L'attacco di Jonas Vingegaard sul Marie Blanque © Jumbo-Visma
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Mettetevelo in testa: Vingegaard è più forte di Pogacar (in salita)

Oggi un'altra prova schiacciante in favore di Jonas: il Tour de France è nuovamente indirizzato sulla via della Danimarca, a meno che Tadej non s'inventi l'impossibile. Ma se c'è uno che può farlo, è lui

05.07.2023 21:30

Due anni fa venne staccato da Jonas Vingegaard per un attimo sul Mont Ventoux, ma tutti pensammo a una casualità o poco più, non ci facemmo insomma troppo caso, eravamo collettivamente abbagliati perché Tadej Pogacar in quel momento era come l'universo: in espansione. Un anno fa venne staccato malamente sempre da Jonas Vingegaard sul Granon, poi venne ristaccato malamente ancora dall'ormai solito Jonas Vingegaard a Hautacam, e stavolta ci facemmo caso eccome perché a margine di queste manovre il danese si portò a casa il Tour de France.

Ci facemmo caso ma ci dicemmo: una volta c'è stata la complicità di Primoz Roglic, un'altra volta quella di Wout van Aert, l'evidente squilibrio tra una squadra e l'altra in definitiva gioca un ruolo debordante in questa dinamica che dovrebbe essere a due. Però c'era anche un altro elemento: che Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard, non l'aveva mai staccato in salita invece.

L'allarmante involuzione da nuovo Merckx a nuovo Van Looy, ovvero da cannibale di classiche e GT a cannibale solo di classiche, si sta compiendo quest'anno in cui il mitico Tadej ha conquistato il Fiandre, l'Amstel e la Freccia ma in cui oggi le ha buscate un'altra volta dalla sua ormai consueta nemesi JV. JV che sta tanto per Jonas Vingegaard quanto per Jumbo-Visma, tra l'altro (ci avevate fatto caso?).

Qualcuno ora dirà che la colpa è del fatto che Pogi alla Liegi s'è rotto il polso, qualcun altro spiegherà il tutto dicendo che è proprio il fatto che Tadej faccia le classiche a costituire un problema se raffrontato alla stagione tourcentrica dell'altro. Il timore è che a un certo punto anche lo stesso meraviglioso pedalatore di Komenda finirà col pensare quest'ultima cosa, rendendoci orfani di un modo di interpretare il ciclismo che ci ha ringiovaniti tutti di 30 anni (anche chi ne ha 20).

La risposta invece è molto più semplice, per quanto dolorosa per qualcuno: Jonas è più forte di Tadej. No, diciamolo meglio: nei grandi giri, Jonas è più forte di Tadej. No, precisiamo ancor di più: sulle grandi montagne, quelle che si incontrano quasi solo nei grandi giri, Jonas è più forte di Tadej. E pure a cronometro Jonas tende a essere più forte di Tadej. Ergo: Jonas finirà col battere quasi sempre Tadej quando i due si incontreranno al Tour.

Il rischio che la rivalità appena nata (solo un anno fa, se ci pensate) sia già destinata a incamminarsi su un melanconico Lance-Jan, ovvero uno scenario in cui uno vince sempre e l'altro le busca ogni volta, è tangibile; ma non inevitabile. E questa speranza, che cioè la cosa non sia inevitabile, risiede proprio tra i ciuffetti intracascosi e quegli occhi sempre pronti all'allegria: ovvero in quel posto di gioiosa creatività e sapervivere (tuttoattaccato) che è la testa dello sloveno.

Se guardiamo al Tour de France appena cominciato e già finito abbiamo l'obbligo di non illanguidirci come se fossimo in una canzone di Sergio Endrigo, ma di essere realisti. La Grande Boucle 2023 è già, dopo appena una tappa di montagna (e manco la più aspra), indirizzata sulla via del famoso villaggio di pescatori della diversamente briosa Danimarca. Mettetevi l'anima in pace, o tifosi di Tadej.

