque ad aggiungere un successo al suo palmares: quello della paternità. Auguri a Cimolai e a Fabio Felline, un po' più sfortunato coi tempi (ha dovuto anticipare il ritiro di due tappe).
Peter Sagan – 6
Ok, ha vinto la sua prima maglia ciclamino nonché una frazione per il secondo anno di fila. Ma l’impressione è che lo slovacco corra con lo spirito di un impiegato del catasto, adagiandosi sull’obiettivo minimo. La condizione dimostrata con la vittoria della tappa di Foligno ( gran prova soprattutto dei suoi compagni, tra parentesi) meritava qualche dimostrazione ulteriore, e invece Sagan si è dato al catenaccio per la classifica a punti, tra l’altro facendo anche la brutta figura dello sceriffo nella tappa di Stradella con multa annessa. Vale la pena correre così?
Fernando Gaviria – 6
Altro corridore misterioso, anche se il Giro d’Italia lascia un qualche rimasuglio di speranza che la carriera dell’ancor giovane velocista colombiano possa costellarsi di successi importanti. Al Giro si è presentato con una brillantezza e una voglia di far bene che mancava da anni: peccato che il suo apripista Juan Sebastian Molano si sia rivelato come il suo peggior nemico, in due settimane i due colombiani hanno dato sfoggio di tutto quello che non si deve fare per vincere una volata.
Elia Viviani - 5,5
Anche nel 2016 Viviani non brillò al Giro nell'anno olimpico: finì addirittura fuori tempo massimo. Non è andato malaccio al Giro, nel senso che non ha manifestato particolari difficoltà e qualche piazzamento in volata l'ha colto. Ma siamo ancora ben lontani dal velocista da doppia cifra stagionale che poteva vincere al Giro, al Tour e anche alle classiche.