Élite senza contratto, una categoria destinata a sparire
È curioso: la categoria élite senza contratto è ancora un under 23. Fu infatti introdotta ventuno anni fa, nel 1997, per rispondere all'esigenza di regolamentare il mondo dei dilettanti, e far sì che non rimanesse una pura serie B del professionismo, ma una categoria propedeutica al passaggio. A suo tempo, per un paese come l'Italia, era una soluzione intelligente: i dilettanti in Italia che appartenevano alle fasce d'età attualmente valide erano tantissimi, 1250 circa dei quali un quarto rientranti nella categoria tra i 23 e i 27 anni, si poteva tranquillamente pensare di mettere dei paletti senza che ciò comportasse un danno in termini di partecipazione. Il messaggio che si voleva far passare è: bene, voi potete ancora essere considerati corridori, per tutti gli altri la carriera agonistica è finita, andate a lavorare e accontentatevi delle corse amatoriali.
20 anni dopo, quel mondo delle corse amatoriali che fino ad allora era stato molto marginale, è cresciuto esponenzialmente, complice l'innalzamento del livello generato dalla presenza di tutti questi over 27 (nonostante gli attuali regolamenti prevedano un purgatorio da 1 a 4 anni di attesa per gli ex, a seconda di durata e qualità della carriera appena terminata) che non avevano placato la loro sete di agonismo. Sono arrivate le Gran Fondo, i mille circuiti e circuitini amatoriali, le corse della salsa e quelle che venivano trasmesse sulla RAI. Sempre più imprese hanno smesso di investire sul dilettantismo per puntare ad un mondo certo non scevro da problemi, ma che garantiva più visibilità, grazie all'enorme partecipazione, ed introiti sicuri, con le iscrizioni che sono lievitate negli anni non solo nel numero ma anche nei costi. L'hype attorno alla bicicletta negli ultimi 10 anni come mezzo ideale per gli sportivi della domenica ha fatto il resto.
Contestualmente il trend inverso si registrava nell'agonismo. Non solo il mondo amatoriale toglieva spazio e capitale; si doveva affrontare anche una crisi strutturale, dettata da una parte dalle trasformazioni del ciclismo moderno, con l'internazionalizzazione che toglieva tante possibilità di fare risultato (ricordiamo che non vinciamo un mondiale tra gli under 23 da Zolder 2002) e che andava a braccetto con la nascita dei team Continental, dall'altra dall'incapacità generale di quel mondo, vecchio non solo fuori ma anche dentro, di comprendere che i cambiamenti in corso avrebbero presto o tardi messo tutti in difficoltà: i team dominanti hanno invece continuato a crogiolarsi sulla loro posizione, favoriti dal fatto di avere sempre meno concorrenza, mentre le squadre minori attorno a loro proseguivano a stento o sparivano, 2 o 3 all'anno, costantemente.
Ci pensano i numeri di oggi a sbattere in faccia la cruda realtà: gli élite senza contratto, che nel 1997 erano 302, da alcune stagioni stanno subendo un calo irreversibile e più rapido rispetto agli under 23: nel 2017 eravamo a circa 135 contro quasi 600 under 23, e quest'anno è probabile che non si riuscirà a raggiungere quota 100, per la prima volta. Un calo drastico che s'interseca con una serie di scelte altrettanto drastiche: la federazione ha deciso che non organizzerà più il campionato nazionale per la categoria; sempre più organizzatori di corse non solo internazionali, ma anche nazionali decidono di limitare la partecipazione alla categoria under 23, per evitare che l'albo d'oro venga sporcato da un "tardivo"; sempre più squadre rinunciano in maniera programmatica ai corridori élite nel proprio organico. La Mastromarco prosegue su questa linea da ormai alcuni anni, da quest'anno han deciso di seguirla altri team importanti come General Store, Maltinti e Malmantile. Anche la Zalf era di questo avviso, ma ha "fatto un'eccezione" per Gianluca Milani, dopo che la ricerca di un contratto per il due volte campione nazionale degli élite si è conclusa senza successo.
