Bardet: "Ci stiamo dirigendo verso un ciclismo in cui l'interesse competitivo è ridotto". Su Pogačar: "Si ha la sensazione di non essere davvero un suo rivale"
In una lunga intervista per Eurosport France, l'esperto corridore transalpino ha riflettuto sulla sua carriera e su temi attuali come il dominio di Pogacar e delle grandi squadre
Come aveva annunciato alla vigilia del Tour de France 2024, Romain Bardet appenderà la bici al chiodo al termine del Critérium du Dauphiné 2025. Prima di iniziare a preparare quelli che saranno gli ultimi mesi di una carriera durata la bellezza di 14 stagioni (passato professionista nel 2012), il nativo di Brioude ha concesso una lunga intervista a Christophe Gaudot per Eurosport France, un'occasione per riflettere su quella che è stata la sua carriera ma anche per toccare alcune tematiche calde del ciclismo contemporaneo.
Di seguito ne riportiamo alcuni dei passaggi più significativi.
Il Tour 2024 e la sua carriera
Sulla scelta di ritirarsi al Dauphiné 2025. "Avevo bisogno di portare alla luce del sole una situazione e una sensazione che mi accompagnava da molti mesi, anzi da quasi diversi anni. Volevo rilanciare la mia carriera dopo aver lasciato la AG2R, ma ero partito con un contratto di due anni. Appena compiuti i 30 anni, tendevo a concentrarmi sul breve termine. È stato importante. Ho potuto proiettarmi senza doverlo nascondere. Ho sempre avuto l'idea di dirmi: “Non fare un anno di troppo”. Si possono cambiare molti ingredienti ogni giorno, ma dopo 13 anni di World Tour ci si ritrova in una certa routine. Ho l'impressione di aver chiuso il cerchio e, soprattutto, di aver esplorato tutte le mie capacità".
Sulla vittoria di Rimini nella prima tappa del Tour che lo ha portare a vestire la Maglia Gialla: "È un po' uno scenario da sogno, ma non è una vera sorpresa. Il risultato in sé è eccezionale, ma in termini di approccio, del piano che avevo per quel primo weekend... Con le armi a mia disposizione, avevo enormi ambizioni per il fine settimana di apertura perché sapevo che era forse la tappa ideale per me in questo Tour de France. Il fatto di poterla mettere in pratica e di avere le condizioni giuste il giorno stesso per realizzarla sono stati elementi che non erano sotto il mio controllo. È una felice coincidenza".
Se sulla scelta del ritiro a 34 anni centri il fatto che adesso i sacrifici sono maggiori rispetto alle ricompense: “Non sono i sacrifici, o forse sì, questa vita di spostamenti da un albergo all'altro, da un aeroporto all'altro...Sono soprattutto i miei limiti fisici che credo siano stati raggiunti. Posso ancora ottenere risultati, ma non vincerò più molte gare all'anno. C'era la volontà di anticipare un declino che è inevitabile e anche di essere in linea con i miei valori, la mia etica, la mia igiene personale e la mia concezione della professione, che non è più totalmente in fase con quella del mio ambiente. Prima che questa dissonanza diventi troppo grande, credo che si debba sapere quando dire basta”.
Se, in caso avesse ancora avuto la possibilità di lottare del Tour de France, avrebbe preso la stessa decisione: “È una bella domanda, ma credo di sì perché ciò mi richiederebbe ancora di più adesso. Una Top 5 è una cosa enorme da raggiungere, ma non saprei dire chi è arrivato 4° e 5° al Tour quest'anno. Sono arrivato due volte sesto (nel 2014 e nel 2018) e questo è passato completamente inosservato. Forse c'era meno densità di adesso, lo ammetto, ma ho finito i grandi giri completamente esausto. Ho lottato per la classifica generale per circa dieci anni e questo è stato probabilmente il limite di ciò che era mentalmente e fisicamente sopportabile”.
