Un Giro Donne complicato, ma non per Van Vleuten
AVV conquista la sua quarta maglia rossa e illumina una corsa molto accidentata. Realini sale sul podio e lancia segnali per il futuro. Ora toccherà a RCS
Bastava portare la bici al traguardo nelle ultime due tappe in terra sarda per conquistare il quarto Giro Donne della carriera per Annemiek van Vleuten, il secondo consecutivo. Il vantaggio era stato già costruito nelle tappe precedenti, a partire dal primo giorno a Marradi: 45 secondi alla concorrenza alla prima salita, un segnale già evidentissimo di una superiorità netta, confermata anche con le altre due vittorie in solitaria, a Canelli e ad Alassio.
C'è stato tutto nel Giro di AVV: la maglia rosa dall'inizio alla fine, il traguardo simbolico della centesima vittoria, tanti attacchi da lontano, praticamente nessun momento di difficoltà. Un segnale molto chiaro in vista del Tour de France Femmes, dove andrà ancora una volta a caccia della leggenda: l'obiettivo è completare il grande slam dei grandi giri per il secondo anno consecutivo, e la sfida a Demi Vollering è già lanciata.
Alle spalle della maglia rosa non c'è il vuoto, ma c'è molto spazio. Vanno comunque segnalate le ottime prestazioni di Juliette Labous e Gaia Realini, che hanno completato il podio. Per la giovane abruzzese della Lidl-Trek si tratta del secondo podio con maglia bianca in pochi mesi dopo quello della Vuelta, a conferma di una crescita molto rapida e di una grande capacità di assumere ruoli importanti in squadra e nello svolgimento della corsa con costanza, oltre ad avere indubbie qualità in salita.
Una grande risposta da Realini e da altre atlete provenienti dal ciclocross: Kata Blanka Vas ha vinto in volata a Sassari e ha lavorato molto bene per la squadra, mentre Fem van Empel ha chiuso undicesima la prima corsa a tappe importante della carriera su strada, con tre noni posti di tappa e lottando per la maglia del QOM. La conferma che l'approccio multidisciplinare sta facendo molto bene allo sviluppo delle giovani, come dimostrano anche le pistard Chiara Consonni e Ally Wollaston, protagoniste nelle volate.
Già solo dalla carrellata di nomi che compongono la top ten e da vincitrici di tappa illustri come Lorena Wiebes, si capisce come questo Giro Donne abbia attirato ancora una volta buona parte delle migliori del mondo. Sembrerebbe una cosa normale per quella che fino al ritorno del Tour de France era la corsa a tappe più prestigiosa del calendario, ma non è assolutamente scontata per i dubbi che c'erano alla vigilia. Non bisogna infatti dimenticare che fino a pochissimi giorni dalla partenza abbiamo vissuto nella totale incertezza sui percorsi, sulla copertura televisiva e sulla stessa organizzazione della corsa: dopo mesi di silenzi poco rassicuranti, alla fine la FCI ha messo una pezza per l'ultimo anno prima del passaggio da Starlight e PMG Sport a RCS Sport. Ovviamente non si può nascondere la polvere sotto il tappeto, ma viste le premesse il Giro Donne ha comunque portato dignitosamente a casa il risultato.
Non sono mancate le complicazioni anche a corsa iniziata, anche per una serie di eventi sfortunati: il maltempo nelle prime due tappe ha prima costretto a cancellare il prologo di Chianciano Terme, e poi ha impedito il collegamento aereo dal Passo della Colla nella seconda tappa, per cui non esistono immagini dell'attacco con cui Van Vleuten ha indirizzato il Giro. Sembrava un'edizione maledetta, ma quantomeno i problemi tecnici e organizzativi non si sono ripetuti nelle tappe rimanenti.
Sono però venute a mancare due importanti linee narrative a causa delle cadute: da una parte Elisa Longo Borghini, che dopo aver vinto una tappa e aver dimostrato di poter contrastare l'inarrivabile Van Vleuten è caduta nella discesa verso Ceres; dall'altra Antonia Niedermaier, la giovane tedesca che aveva vinto proprio quella tappa, e si stava rivelando al mondo nella sua prima corsa World Tour, ma è stata costretta a ritirarsi il giorno dopo da seconda in classifica e maglia bianca, coinvolta in un incidente con Urška Žigart.
Alla fine, il Giro è stato salvato le gesta di Van Vleuten e da un percorso comunque interessante, con diverse tappe ben disegnate per muovere di continuo la classifica generale, anche senza grandi salite nei finali. Un'unica grossa pecca da questo punto di vista è stata la collocazione del durissimo Passo del Lupo nei primi chilometri della quinta tappa, dove AVV ha attaccato fin dai primi metri, prima che iniziasse la diretta televisiva. Una questione aperta da risolvere che accomuna un po' tutte le grandi corse a tappe nel ciclismo femminile, in cui troppo spesso manca un punto di incontro fra l'idea tecnica del percorso e la necessità per lo spettatore di poter vedere e per gli addetti ai lavori di poter raccontare il fulcro dell'azione decisiva, in qualsiasi momento avvenga. Discutibile anche la scelta del trasferimento in Sardegna con un giorno di riposo prima delle ultime due tappe, che non erano però disegnate in modo tale da poter cambiare qualcosa in classifica, ma può essere derubricato a un esperimento non particolarmente riuscito.
Ci saranno delle questioni da risolvere a partire dal 2024 per RCS, che raccoglierà il testimone dopo un'edizione chiaramente di transizione. Ci sarà molto da fare, ma il terreno su cui lavorare sembra essere ancora fertile, visto che il prestigio della corsa rosa è ancora intatto e le squadre hanno interesse a portare formazioni competitive. Il gap con il Tour esiste ma non è incolmabile, a patto che si investano risorse e idee nel potenziale evidente del ciclismo femminile, sia a livello di seguito globale che per il pubblico italiano, che già riconosce e apprezza le varie Longo Borghini, Balsamo, Realini, Cavalli, Persico e Consonni come atlete formidabili e personalità interessanti. Un'opportunità da cogliere al volo per dare la giusta visibilità a una generazione ricca di talento, che merita grande attenzione e corse di alto livello (e montepremi), anche sulle strade italiane.