Tra Olanda e Gran Bretagna promossa l'Italia di Pontoni
Un bilancio dei Mondiali di ciclocross di Fayetteville: neerlandesi inavvicinabili a livello femminile, non solo Pidcock per l'UK. Gli azzurri tornano a casa con l'oro della staffetta e l'enorme bronzo di Silvia Persico, per il nuovo ct l'avvio è sprint
Dopo le emozioni a caldo vissute venerdì, sabato e domenica, con gioie, tante per l'Italia, e dolori, ben distribuiti tra le varie nazionali, è giunto il momento di un bilancio conclusivo del Mondiale americano appena trascorso. Non si può non partire, ovviamente, da Fayetteville; la località, situata in Arkansas, è un'assoluta novità nel panorama internazionale ciclistico e crossistico e non vuole limitarsi ad una toccata e fuga ospitando questa rassegna, ma punta a divenire il centro statunitense per ciò che concerne mountain bike e ciclocross, grazie al forte sostegno della catena Walmart, una delle società più facoltose al mondo. L'obiettivo esposto dagli organizzatori è quello di far crescere l'interesse dei cittadini americani verso il fuoristrada e il centro ciclistico situato nel Centennial Park di Fayetteville rientra in questo piano d'azione. La risposta del pubblico, accorso numeroso nel fine settimana per assistere alle prove mondiali, è stata positiva e darà probabilmente un'ulteriore spinta per concretizzare il progetto messo in atto.
Tornando a ciò che concerne strettamente l'ambito agonistico, è obbligatorio far notare la singolarità del tracciato, velocissimo e scorrevolissimo in assenza di piogge, le quali lo avevano reso ben più arduo in ottobre. Il disegno nel suo complesso non merita un voto negativo, le aggiunte rispetto alla CDM sono state un buon miglioramento e la scalinata rimane una chicca assoluta e iconica di questo Mondiale; tuttavia, il materiale per creare qualcosa di davvero interessante e stimolante tecnicamente per gli atleti mancava e il risultato finale non ha rispettato le aspettative degli stessi tracciatori. L'impronta della MTB nella prima parte del circuito, con discesa a tornantoni e salita interminabile, è evidente, mentre la seconda metà si mostra senza un'anima vera e propria e non si capisce bene quale fosse l'obiettivo che si erano posti coloro che hanno organizzato il tutto. Agli occhi esterni, nel complesso, è apparso un percorso atipico e particolarmente favorevole agli stradisti: non è un caso che quattro titoli su sei siano stati preda di chi fa della strada il proprio obiettivo principale. Insomma, se in futuro si vorrà tornare a Fayetteville, anche solo per una tappa di Coppa, sarà necessaria qualche miglioria.
E le varie nazionali, invece, come tornano a casa dopo questa pesantissima trasferta? Il contingente faro della rassegna, come spesso accade ultimamente, era quello dei Paesi Bassi. I neerlandesi non hanno certo deluso, vincendo due ori (Pieterse e Vos), quattro argenti (Bentveld, Van Anrooij, Brand e Van der Haar) e due bronzi (Molengraaf e Van Empel) e piazzandosi al primo posto nel medagliere. Come si nota facilmente, il settore femminile è sempre il traino del movimento orange e garantisce medaglie a palate. Hanno deluso, invece, i giovani virgulti U19 e U23. Haverdings, dal quale ci si aspettava l'oro tra gli juniores (è proprio questa la mancanza più grave nel bottino neerlandese) è giustificato dalla caduta, mentre la débâcle degli under non può essere motivata esclusivamente dall'ottima giornata di Wyseure e dalla tattica belga, la causa va cercata principalmente nella disorganizzazione interna emersa sia durante la corsa sia nelle interviste post-gara per voce di Kamp, il quale si è principalmente lamentato della condotta poco altruista del campione in carica Ronhaar. Quel che è sicuro è che i Paesi Bassi hanno un avvenire sicuro: se Vos e Brand dovessero mai calare di giri nelle prossime stagioni, anche se attualmente sembra impossibile, è pronto il ricambio generazionale guidato innanzitutto dalle deluse Alvarado, Betsema e Worst e in secondo luogo dalle giovanissime e fenomenali under 23 Pieterse, Van Anrooij e Van Empel, con le juniores Bentveld e Molengraaf a garantire risultati di spicco nelle categorie giovanili; al maschile, dimenticandoci solo per un attimo di un certo Van der Poel, dopo Van der Haar e Van Kessel sono pronti in rampa di lancio Hendrikx, Kamp e Ronhaar (quest'ultimo travolgente in determinati contesti, ma apparentemente più limitato degli altri due). Haverdings avrà tempo di crescere e poi…
Dietro ai Paesi Bassi nel medagliere, non c'è, come qualcuno potrebbe aspettarsi, il Belgio, ma la Gran Bretagna. I britannici, forti degli ori conquistati da Backstedt e Pidcock, si possono fregiare anche del bronzo di Smith fra gli juniores, testimonianza ulteriore dell'ottima salute di cui gode il movimento crossistico d'oltremanica, in netta ascesa nelle ultime annate. Oltre ai medagliati infatti, ci sono stati anche altri protagonisti che hanno ben figurato pur non vincendo nessun metallo, su tutti la junior Ella Maclean-Howell (quarta) e Cameron Mason (quinto), under molto più a proprio agio sui percorsi lenti e, se possibile, tecnici. Harriet Harnden, Thomas Mein e Ben Turner confermano quanto già affermato in precedenza: la squadra britannica non si fonda solo su fenomeni come Pidcock e Backstedt, ma ha una profondità che fa invidia a quasi chiunque.
