Philippe il Bello, un regno senza fine
Ripercorriamo la straordinaria carriera del vallone, dagli inizi al capolavoro di Roubaix
Sono passate da poco le ore 17 di domenica 14 aprile ed improvvisamente, mentre nel velodromo di Roubaix il tripudio e il giubilo collettivo cominciano a prendere il sopravvento, sembra tornare alla memoria il titolo di un bel film di Sergio Rubini del 2000, che probabilmente quest’oggi rappresenterebbe una delle migliori descrizioni di Philippe Gilbert dopo la sua ultima, straordinaria impresa: “Tutto l’amore che c’è”.
Non giriamoci troppo attorno: in un ciclismo moderno in cui spesso i connotati eroici hanno rischiato di essere uccisi dall’attendismo, nell’era dei ritiri in altura, dei misuratori di potenza e dei picchi di forma, delle programmazioni mirate con una scientificità maniacale, non si può non amare un corridore come Philippe Gilbert. Colui che, nell’epoca recente, assieme a Paolo Bettini è stato capace d’incarnare meglio di chiunque la poliedricità. Anzi diciamo pure (non ce ne voglia il famoso Grillo livornese) in grado di avere risultanze superiori su un terreno come quello del pavé che sa proiettare tra gli autentici giganti chi sa domarlo con leggiadria e sicurezza come ha saputo fare il vallone.
In un’epoca in cui non smettiamo di entusiasmarci per corridori come Peter Sagan, in cui riserviamo ammirazione sconfinata per i Nibali e i Valverde, in cui abbiamo applaudito e consegnato un posto nella storia a gente come Boonen e Cancellara ed in cui già le esaltazioni e le palpitazioni sono evidenti di fronte alla classe cristallina di Mathieu Van Der Poel o Wout Van Aert, un corridore come Philippe Gilbert è stato e continua ad essere una vera e propria manna dal cielo. Ci stiamo probabilmente già chiedendo se, tra pochi anni, dovremmo interrogarci sul cruccio relativo a quell’unica classica monumento ancora non finita nel suo straordinario palmares (la Milano-Sanremo), anche se lo stesso Sagan ci ha mirabilmente ricordato che vivere sperando non serve a nulla. Ciò che abbiamo visto oggi però potrebbe, in fondo, anche bastarci: conquistare la Parigi-Roubaix a 36 anni e 9 mesi dopo aver fatto della propria carriera una collana di perle dal valore inestimabile è roba da giganti. O da folli. O semplicemente da fuoriclasse. Perché per Philippe Gilbert non s’incorre in alcun pericolo d’abuso: siamo di fronte ad un fuoriclasse di questo sport, che ha saputo fare del proprio scatto secco sugli strappi il proprio marchio di fabbrica.
Trasformare la strada come il pavé in un Bolshoj per danzare con la grazia di un Nureyev è stato un lungo processo, a cui si è arrivati per gradi, sapendo anche aspettare il momento opportuno per spazzare via i timori d’incompiutezza che qualche maligno poteva avanzare oppure, meglio ancora, ritardare il più possibile quel canto del cigno che alcuni pensavano di aver ascoltato dopo essersi eretto a sovrano delle Ardenne ed essersi vestito finalmente d’iride a Valkenburg. Mai errore fu accolto con più soddisfazione dai cultori del talento, lì dove l’estetica riesce ad elevarsi a tal punto da riuscire a combaciare con le mere risultanze d’albi d’oro. Oggi, sostanzialmente, abbiamo assistito alla scrittura dell’ennesimo capitolo esaltante di una grande storia. Se sarà o meno l’ultimo grande capitolo, starà solo al tempo darcene conto.
Gli esordi in Française des Jeux: un giovanotto di belle speranze
Quando nel 2003 Philippe Gilbert passa professionista con la Française des Jeux, siamo di fronte ad un ragazzo nato a Verviers e cresciuto col mito delle Ardenne, inculcato sapientemente da una famiglia che sprizza ciclismo da tutti i pori e con la Côte de la Redoute (per anni salita simbolo della Liegi-Bastogne-Liegi) posta a pochi chilometri da casa, ideale per accendere la fantasia. Il giovanotto vallone se la cava piuttosto bene sugli strappi ma sa dire decisamente la sua anche allo sprint, tanto che, dopo la prima vittoria conquistata in una tappa del Tour de l’Avenir, già al Tour Down Under del gennaio 2004 si aggiudica una tappa mettendo in fila, tra gli altri, un corridore velocissimo del calibro di Robbie McEwen.
