Il grande spartiacque tra i "vorrei" e i "ma non posso"
Per la rubrica dedicata alle grandi salite d'Europa facciamo un giro dalle parti della Grosse Scheidegg, scenario della sfida Cunego-Soler-Sagan al Giro di Svizzera del 2011
La Svizzera è uno stato quasi interamente poggiato sulle Alpi ("con il culo sui colli" direbbe il poeta), che, soprattutto al confine con l'Italia, è percorso da un'impressionante quantità di strade sopra i 2000 metri: Gran San Bernardo, Sempione, Novena, San Gottardo, Grimsel, Furka, Oberalp, Susten, San Bernardino, Spluga, Julier, Albula, Fluela, Bernina. Questi sono solo i valichi più celebri, a cui se ne affiancano altri meno noti ed un'infinità di strade senza sfondo. Ci dimostrano che la Svizzera batte ogni record sotto questo punto di vista, avendo più colli sopra i 2000 di quanti ne abbia la Francia intera (ancor più imbattibile soltanto l'Italia che copre l'intero arco alpino).
A fianco di questi, ci stanno una manciata di "vorrei ma non posso", che hanno avuto la sfortuna di essere stati erosi qualche metro di troppo nel corso dei millenni: il Lucomagno (1915 mt, con la strada che valica più in alto, intorno a 1965 mt), il Klausen (1948 mt) e il più sfigato di tutti, la Grosse Scheidegg, ferma a 1962 mt, a un passo da quella linea immaginaria che la consacrerebbe nell'Olimpo. Sarà forse per questo che ha dovuto nobilitarsi in altro modo, facendosi riconoscere per il nome insolito e tonante: probabilmente è l'unico valico al mondo ad aver assunto la denominazione di Scheidegg, ovvero "spartiacque". E l'attributo "grosse" (grande) è senza dubbio il premio di consolazione per quella defezione di 38 mt; d'altronde essendo l'unico valico a chiamarsi Scheidegg, può anche dichiararsi come il più grande.
Per distinguersi ha approfittato senza dubbio anche del Tour de Suisse, tradizionalmente riconosciuto come la quarta corsa a tappe per importanza, anche se negli ultimi anni ha un po' perso questa nobiltà. E proprio in un Tour de Suisse, quello del 2011, ha deciso di imprimere il proprio nome nella mente degli appassionati, all'interno di una tappa che, nel suo piccolo, ha senza dubbio segnato la storia recente di questo sport.
Siamo al terzo giorno di gara; la corsa aveva preso il via con un prologo in cui, come da tradizione, Cancellara aveva messo il sigillo nella corsa di casa. Il giorno dopo a Crans Montana è toccato a Juan Mauricio Soler, grande promessa colombiana che dopo uno splendido Tour de France nel 2007 aveva costellato la sua carriera di mille infortuni, uno più grave dell'altro. Dopo un 2010 da dimenticare e con già 28 anni (pochi ma non pochissimi) dietro le spalle aveva ritrovato il piglio giusto e si preparava a tornare al Tour con le migliori intenzioni. Dietro di lui Damiano Cunego, corridore sicuramente più realizzato, ma attanagliato dall'incapacità di fare il definitivo salto di qualità, soprattutto agli occhi degli appassionati che l'hanno sempre visto come una promessa mancata; eppure aveva già 3 Giri di Lombardia e un Giro d'Italia in saccoccia. Gli mancava un piazzamento al Tour, sfiorato nel 2006, quando arrivò secondo dietro a Frank Schleck sull'Alpe d'Huez e 11° in classifica.
Insomma, un "vorrei ma non posso", proprio come la Grosse Scheidegg, che attendeva il gruppo nella tappa più impegnativa di quel Tour de Suisse, una tappa breve ed intensa, secondo un concept che nel 2011 sicuramente anticipava i tempi. Dopo un lungo fondovalle il gruppo superava il Grimselpass, uno dei giganti svizzeri, per poi imboccare la salita finale senza soluzione di continuità. L'arrivo stava in fondo alla discesa, a Grindelwald, altro nome tonante che sta bene in coppia con quello del colle che la sovrasta. La partenza praticamente in salita dà il la ad una fuga di qualità, ricca di uomini poco lontani dalle prime posizioni in classifica che cercavano di mettere in scacco la Movistar di Soler; esatto, la Movistar, che aveva appena assunto la nuova denominazione (fino al 2010 si chiamava ancora Caisse d'Epargne). Manco a dirlo, già nel 2011 aveva preso l'andazzo delle tattiche scellerate e piazzò due uomini in fuga riducendo la capacità di inseguimento a favore del leader colombiano.