Qualcuno dice: Pogi crescerà di condizione strada facendo e nella terza settimana proverà a ribaltare il Tour, mentre Vingegaard perderà colpi perché è in forma almeno già dal Delfinato. Argomenti smontabili: il picco di Jonas un mese fa nella corsa di preparazione tra le Alpi non era paragonabile a quello che abbiamo cominciato a vedergli esibire al Tour, per durata se non per intensità, e in ogni caso un mesetto e mezzo più o meno al top ci si può stare, volendo. Non aspettatevi crolli del capitano Jumbo, in pratica.

Quanto alla presumibile crescita di Tadej, che ha avuto la preparazione ritardata dal citato polso rotto, il ciclismo è un po' cambiato in questi ultimi anni, il grosso del fieno in cascina lo si mette nei ritiri di preparazione in altura, o al limite anche non in altura, ma a gara in corso resta poco da limare rispetto al carico - quantità e qualità - che si è fatto fino alla vigilia. Sì, magari Pogacar sarà un po' più forte tra dieci giorni, ma non in misura da spostare in maniera sensibile gli equilibri rispetto a Vingegaard. Come dire: magari ci arriverà insieme o quasi anziché perdere un minuto a salita, ma non pensiamo che possa staccare il rivale sulle Alpi.

Nel frattempo, da qui a lì, non è che il Tour 2023 sarà una passeggiata di pianura: domani - dopo Aspin e Tourmalet - c'è un arrivo in salita adattissimo al trenone Jumbo-Visma, con un falsopiano imbruttito su cui ve lo immaginate un Wout van Aert che riduce il gruppo a 5 unità di cui tre della squadra olandese? (Ma se WVA si sarà staccato prima ci penseranno Benoot o Kelderman o entrambi). Un falsopiano imbruttito che sarà seguito da diversi chilometri duri su cui Vingegaard darà un'altra mazzata tremenda e se oggi ha guadagnato un minuto in un chilometro, domani ne potrà mettere in tasca almeno due. E arriviamo così a tre.

Si sazierà poi lo spietato Giona o domenica sul Puy de Dôme rifilerà un altro paietto di minuti al gioviale Tadej? Perché rischiamo di arrivare a metà corsa con una cinquina di minuti tra il primo e il secondo della generale (ammesso che il bravissimo Jai Hindley e altri eventuali outsider saltino via in questi giorni).

A questo tremendo scenario di devastazione c'è un solo possibile antidoto, ed è la citata brillantezza creativa della mente di Pogi. Il ragazzo è intelligente ed è probabile che abbia capito di che morte dovrà morire, perlomeno all'interno di questo Tour (alle valutazioni più generiche sulla propria carriera e sulla lotta tra lui e JV forse non si è ancora arreso, proprio in ragione di quanto scrivevamo più su tra polso e classiche). E sa benissimo che se continua a mettere la sfida sul piano della 20 km di marcia forzata, le buscherà male.

Ecco allora che nella fulgida testa di Tadej si fa strada il concetto di modificare radicalmente il perimetro dello scontro, e di farlo subito, prima che il distacco in classifica diventi incolmabile. Di farlo per esempio domani, su una piccola côte pirenaica che si situa all'altezza dei 125 km (metro più metro meno) dal traguardo di Cauterets. Ora, suonarsele faccia a faccia per 125 km non è lo stesso sport che farlo per 20, e può portare a esiti molto sorprendenti. In più mettiamoci che colpire a sorpresa, dove e quando l'avversario non se l'aspetta, equivale a colpire due volte, ed ecco che…

Il problema per Pogacar è che in ogni caso questo scenario, l'unico che potrebbe portarlo a vincere il suo terzo Tour, è un sentierino stretto stretto che nove su dieci porterà comunque alla sua disfatta; ma è l'unico che val la pena di battere, se davvero Tadej vuol provarci.

Errata corrige in tempo reale: c'è anche un'altra possibilità per lo sloveno, e cioè che a Vingegaard capiti qualche intoppo che gli costi minuti in classifica se non peggio. In quel caso Tadej magari vincerà un'altra Boucle, ma consapevole in cuor proprio di non averla conquistata effettivamente “sul campo”. E allora nel 2024 verrà al Giro. Ma questa è un'altra storia, e il presente editoriale è già troppo lungo perché noi si abbia a questo punto la necessità di fare ulteriori profezie.

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Marco Grassi
Giornalista in prova, ciclista mai sbocciato, musicista mancato, comunista disperato. Per il resto, tutto ok!