Proprio di un australiano in quei mesi si parla assai: è Bradley McGee, compagno di squadra di Gilbert nel team francese e capace di terminare sorprendentemente in ottava posizione il Giro d’Italia di quell’anno. L’aussie, già eccellente pistard, migliora moltissimo in salita ma nella corsa rosa dominata da Damiano Cunego si segnala anche per la velocità allo sprint. E chi lo pilota nei finali di tappa: proprio Philippe Gilbert, che tuttavia quando può si ritaglia i propri spazi allo sprint, centrando buoni piazzamenti. Piccolo particolare: Gilbert concluderà quel Giro in 32esima posizione, suo miglior piazzamento di sempre in una grande corsa a tappe, a testimonianza che, se avesse voluto, in futuro si sarebbe potuto cimentare discretamente anche come corridore di classifica. Per sua (e nostra) fortuna, nel suo caso le cassandre che tanto dannose hanno saputo essere in certi casi non sono state ascoltate.
I primi sprazzi all’Het Volk e la nascita del “Vallone aerostatico”
Il 2005 registra per lui 5 successi, tutti ottenuti in Francia (spiccano una tappa al Giro del Mediterraneo e il Tour du Haut Var) e che cominciano a mostrare la naturale inclinazione di Philippe per determinati percorsi. Nello stesso anno però le doti veloci continuano a non passare inosservate: nel volatone di Via Roma alla Milano-Sanremo, con l’Italia del pedale impegnata a consacare Alessandro Petacchi, si piazza in sesta posizione dopo il 14esimo posto dell’anno precedente.
Occorre datare però al 2006 il primo segno tangibile di “predestinazione” sui muri e pavé: in un’annata che gli consegna in dote altri 5 successi, Gilbert riesce a lasciare il segno nell’Het Volk, la tradizionale classica d’apertura della primavera del Nord, in cui riesce ad imporsi dopo un volo solitario di circa 20 km, in cui stacca di 38” Bert De Waele e di 54” Leon Van Bon. Sembra l’inizio di un percorso in ascesa, che però rischia di essere interrotto dalla sorte: nel 2007, anno in cui alza le braccia al cielo soltanto una volta al Tour de Limousin, deve operarsi per asportare un melanoma. Tutto va per il meglio, sfiora per la seconda volta il titolo nazionale, sia in linea che a cronometro, e a Stoccarda è 8° nel mondiale conquistato da Bettini. Così nel 2008 è nuovamente in prima linea: inizia alla grandissima con 4 successi, tra cui spicca nuovamente l’Het Volk, in cui straccia tutti con un’azione durata circa 50 km (in cui lascia a 55” Nick Nuyens e a 1’05” Thor Hushovd) e torna alla Milano-Sanremo con ottimi propositi: la stoccata di Fabian Cancellara nel finale è mortifera per chiunque ma Gilbert trova comunque la forza per sprintare ottimamente e a 4” solamente Filippo Pozzato lo precede per la seconda posizione: alla sesta stagione tra i professionisti giunge così il primo podio in una classica monumento.
La sua buona forma prosegue anche al Nord, dove per la prima volta Gilbert fa intravedere interessanti prospettive per il futuro: chiude infatti al 15esimo posto il Giro delle Fiandre, corsa che gli darà enormi soddisfazioni circa due lustri più tardi. In ottobre arriva però la prima affermazione in una classica di un certo peso: fugge nel finale assieme al compagno Delage (che risulta preziosissimo per lui) e ad altri tre atleti e sull’infinito rettilineo dell’Avenue du Grammont mette in fila il belga Kuyckx e i francesi Turgot e Vogondy, riuscendo a resistere al ritorno del gruppo. Probabilmente per Philippe sta arrivando il momento della definitiva esplosione.