Sull'aver affermato di essersi sentito ‘sè stesso’ durante l'ultimo Tour de France: “Nella mia carriera, ho lottato per quello che era certamente la cosa più nobile, cioè la classifica generale nelle gare più importanti del mondo. Ma per arrivarci, ho dovuto mettere a tacere il lato un po' più primordiale della corsa d'istinto. Ho rinnegato la mia natura. Non me ne pento, mi ha permesso di conquistare due podi al Tour, ma avevo un livello fisico che mi avrebbe permesso di vincere più tappe e più corse seguendo il mio istinto”.
Pogacar, le grandi squadre e il monossido di carbonio
Sulla stagione 2024 di Tadej Pogačar: “Non so cosa dire. Lo ignoro e basta. Onestamente, non è la stessa categoria di peso. Sono sorpreso ma, allo stesso tempo, ha messo insieme l'immenso potenziale che abbiamo visto in lui. A quanto pare, prima non sapeva allenarsi. Ora lo sa. Ha messo insieme il potenziale che abbiamo visto negli ultimi anni nei suoi primi due Tour de France, che ha vinto con classe. È talmente superiore...È difficile da spiegare. Non passo molto tempo a cercare spiegazioni. Anche se si è contemporanei e si è parte dell'ambiente, si ha la sensazione di non essere davvero un suo rivale”.
Se ci sono state alcune gare a cui ha partecipato in cui prima della partenza era certo che avrebbe vinto Pogačar: “Sì, ce ne sono diverse, tanto per dire: le Strade Bianche, il Gran Premio di Montreal e i campionati del mondo. Ero fermamente convinto che, senza incidenti meccanici o altro per lui, fosse tutto deciso”.
Se aveva mai provato questa sensazione precedentemente: “Mai, no. C'era una certa vulnerabilità che abbiamo riscontrato altrove, ad esempio nella squadra. In quei casi sapevamo, anche al Tour de France, che se avessimo visto l'UAE agitarsi in testa al gruppo fin dai primi chilometri per controllare la formazione in fuga, lui avrebbe vinto la tappa. Al Giro è stato lo stesso. È successo almeno dieci volte in questa stagione”.
Se in gruppo si percepisca una certa stanchezza in merito al dominio di squadre come la Visma nel 2023 o la UAE nel 2024: “Sì, e lo capisco perfettamente. A maggior ragione, quando sei il leader di una squadra e hai sei ragazzi che lavorano per te e li ripaghi alla fine con un 6° o 7° posto, ti fai delle domande. Sei all'altezza? Anche il ciclismo sta andando in questa direzione, con tutti i talenti e gli stipendi più alti concentrati in poche entità. Ci stiamo dirigendo verso una forma di ciclismo in cui l'interesse competitivo è notevolmente ridotto”.
Quale è la sua posizione sul possibile uso del monossido di carbonio in gruppo: “Sta a ciascuno stabilire la soglia di ciò che sembra etico e giusto nella ricerca assoluta e disperata del risultato finale in relazione ai propri valori. Come per i chetoni, come per tante altre cose, è aperto all'interpretazione. E purtroppo, poiché le regole non sono stabilite chiaramente, poiché l'interpretazione è lasciata alla discrezione di ciascun individuo e poiché si tratta di uno sport ultra-competitivo in cui conta solo la vittoria, non dobbiamo stupirci di eventuali deviazioni. Il monossido di carbonio può spiegare la traiettoria di alcuni corridori che non conoscevamo un anno o un anno e mezzo fa, ma è anche un'accusa piuttosto facile da fare senza guardare la loro traiettoria. Queste procedure sono state documentate e spetta ora alle autorità decidere se vietarle o meno e fare dei controlli. In un mondo così competitivo, con una posta in gioco così alta dal punto di vista economico, è del tutto inutile credere che siano la buona volontà e l'etica irreprensibile dei piloti e delle squadre a consentire una sana regolamentazione dell'ambiente. È del tutto illusorio”.