Al Giro è nato un corridore: Alessandro Covi
Intervista esclusiva al 22enne della UAE-Emirates: "Ho imparato tanto, ho un futuro nelle classiche. Schmid manco sapevo chi fosse ma a Montalcino ho dato tutto. Gli errori? Lo Zoncolan e quella dannata pizza..."
Il primo Giro non si scorda mai, a maggior ragione quando lo concludi con tanti km di fughe buone nelle gambe. Tra le rivelazioni azzurre dell'ultima Corsa Rosa spicca anche il nome di Alessandro Covi, interprete inatteso quanto vivido del mestiere antico, a tratti ingrato, del baroudeur.
Alla vigilia i maestri più attesi di questa particolare arte erano i De Gendt, i Roche ed i Gallopin, ma strada facendo è stato proprio il 22enne di Borgomanero a mostrare la miglior attitudine per gli attacchi da lontano, grazie ai quali si è regalato momenti da assoluto protagonista in due frazioni iconiche come quelle di Montalcino e dello Zoncolan. Oltre alle luci della ribalta non sono mancati però gli inciampi ed i momenti di difficoltà tipici del rookie, gestiti però con il giusto spirito e con il buon supporto del team.
Iniziamo dalla tua fresca esperienza al Giro. Qual è il tuo personale bilancio di questa prima partecipazione in un GT?
«Il Giro è un'avventura unica quanto dura. Sapevo che non sarebbe stato semplice gestire tre settimane consecutive di sforzi, ma alla fine le gambe hanno risposto bene. Anzi, devo dire che le sensazioni sono andate addirittura migliorando giorno dopo giorno. Nel complesso mi sono davvero divertito».
Specie nella seconda settimana ti abbiamo apprezzato nei tentativi da lontano. Spenderti nelle fughe era già nei piani della vigilia o ti sei inventato questo ruolo strada facendo?
«Ho indovinato le azioni buone nella parte centrale della corsa, ma in realtà era già dalle prime tappe che stavo provando a buttarmi dentro. Diciamo che col team avevamo da subito l'intenzione di muoverci in questo modo. Il fatto che tante fughe stessero andando in porto ci ha poi spronato a proseguire su questa strada».
Analizziamo i finali che ti hanno visto protagonista, a partire da quello di Montalcino. C'è qualche rimpianto per il secondo posto di quel giorno?
«Col senno di poi è sempre più facile valutare determinati frangenti di gara. Forse avrei fatto meglio a chiedere più cambi a Schmid una volta rimasti da soli. In tutta sincerità non avevo la più pallida idea di chi fosse, tanto che negli ultimi chilometri ho provato a chiedere informazioni su di lui anche all'ammiraglia. Ero convinto di avere dalla mia uno spunto veloce migliore e ho accettato quindi il fatto che collaborasse poco. Una volta entrati nel rettilineo finale invece mi ha piazzato in faccia una progressione che ricorderò a lungo. Ha preso lo sprint di petto e, quando ho visto che teneva botta nonostante lo avessi affiancato, sono un po' esploso anche di testa. E pensare che, quando mi ha superato ai 500 metri, non riuscivo a capire cosa stesse facendo».
Sullo Zoncolan invece è arrivata una terza piazza, ma nel tratto duro sembrava ne avessi quanto Fortunato e Tratnik. Pensi di aver sbagliato a non seguirli prima?
«In quell'occasione ho qualcosa in più da imputarmi rispetto a Montalcino, dove ho comunque lasciato sulla strada tutte le energie che avevo. Come molti pensavo che i riferimenti della fuga fossero Bennett e Mollema, quindi ho preferito stare sulle loro ruote anche quando è partito Fortunato. Sia Lorenzo che Tratnik hanno fatto una grande scalata, ma noi abbiamo viaggiato a lungo tra i 30 ed i 40", ad un ritmo, almeno per quanto mi riguardava, tutt'altro che irresistibile. Purtroppo sono partito solo ai 3 km, su pendenze dove, non potendo sviluppare velocità, è molto difficile recuperare un gap del genere. Spero che tutto ciò mi sia di aiuto per gestire meglio situazioni analoghe in futuro».
Visto il tuo comportamento sugli sterrati prima o poi ti piacerebbe puntare a fare bene anche nella vera Strade Bianche?
«Perché no? A me piacciono molto questo tipo di corse. Nella passata stagione ho fatto un assaggio di nord e sono arrivato davanti alla Freccia del Brabante, quindi anche i terreni più accidentati non mi spaventano molto. Di certo in futuro concentrerò la mia attenzione sulle classiche vallonate. Penso infatti che possano rappresentare un obiettivo più alla portata rispetto alle gare a tappe, dove c'è bisogno di una capacità di tenuta in salita diversa dalla mia per fare classifica».
Il Giro è una sfida che permette ai giovani corridori di scoprirsi ed imparare cose nuove. Qual è la principale lezione che hai tratto da queste tre settimane?
«Non mangiare la pizza nel giorno di riposo. Dopo Cortina mi sono concesso questo strappo alla regola, per poi pentirmene nella tappa di Sega di Ala. Una volta andato all'attacco ho iniziato ad accusare problemi di stomaco e sono rimbalzato malamente. Non so se abbia un po' inciso anche il freddo patito sulle Dolomiti. Fatto sta che dalla fuga mi sono ritrovato, nel giro di neanche troppi chilometri, a viaggiare nel gruppetto dei velocisti».
Quella di Sega di Ala è stata quindi la giornata in generale più complicata per te?
«Sì, è stata alla fine l'unica in cui ho davvero sofferto per giungere all'arrivo. A causa della tendinite accusata in primavera mi sono presentato a Torino senza tanti km nelle gambe e, non a caso, ho sofferto un po' a livello di ritmo nelle prime tappe. Dal primo giorno di riposo però la musica è cambiata in meglio».
Hai vissuto la Corsa Rosa al fianco di capitani come Formolo, Ulissi e Gaviria. Come ti sei rapportato con loro anche dietro le quinte della corsa?
«Ho avuto la fortuna di condividere la camera proprio con Ulissi. Come corridori siamo piuttosto simili e tra di noi abbiamo instaurato da subito un bel dialogo. Di lui ho apprezzato molto il suo modo di fare diretto. È una persona che ti dice le cose in faccia e che non si tira mai indietro, nemmeno quando si tratta di ragionare su determinati errori. Ho comunque cercato di carpire qualcosa da tutti i miei compagni. Per me è stato un onore affrontare il mio primo Giro al fianco di simili campioni».
Per concludere, quali saranno i tuoi programmi ed obiettivi per la seconda parte della stagione?
«Per giugno sarò al via del campionato italiano, del Giro dell'Appennino e del Gran Premio di Lugano. In seguito ho già definito in calendario la Settimana Ciclistica Italiana come preparazione per la Classica di San Sebastián. A grandi linee dovrei poi concentrarmi maggiormente sulle corse di un giorno, dove potrei avere qualche opportunità di correre per il risultato».