Il passaggio alla Lotto: primo podio al Fiandre, la seconda Parigi-Tours e il primo Lombardia
Ci si attendono ulteriori progressi da lui nel 2009, dopo aver salutato la Français des Jeux di Madiot per accasarsi alla Silence-Lotto e in primavera le risultanze cominciano a dar conferma del fatto che appare solamente questione di tempo affinché conquisti una classica monumento: dopo una Milano-Sanremo non troppo esaltante, disputa un ottimo Giro delle Fiandre, in cui Stijn Devolder riesce nuovamente a mettere nel sacco il gruppo per un’incredibile doppietta. Philippe insegue alle sue spalle e nella volata per il podio, a 58”, s’inchina al solo Haussler ma conquista il suo primo podio tra i muri. Come abbiamo detto in apertura però, il vallone sogna le Ardenne e poche settimane dopo lo ritroviamo grande protagonista sia all’Amstel Gold Race che alla Liegi-Bastogne-Liegi, concluse entrambe in quarta posizione.
A maggio torna al Giro d’Italia e prima della conclusione della corsa rosa fa in tempo a lasciare il segno con uno dei suoi marchi di fabbrica: opera uno scatto secco sulla salita che conduce ad Anagni, lasciandosi alle spalle Voeckler e Garzelli e conquistando così il suo primo successo in Italia in carriera. Non passeranno molti mesi perché del “Pippo belga” si tornerà a parlare da noi: dopo un’altra piazza d’onore nel campionato nazionale (battuto soltanto da Boonen) e il sesto posto mondiale a Mendrisio, in cui l’azione di Cadel Evans è irresistibile anche per lui, Philippe mostra una gamba da favola negli ultimi appuntamenti di stagione, infilando uno splendido filotto: comincia alla Coppa Sabatini in Toscana per poi realizzare lo storico bis alla Parigi-Tours, in cui si prende un’incredibile rivincita su Boonen, “giustiziato” beffardamente sull’Avenue du Grammont lì dove il suo successo appariva scontato e con lo sloveno Bozic, pur molto veloce, relegato al terzo posto.
Non è finita: pochi giorni dopo si prende il successo nel Giro del Piemonte e con la sua forma diviene di diritto uno dei grandi favoriti per il successo al Giro di Lombardia, corsa che fino a quel momento gli aveva riservato ben poche soddisfazioni: Gilbert è ben presente nelle fasi calde e sul San Fermo della Battaglia scatta, portandosi dietro Samuel Sanchez, campione olimpico in carica nonché avversario ostico. Gilbert gestisce bene il finale e trionfa nella volata a due, con Kolobnev in terza posizione a 7”. Il 16 ottobre 2009 Gilbert conquista finalmente la sua prima vittoria in una classica monumento.
Il 2010: segnali sul pavé e sulle Ardenne, la prima Amstel e il secondo Lombardia
Appare ormai chiaro che Gilbert sia un corridore da tenere in particolare considerazione e la primavera del 2010 sembra confermare la sua vertiginosa crescita nelle classiche primaverili: il suo scatto sa far male, si tratta solamente di scegliere il tempo giusto per entrare in azione. A marzo è di nuovo in top ten a Sanremo (chiude 9°) ma è sul pavé che si rende ancora protagonista: terzo alla Gand-Wevelgem (dove, a sorpresa, s’impone Eisel su Vanmarcke), così come nel Giro delle Fiandre, in cui la brutale dimostrazione di forza di Cancellara fa passare tutto il resto in secondo piano.
Ci si sposta sulle Ardenne e Philippe ne ha ancora da vendere: dopo il quinto posto nella Freccia del Brabante, è di scena all’Amstel Gold Race e questa volta l’occasione è quella buona: sfrutta ottimamente il trampolino finale del Cauberg e s’impone nella “corsa della birra” davanti a Ryder Hesjedal e ad Enrico Gasparotto. Il suo scatto potrebbe far male anche a Liegi, dove però la gioia è ancora rimandata: Vinokourov e Kolobnev scappano via e a lui non resta che accontentarsi della quarta posizione a 1’04” (dopo la squalifica di Valverde scalerà al terzo posto).