Solo terzi nel medagliere i belgi, ma era oggettivamente molto difficile aspettarsi di più. Il bilancio complessivo per loro è buono, hanno rispettato in pieno i pronostici, con l'eccezione della memorabile prova U23 maschile. Un oro (Wyseure), due argenti (Dockx e Verstrynge) e due bronzi (Nys e Iserbyt) il bottino finale. Se al maschile, pur considerato il notevole passo falso della squadra élite a livello tattico e fisico, le risorse non mancano mai (tra gli juniores infatti oltre al campione europeo ci sono validissimi atleti come Kenay De Moyer, Yordi Corsus e Victor Vandenberghe - entrambi primo anno - pronti a esplodere), al femminile la situazione si fa sempre più grave. Spenta la stella di Cant, non più in grado di rivaleggiare con le avversarie neerlandesi, non c'è nessun'altra che sembri in grado di sostituirla. Desolanti le prove juniores e under, in cui le belghe occupano un ruolo assolutamente marginale e si fanno mangiare i risi in testa da nazionali con molta meno tradizione. L'unica speranza risiede in Xaydee Van Sinaey, portacolori Pauwels del 2005 costretta a saltare il Mondiale per Covid. Lei sembra la sola a poter risollevare nel medio periodo le sorti belghe tra le donne.
In quarta piazza troviamo la Svizzera, un po' (molto) a sorpresa. Della nazione che un tempo era la patria della disciplina è rimasto ben poco e l'assenza totale di un contingente femminile (che a dir la verità avrebbe avuto una carta pesante come Monique Halter da giocarsi tra le juniores) lo dimostra. Ci rimane quindi da parlare degli uomini. Dario Lillo e Loris Rouiller non hanno entusiasmato tra gli U23, tutt'altro, mentre Kevin Kuhn ha svolto con la solita efficacia il proprio lavoro: top ten centrata e stagione sempre più solida. E poi la grande sorpresa del Mondiale, Jan Christen, campione del mondo juniores (primo svizzero dal 1998 a vincere la maglia iridata). Che fosse un fenomeno, e pure multidisciplinare, lo si sapeva da tempo, ma visti i risultati ottenuti nelle gare precedenti non era annoverato tra i primi favoriti, ma solamente tra gli outsider. Ha sfruttato il tracciato da stradista per far valere le proprie doti, dando spettacolo per quaranta minuti filati e battendo chi, come Dockx, è crossista più puro e tecnicamente gli è un passo avanti. In futuro sarà molto difficile per lui emergere tra i grandi nel ciclocross, mentre su strada ha la via spianata verso una crescita completa e soddisfacente.
Last but not least, direbbe Pidcock, l'Italia. Una medaglia non era certo qualcosa di inimmaginabile a una settimana dai Mondiali, ma dopo le disavventure occorse a Paletti e Corvi (forse la principale speranza nostrana) le chance di tornare a casa con un metallo erano scemate; tutto era nelle mani di Venturelli e, in misura minore di Persico. Federica ha poi chiuso quinta tra le juniores, comunque una prestazione più che soddisfacente. Sia lei che Valentina avranno nel 2023 un'altra grossa possibilità. Silvia, invece, in piena coerenza con il resto della stagione, in cui è sempre andata migliorando mano a mano che l'annata entrava nel vivo, ha incantato il pubblico con una prova di forza disarmante tra le élite, staccando tutte le neerlandesi dietro Vos e Brand e conquistando una storica e clamorosa medaglia di bronzo, dall'altissimo valore specifico. Ad aggiungersi, poi, l'oro nella staffetta mista, una prova completamente nuova per il cross, che ha permesso agli azzurri di iniziare con il piede giusto il weekend. In generale, comunque, la prima rassegna iridata sotto la guida di Pontoni, uno che di Mondiali qualcosina ne sa, è ampiamente promossa e il movimento sta gettando delle basi da cui partire per costruire un futuro prospero. Non va dimenticato, inoltre, che a Fayetteville mancavano il campione italiano juniores Scappini, Gaia Realini, il più forte under 23 italiano Filippo Fontana e i due capitani Gioele Bertolini e Jakob Dorigoni, perciò in futuro si potrà fare anche meglio.
Infine, due rapide considerazioni su Stati Uniti e Francia: i padroni di casa, argento nel team relay, puntavano forte su Spranger e Honsinger. Clara ha fatto ciò che poteva su un tracciato troppo scorrevole per le sue caratteristiche, mentre il giovane diciottenne è rimasto sotto le aspettative, venendo degnamente sostituito dal 2005 Andrew August. Tra gli élite si segnala l'ottima prova di Curtis White, dodicesimo. Francia rimasta a bocca asciutta per il discorso medaglie, ma ottima nei piazzamenti, sia tra gli juniores, con Fabregue al femminile e Lequet al maschile (Lesueur deludente), che tra le under (Burquier si conferma un talento immenso, quarta a pochissima distanza dal trio orange, e Fouquenet quinta). Venturini il jolly su un tracciato da veri stradisti. Anche per loro l'avvenire è roseo.