Davanti in mezzo a nomi noti delle corse a tappe come Andy Schleck (che poche settimane dopo vincerà sul Galibier con un'immensa fuga iniziata sull'Izoard e arriverà secondo per l'ennesima volta in classifica generale), Laurens Ten Dam (a lungo maglia gialla virtuale quel giorno), Christian Vande Velde, un giovane Jakob Fuglsang (11° alla Vuelta pochi mesi dopo), nonché altri corridori di qualità come Giampaolo Caruso e Jens Voigt, ci stava un giovanissimo Peter Sagan, già sulla bocca di tutti. Sicuramente all'epoca non se ne conoscevano i limiti, probabilmente nemmeno lui stesso e mentre la fuga saliva con passo svelto i 18 km al 7.5% (numero che maschera lunghissimi tratti sopra il 10%) vedeva sfilarsi uno per volta tutti i compagni di fuga.
Dietro Cunego mette il turbo e si invola in solitaria senza mai voltarsi indietro, con un attacco degno delle migliori occasioni. Quando il Piccolo Principe raggiunge la testa a poche centinaia di metri dallo scollinamento, trova Sagan ormai in compagnia soltanto di Ten Dam, Fuglsang e Salerno. Cunego li passa in tromba rincorso dal mitico Diablo dotato di forcone a bordo strada (che è sempre nel posto giusto al momento giusto) e si tuffa in discesa, terreno che non ha mai disdegnato. Sembra ormai fatta sotto ogni punto di vista, considerando che Soler è ad oltre 40" con una manciata di metri sul resto degli uomini di classifica. E così il buon Pierantozzi, al commento per SkySport, si sbilancia in un paio di quelle frasi che vengono smentite solo una volta su mille: "Se ne va tutto solo sulla Grosse Scheidegg e chi passa qui, lo abbiamo detto ('96 Luttenberger, '99 Casagrande) di solito è destinato a vincere il Tour de Suisse" e poco dopo "È tappa e maglia!".
Quello che non era stato calcolato era Sagan che, non solo non era mai andato così forte in salita, ma non era ancora stato visto alle prese con una delle discese più tecniche di tutto l'arco alpino. In men che non si dica piomba su Cunego che a quel punto è costretto a tirare dritto e lasciare la tappa allo slovacco. Tutti per un giorno hanno pensato che Sagan potesse vincere anche i Grandi Giri, ma purtroppo (o per fortuna) non ci ha mai provato. Chi invece sembrava veramente destinato a vincere un Tour prima o poi era Soler, che in discesa era decisamente meno spigliato, giunto al traguardo con un minuto di ritardo, dopo essere stato ripreso dagli altri pretendenti alla vittoria finale.
Le sentenze però non erano finite. Tre giorni dopo Juan Mauricio Soler assapora di nuovo l'asfalto e mette fine una volta per tutte alla sua carriera ancora prima di sbocciare. Cunego invece viene abbandonato dalla buona sorte durante la cronometro finale di 32 km: perde 4 secondi al km da un Leipheimer in giornata di grazia e per sua sfortuna la cronometro è lunga un km di troppo.
Probabilmente in quell'occasione Cunego, nel suo piccolo, avrà sentito un malessere non troppo diverso da quello di Fignon al Tour del 1989: Pierantozzi aveva beccato l'unica volta su mille in cui quel tipo di frase viene smentita. Se non altro possiamo dire con assoluta sicurezza che Cunego (2004 a parte) non era mai andato così forte e infatti al successivo Tour de France raccolse un ottimo sesto posto, ultimo acuto di una carriera poco decifrabile, ma senza dubbio invidiabile. Insomma, mentre Soler finiva nel dimenticatoio e Sagan veniva consacrato al grande pubblico, Cunego era sempre chiuso nel suo "vorrei ma non posso", esattamente come la Grosse Scheidegg e come i corridori che l'avevano domata in passato (d'altronde cos'altro è Casagrande se non un altro immenso "vorrei ma non posso" della storia recente del ciclismo?).