La prima parte di stagione va in archivio tutto sommato positivamente e nella seconda, dopo l’ennesima piazza d’onore nel campionato nazionale (che stavolta va a Devolder) lo attende ancora una volta un finale da protagonista: per la quarta volta in carriera si schiera al via della Vuelta e finalmente riesce a lasciare il segno con due belle vittorie di tappa a Malaga e Toledo, prima di tentare nuovamente l’assalto all’iride in quel di Geelong, in Australia. Gilbert scatta deciso ad una decina di km dall’arrivo, guadagna un buon margine ma viene respinto dal vento contrario. Alla fine esulta Hushovd, la delusione per un 18esimo posto che non rispecchia affatto quanto visto in gara è palpabile ma la condizione è ancora una volta eccellente per chiudere degnamente la stagione. A Tours non centra la tripletta ma, in compenso, in Italia fa di nuovo faville: al Giro del Piemonte stronca Bertagnolli e Breschel e arriva al Lombardia di nuovo con i favori del pronostico.
La corsa si fa dura fin dalla Colma di Sormano ma è di nuovo il San Fermo della Battaglia a risultare decisivo: Gilbert piazza uno scatto secco, lasciando sui pedali Michele Scarponi e s’invola tutto solo a trionfare in quel di Como. A 13” giunge il compianto marchigiano mentre terzo è Lastras a 55”. Ormai i tempi sono maturi: un atleta che ha già conquistato due Lombardia e due Parigi-Tours, oltre all’Amstel, è pronto finalmente per fare fuoco e fiamme sulle Ardenne.
La tripletta leggendaria della primavera 2011: il sogno Liegi si realizza
La seconda vittoria nella “classica delle foglie morte” segna indubbiamente uno spartiacque: Gilbert è giunto in un momento della carriera in cui finalmente sa essere padrone del suo scatto. Il suo ormai non è uno sparo a salve, bensì la fredda fucilata di un cecchino, che quando mette nel mirino l’obiettivo ha un margine d’errore sempre più risicato. Comincia vincendo in Algarve per poi nuovamente lasciare una traccia nel cuore degli italiani, andando a trionfare nelle Strade Bianche, in cui giunge solo a Piazza del Campo a Siena, lasciandosi alle spalle Ballan e Cunego, prima di conquistare un bel successo di tappa anche a Castelraimondo alla Tirreno-Adriatico. Sembra giunta l’ora della Sanremo, in cui il finale di gara è ricco di emozioni. A trionfare però è di nuovo il nome che non t’aspetti: vince Matthew Goss, Cancellara e Gilbert completano il podio (col senno di poi il rammarico sarà notevole).
Dopo un Fiandre agrodolce (vince Nuyens, Gilbert è nono) si aggiunge al momento più atteso della sua primavera e il “Vallone aerostatico” (come venne simpaticamente ribattezzato da noi in un articolo qualche anno prima) si abbatte sugli avversari come un ciclone: sugli strappi fa quello che vuole, che sia salita o sprint non fa differenza, poiché nessuno sa resistergli. Il 13 aprile vince la Freccia del Brabante, il 17 rivince l’Amstel in vetta al Cauberg, precedendo Purito Rodriguez e Gerrans e tre giorni dopo, per la prima volta, riesce a domare anche il micidiale Muro di Huy, aggiudicandosi la Freccia Vallone: Rodriguez deve inchinarsi ancora una volta mentre terzo è Samuel Sanchez.
Resta soltanto la Liegi per completare una tripletta memorabile che in anni recenti è riuscita al solo Davide Rebellin nel 2004. A cercare di opporglisi all’impresa sono i fratelli Schleck, che sulla Roche aux Faucons e sul Saint-Nicholas tentano di stringerlo nella loro morsa. Questo Gilbert però è troppo superiore per tutti, gioca letteralmente al gatto col topo con la coppia lussemburghese e ad Ans s’impone con autorevolezza allo sprint. La pagina di leggenda è stata scritta: Gilbert vince la classica monumento che da sempre sogna nell’anno in cui s’impone anche all’Amstel e alla Freccia Vallone.