Proprio l'ultimo campione nazionale è un ottimo esempio di quanto la categoria somigli sempre più ad un vicolo cieco: nonostante i due titoli ottenuti e l'innegabile esperienza, non riesce a dimostrare di meritare il passaggio. Soprattutto perché gli mancano le occasioni: correndo solo in Italia può partecipare ad un massimo di 6 internazionali, e nelle ultime due stagioni probabilmente non ha preso parte a neanche una corsa a tappe. Come può un corridore ottenere visibilità con un calendario così limitato? Come può interessare a qualcuno, se non tramite procuratori e osservatori squisitamente locali?
Senza azioni drastiche il destino della categoria élite è segnato: con questo trend, nel giro di 5 anni sparirà. Ricordiamolo, si tratta di un'anomalia tutta italiana, che ha influenzato anche lo stato attuale del mondo amatoriale, e tocca alle nostre strutture dare una risposta politica. Finora la risposta è stata fregarsene e attendere gli eventi, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Se la risposta continuerà ad essere la stessa, gli scenari futuri possono essere due, entrambi dolorosi: uno è la completa migrazione degli élite verso la categoria continental, cosa che ridurrebbe ulteriormente i numeri perché ovviamente non tutti troverebbero spazio, ma che riunendo i migliori in pochi team potrebbe portare le corse professionistiche italiane in una dimensione diversa, con più squadre di outsider sul modello della Sangemini-Mg.Kvis.
L'altro scenario è più complicato e predispone a notevoli tensioni. Il mondo amatoriale potrebbe cominciare ad assorbire quello dilettantistico, prendendosi le sue gare, i suoi spazi. Se non lo credete possibile, forse non sapete che sta già accadendo: a Montichiari nello scorso mese è stata organizzata una prova su pista aperta ad under 23, élite e master. La motivazione addotta dal direttore Fabio Perego è molto semplice: allineare la nostra attività su pista a quella dei paesi europei. I direttori sportivi delle principali formazioni impegnate su pista, con una sintonia senza precedenti, hanno deciso di boicottare l'evento: la motivazione ufficiale è difendere l'incolumità dei propri atleti dagli amatori meno esperti, ma conoscendo l'ambiente è verosimile che il vero timore sia quello di perdere il confronto. Arrivati a questo punto, anziché alzare barriere, i nostri Ds dovranno spingere verso l'unica strada che può dare respiro alla categoria: tornare indietro di 21 anni ed eliminare il limite massimo di età per gli élite, correndo tutti insieme con le stesse regole e tornando ad allinearci col resto del mondo ciclistico dal quale non possiamo più permetterci il lusso di distinguerci. Non è una garanzia di successo, vista la mole ormai raggiunta dal mondo amatoriale, e non piacerà a tanti direttori sportivi, ma a questo punto è l'unica via praticabile.
20 anni dopo, quel mondo delle corse amatoriali che fino ad allora era stato molto marginale, è cresciuto esponenzialmente, complice l'innalzamento del livello generato dalla presenza di tutti questi over 27 (nonostante gli attuali regolamenti prevedano un purgatorio da 1 a 4 anni di attesa per gli ex, a seconda di durata e qualità della carriera appena terminata) che non avevano placato la loro sete di agonismo. Sono arrivate le Gran Fondo, i mille circuiti e circuitini amatoriali, le corse della salsa e quelle che venivano trasmesse sulla RAI. Sempre più imprese hanno smesso di investire sul dilettantismo per puntare ad un mondo certo non scevro da problemi, ma che garantiva più visibilità, grazie all'enorme partecipazione, ed introiti sicuri, con le iscrizioni che sono lievitate negli anni non solo nel numero ma anche nei costi. L'hype attorno alla bicicletta negli ultimi 10 anni come mezzo ideale per gli sportivi della domenica ha fatto il resto.
Contestualmente il trend inverso si registrava nell'agonismo. Non solo il mondo amatoriale toglieva spazio e capitale; si doveva affrontare anche una crisi strutturale, dettata da una parte dalle trasformazioni del ciclismo moderno, con l'internazionalizzazione che toglieva tante possibilità di fare risultato (ricordiamo che non vinciamo un mondiale tra gli under 23 da Zolder 2002) e che andava a braccetto con la nascita dei team Continental, dall'altra dall'incapacità generale di quel mondo, vecchio non solo fuori ma anche dentro, di comprendere che i cambiamenti in corso avrebbero presto o tardi messo tutti in difficoltà: i team dominanti hanno invece continuato a crogiolarsi sulla loro posizione, favoriti dal fatto di avere sempre meno concorrenza, mentre le squadre minori attorno a loro proseguivano a stento o sparivano, 2 o 3 all'anno, costantemente.