Basterebbe già questo per considerare strepitosa la sua stagione ma Philippe continua a vele spiegate anche nei mesi successivi: rompe finalmente il digiuno nel campionato nazionale belga, riuscendo poi ad aggiudicarsi anche il titolo nazionale a cronometro; vince il Giro del Belgio e l’Eneco Tour; in luglio torna al Tour de France e veste la prima maglia gialla, imponendosi a Monts des Alouettes davanti a Evans e Hushovd mentre il 30 luglio, battendo Carlos Barredo in una volata a due, mette in cassaforte anche la Clasica di San Sebastian. Chiude la stagione vincendo anche il GP de Quebec e il GP de Wallonie, chiudendo il 2011 con lo strepitoso score di 18 vittorie, nonostante non riesca a ripetersi al Lombardia. Cosa chiedere di più a questo punto della carriera, se non il mondiale?
L’apoteosi di Valkenburg: Gilbert è campione del mondo!
Il binomio con la Lotto si chiude così al termine della sua annata più prolifica, cosicché Gilbert si lega alla BMC, in cui sta emergendo il connazionale Greg Van Avermaet. Philippe sta giungendo ai 30 anni ed è ormai nel pieno della maturità agonistica. Naturale attendersi delle conferme dopo la strepitosa primavera precedente. Il 2012 però per Philippe è davvero avaro di soddisfazioni: lontanissimo dai primi a Sanremo e Fiandre, “solo” sesto all’Amstel (in cui per la prima volta vince Gasparotto) mentre il terzo posto della Freccia Vallone rappresenta il miglior momento della sua primavera, dato che alla Liegi-Bastogne-Liegi non va oltre il 16esimo posto.
Il suo digiuno di successi prosegue anche al Tour de France, dove è per due volte quarto di tappa e anche alle Olimpiadi di Londra i suoi piazzamenti non sono memorabili. Ci si domanda quindi come possa arrivare al mondiale di Valkenburg, che sembra disegnato appositamente per lui, un Gilbert che sembra aver smarrito lo smalto di appena 12 mesi prima? Niente di più sbagliato, da questo momento in poi la carriera di Philippe sarà una continua smentita per chi lo vuole sul viale del tramonto. Le prime autorevoli risposte arrivano alla Vuelta: Philippe risorge e prima fa sua la nona tappa, precedendo Joquim Rodriguez a Barcellona dopo l’attacco in cima al Montjuich, quindi s’impone sullo strappo di La Lastrilla (alla 19esima frazione) dove lascia dietro Valverde, Moreno e di nuovo Purito.
Philippe appare in netto crescendo di condizione e agli avversari torna a fare decisamente paura. Si arriva così al giorno campale di Valkenburg: è il favorito numero 1, tutti sanno che sul Cauberg attaccherà, cercando di andarsene tutto solo o di portar via un gruppetto. Tutti sanno ma…se parte il Gilbert dei giorni migliori, nessuno può farci nulla e così avviene: a meno di 4 chilometri dall’arrivo Philippe attacca, provano a rispondergli Kolobnev, Boasson Hagen e Valverde. Niente da fare, poiché riesce a tenere tutti a bada in discesa e sull’ultimo rettilineo e a coronare così l’ennesimo sogno della carriera: diventare campione del mondo. Sul podio l’accompagnano il norvegese e quel Valverde costretto per l’ennesima volta a rinviare il sogno iridato. Con il mondiale di Valkenburg la carriera di Gilbert sembra aver raggiunto il punto più elevato, cosicché appare difficile aspettarsi imprese memorabili da parte di chi è ormai diventato il numero uno tra il Belgio Vallone e l’Olanda. Eppure, lo spazio per i colpi di scena è ancora garantito.
La terza Amstel tra gli ultimi fuochi in maglia BMC
La stagione in maglia iridata è fatta indubbiamente di attenzioni particolari, cosicché è difficile immaginare un inverno affrontato al 100% della concentrazione con tutto il clamore che porta la conquista della maglia iridata. Gilbert è sempre protagonista nelle gare ma non riesce a lasciare segni tangibili del suo talento, dovendo accontentarsi, per lo più, di piazzamenti per tutto il 2013, in cui riesce a vincere solamente a Tarragona, nella 12esima tappa della Vuelta, nel mese di settembre. Anche a Firenze centra la top ten iridata ma non va oltre il nono posto.
Il 2014 fornisce finalmente segnali di risveglio: è di nuovo autore di una buona primavera e arriva alle Ardenne con una buona condizione, ritrovando l’ “amico” Cauberg a frapporsi tra lui e l’Amstel: per la terza volta in carriera Gilbert riesce a domarlo, staccando tutti nel finale e andando ad imporsi davanti a Vanendert e Gerrans e pochi giorni dopo aver rivinto anche la Freccia del Brabante. Non riesce invece il bis né alla Freccia Vallone né alla Liegi, chiudendo la stagione con sette successi e il settimo posto nel mondiale di Ponferrada.
Ormai la sua esperienza in BMC vive la sua fase terminale, tuttavia c’è ancora il tempo per assistere ad alcuni saggi di classe cristallina: al Giro d’Italia del 2015 è grande protagonista con due splendide vittorie al Monte Berico (sopra Vicenza) e soprattutto a Verbania, dove al termine di una giornata in fuga, attacca sul monte Ologno e dà spettacolo anche in discesa, giungendo tutto solo al traguardo. Vince anche il GP Cerami mentre nel 2016, oltre alla Vuelta a Murcia e a due successi in Lussemburgo, si toglie di nuovo la soddisfazione di vestire il tricolore belga, battendo nello sprint a due Tim Wellens. Nelle classiche invece non giungono ulteriori podi o vittorie, cosicché quelli di Gilbert sembrano gli sprazzi momentanei da parte di chi, comunque, conserva intatto il proprio grande talento.
Il passaggio in Quick Step: il capolavoro al Fiandre precede la quarta Amstel
Diciamoci la verità: per molti Philippe sembra aver superato i giorni migliori nelle classiche e il peso degli anni comincia ad essere importante. Tuttavia, a 34 anni, una nuova chance per lui viene offerta dal passaggio in Quick Step, formazione da sempre vedetta nelle grandi classiche del Nord. Gilbert può essere l’uomo ideale per far crescere i giovani talenti del team e, al tempo stesso, costituire un pericoloso spauracchio per tutti se in giornata.
Così, in primavera, ritrova dopo alcune stagioni, in cui si era comprensibilmente aveva cercato il top della condizione sulle Ardenne, il mai disprezzato pavé. Le risultanze sono subito ottime: è secondo sia a Waregem che ad Harelbeke e nella Tre Giorni di La Panne conquista con una splendida azione solitaria la prima tappa, aggiudicandosi poi la classifica generale. Vuoi vedere che questo Gilbert sarà da tenere d’occhio anche al Fiandre?
Tutti attendono Van Avermaet, Sagan e Boonen ma sul Muur de Grammont, posto a oltre 90 chilometri dalla conclusione, Philippe è lì, pronto a fungere da ideale testa di ponte per un Boonen voglioso di tornare a primeggiare nella classica più amata. L’azione dei primi prosegue con buon ritmo e dopo aver approcciato per la seconda volta l’Oude Kwaremont, Gilbert parte tutto solo. Sembra un’azione temeraria, quando all’arrivo mancano oltre 50 chilometri, eppure da dietro non c’è adeguata reazione. I chilometri passano e il vantaggio si stabilizza. Sull’ultimo passaggio sul Kwaremont Sagan finisce a terra con altri corridori, mentre Gilbert davanti continua imperterrito nel suo passo. Può gestire circa un minuto di vantaggio e nessuno riuscirà più a riprenderlo, neppure dopo l’ultimo terribile passaggio sul Paterberg. Può amministrare al meglio il vantaggio e godersi un finale memorabile: a quasi 35 anni Gilbert compie l’impresa che sembra più incredibile, ovvero conquistare il Giro delle Fiandre con una fuga tanto pazza quanto temeraria. Sono ora ben 3 su 5 le classiche monumento finite nel suo palmarés e pochi avrebbero scommesso su una simile affermazione, che è ulteriore dimostrazione della sua maturità e di un talento che ha pochi eguali nel ciclismo moderno. Uno come lui non può precludersi veramente nulla.