Ci pensano i numeri di oggi a sbattere in faccia la cruda realtà: gli élite senza contratto, che nel 1997 erano 302, da alcune stagioni stanno subendo un calo irreversibile e più rapido rispetto agli under 23: nel 2017 eravamo a circa 135 contro quasi 600 under 23, e quest'anno è probabile che non si riuscirà a raggiungere quota 100, per la prima volta. Un calo drastico che s'interseca con una serie di scelte altrettanto drastiche: la federazione ha deciso che non organizzerà più il campionato nazionale per la categoria; sempre più organizzatori di corse non solo internazionali, ma anche nazionali decidono di limitare la partecipazione alla categoria under 23, per evitare che l'albo d'oro venga sporcato da un "tardivo"; sempre più squadre rinunciano in maniera programmatica ai corridori élite nel proprio organico. La Mastromarco prosegue su questa linea da ormai alcuni anni, da quest'anno han deciso di seguirla altri team importanti come General Store, Maltinti e Malmantile. Anche la Zalf era di questo avviso, ma ha "fatto un'eccezione" per Gianluca Milani, dopo che la ricerca di un contratto per il due volte campione nazionale degli élite si è conclusa senza successo.
Proprio l'ultimo campione nazionale è un ottimo esempio di quanto la categoria somigli sempre più ad un vicolo cieco: nonostante i due titoli ottenuti e l'innegabile esperienza, non riesce a dimostrare di meritare il passaggio. Soprattutto perché gli mancano le occasioni: correndo solo in Italia può partecipare ad un massimo di 6 internazionali, e nelle ultime due stagioni probabilmente non ha preso parte a neanche una corsa a tappe. Come può un corridore ottenere visibilità con un calendario così limitato? Come può interessare a qualcuno, se non tramite procuratori e osservatori squisitamente locali?
Senza azioni drastiche il destino della categoria élite è segnato: con questo trend, nel giro di 5 anni sparirà. Ricordiamolo, si tratta di un'anomalia tutta italiana, che ha influenzato anche lo stato attuale del mondo amatoriale, e tocca alle nostre strutture dare una risposta politica. Finora la risposta è stata fregarsene e attendere gli eventi, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Se la risposta continuerà ad essere la stessa, gli scenari futuri possono essere due, entrambi dolorosi: uno è la completa migrazione degli élite verso la categoria continental, cosa che ridurrebbe ulteriormente i numeri perché ovviamente non tutti troverebbero spazio, ma che riunendo i migliori in pochi team potrebbe portare le corse professionistiche italiane in una dimensione diversa, con più squadre di outsider sul modello della Sangemini-Mg.Kvis.
L'altro scenario è più complicato e predispone a notevoli tensioni. Il mondo amatoriale potrebbe cominciare ad assorbire quello dilettantistico, prendendosi le sue gare, i suoi spazi. Se non lo credete possibile, forse non sapete che sta già accadendo: a Montichiari nello scorso mese è stata organizzata una prova su pista aperta ad under 23, élite e master. La motivazione addotta dal direttore Fabio Perego è molto semplice: allineare la nostra attività su pista a quella dei paesi europei. I direttori sportivi delle principali formazioni impegnate su pista, con una sintonia senza precedenti, hanno deciso di boicottare l'evento: la motivazione ufficiale è difendere l'incolumità dei propri atleti dagli amatori meno esperti, ma conoscendo l'ambiente è verosimile che il vero timore sia quello di perdere il confronto. Arrivati a questo punto, anziché alzare barriere, i nostri Ds dovranno spingere verso l'unica strada che può dare respiro alla categoria: tornare indietro di 21 anni ed eliminare il limite massimo di età per gli élite, correndo tutti insieme con le stesse regole e tornando ad allinearci col resto del mondo ciclistico dal quale non possiamo più permetterci il lusso di distinguerci. Non è una garanzia di successo, vista la mole ormai raggiunta dal mondo amatoriale, e non piacerà a tanti direttori sportivi, ma a questo punto è l'unica via praticabile.