Galvanizzato da una simile prestazione, una decina di giorni più tardi attacca nel nuovo finale dell’Amstel Gold Race e riesce a precedere nella volata finale un autentico spauracchio come Michal Kwiatkowski, al quale impartisce una lezione memorabile per il futuro. Gilbert conquista così per la quarta volta l’Amstel Gold Race e impreziosisce ulteriormente un 2017 già marchiato a fuoco nelle Fiandre.
L’apoteosi definitiva: il trionfo alla Parigi-Roubaix
Il 2018 vede Gilbert trionfare solamente al GP d’Isbergues ma in primavera è ancora una volta ottimo protagonista sul pavé: quinto all’Het Nieuwsblad, 2° a Le Samyn, 2° ad Harelbeke prima di tornare al Fiandre, inebriato dall’impresa di 12 mesi prima. Philippe è autore di un’altra valida prestazione e completa al meglio il trionfo di squadra della Quick Step, prendendosi il terzo posto alle spalle di Terpstra e Mads Pedersen. Una settimana dopo prende parte alla Parigi-Roubaix per la seconda volta in carriera (l’unica, nel 2007, l’aveva conclusa al 52esimo posto). Mentre Sagan, davanti, fa il diavolo a quattro, Gilbert comunque disputa una prova onorevole, provando ad allungare e chiudendo in 15esima posizione. Prova poi a lasciare il segno al Tour de France ma deve accontentarsi dei piazzamenti e fa tenere tutti col fiato sospeso per alcuni minuti nella tappa che si conclude a Luchon, dove vola giù dal tristemente noto Portet d’Aspet, risalendo fortunatamente in bicicletta ma dovendo ritirarsi il giorno successivo.
Il suo 2019 è partito subito col piede giusto con una bella vittoria al Tour de Provence ma, nonostante un inizio di stagione sfavillante, il “Wolfpack” guidato da Lefevre sembra accusare i colpi avversari proprio nella campagna del Nord, in cui i Deceuninck-Quick Step non riescono a lasciare il segno. Troppo strana una primavera senza acuti belgi, tanto più che atleti come Stybar sembrano aver smarrito la verve d’inizio anno. Resta solo la Roubaix per raddrizzare il tiro ma per Gilbert la sfida sembrava alquanto temeraria. Vuoi vedere però che in caso di necessità la fantasia può rimettersi in moto di nuovo?
Detto fatto: a 66 chilometri dal traguardo, nel quindicesimo settore di Tilloy-Sars et Rosiere, è il più lesto a seguire Nils Politt e a capire che sarà proprio il tedesco il cavallo buono per la giornata. OItre a far capire agli avversari, con l’esperienza, che quest’oggi c’è da fare i conti con lui. Il resto non può che essere una splendida sinfonia per gli appassionati: il Mons en Pevele lo vede tenere a bada Sagan, il Carrefour de l’Arbre il momento giusto per far sfogare lo slovacco dopo le tirate di Lampaert (non irreprensibile tatticamente quest’oggi), il tratto immediatamente successivo l’occasione propizia per seguire Politt e approfittare della mancanza di energia degli avversari (Sagan su tutti). Infine, la gestione oculata del finale, in cui restare agganciati con tutte le energie al tedesco e lanciare poi la volata al momento giusto. Così è nato e si è materializzato l’ennesimo capolavoro di Philippe Gilbert, assurto ormai al rango di fuoriclasse assoluto di questo sport e capace di trionfare sulle pietre con la stessa naturalezza con cui ha spianato i muri delle Ardenne per varie stagioni.
A quasi 37 anni potrebbe essere stata questa l’ultima grande vittoria di una carriera strepitosa ma per noi e per tutti gli appassionati sarà meglio non pronunciare a voce troppo alta una simile affermazione. Il talento, si sa, è l’arma più fulgida ed efficace per respingere chi ti da per finito già da un pezzo. Pertanto, al termine di questa giornata, le uniche parole che possiamo pronunciare, sono semplicemente queste: grazie Philippe, cento di questi giorni !