Se Rugani guadagna quasi il doppio di Roglic, abbiamo un problema
I 2mila euro di indennità proposti dall’UCI ai team che formano un corridore rappresentano una mancetta, ma vanno nella giusta direzione: monetizzarne il cartellino per dare solidità economica alle squadre e più potere contrattuale ai ciclisti
Parliamoci chiaro: dal punto di vista finanziario, ad oggi, quello nel ciclismo è un investimento a perdere, che si ripaga solamente in termini di immagine per gli sponsor, ma lascia le squadre totalmente dipendenti dalle bizze di questi ultimi. Già perché, non disponendo né di diritti tv né di biglietteria, ed essendo il merchandising per lo più appannaggio diretto dei singoli campioni e delle case produttrici di biciclette e accessori, di fatto la sopravvivenza di ogni squadra dipende dal gettito delle aziende che mettono il proprio nome sulla maglia. Con il risultato che, quando uno o più partner chiudono i rubinetti, il rischio di finire gambe all’aria è dietro l’angolo: per informazioni, chiedere a Jérôme Pineau e Gianni Savio, ancora scottati dall’improvvisa chiusura delle rispettive squadre al termine della passata stagione, con il Principe che, se non altro, è riuscito a ripartire dalla Colombia con un nuovo progetto Continental. Ma tra B&B Hotels e Drone Hopper sono comunque rimasti per strada, dalla sera alla mattina, un discreto numero di corridori e addetti ai lavori.
In questo contesto rappresenta senz’altro una novità interessante la norma annunciata nei giorni scorsi dall’UCI e destinata ad entrare in vigore dal prossimo 1° giugno, che prevede l’introduzione di una “indennità di allenamento” di 2mila euro a beneficio di tutti i team che abbiano concorso, fin dalle categorie giovanili, alla formazione di un corridore approdato al World Tour. Il punto è che questa indennità rappresenta poco più che un riconoscimento simbolico, dato l’importo così esiguo: il segnale è giusto, insomma, ma non sufficiente a cambiare le cose. Anche perché quanti corridori riuscirà mai a portare non diciamo al professionismo, ma addirittura al World Tour, una piccola squadra di Allievi o Juniores?
Quanto agli Under 23, ormai la maggior parte dei corridori che approdano al massimo circuito mondiale lo fanno passando proprio per i team Development delle stesse squadre World Tour, per cui si tratterebbe di un gioco a somma zero. E d’altra parte non sarebbero stati certo 2mila euro di risarcimento a convincere la BMC a non chiudere la sua squadra éspoirs quando, a fine 2017, il talentuosissimo Pavel Sivakov venne “scippato” ai rossoneri svizzeri dall’allora Sky. Ma se anche quello fosse stato solo il pretesto per una smobilitazione che al termine della stagione successiva avrebbe toccato anche la squadra maggiore, rimane l’urgenza del problema sollevato in quell’occasione dal team di Jim Ochowitz.
Se vogliamo che le squadre possano acquisire una loro indipendenza economica, tale da non essere più soggette ai ripensamenti degli sponsor o al mancato invito a questa o quell’altra corsa, la strada passa quindi necessariamente per la valorizzazione dell’unico asset di cui dispongono: i corridori, appunto. E dunque bisogna regolamentare una volta per tutte la possibilità che un team ceda ad un’altra squadra il cartellino di un corridore ancora sotto contratto, beneficiando per questo di un compenso commisurato al valore dell’atleta e che, nella stragrande maggioranza dei casi, sarà ben superiore alla mancia di 2mila euro, fissa, stabilita dall’UCI.
Una prassi di cui proprio Gianni Savio è stato precursore accettando le indennità proposte dalla stessa Sky, prima per Egan Bernal e, poi, per Iván Ramiro Sosa. Ma dal momento che queste transazioni sono avvenute in assenza di una norma chiara, il potere contrattuale dell’allora team manager della Androni è stato comunque risicato e la cifra che ha potuto spuntare, relativamente modesta. In un ciclismo in cui la compravendita di corridori diventasse la prassi, invece, molto probabilmente si assisterebbe velocemente ad un lievitare del valore dei cartellini. Il che di per sé potrebbe anche rappresentare un pericolo, se pensiamo alla bolla che ormai da anni ha inquinato il calcio, ma il giro d’affari mosso dal ciclismo è infinitamente più piccolo e, quindi, i benefici dovrebbero superare i rischi. Quanto all’eventualità che un simile sistema possa portare alla concentrazione dei migliori corridori in pochissime squadre di vertice, beh, non è già così adesso, e senza nemmeno che le piccole squadre possano partecipare alla spartizione della torta? E allora proviamo, piuttosto, a focalizzarci sui possibili vantaggi che comporterebbe questa piccola, grande rivoluzione.
Tanto per cominciare, un sistema del genere faciliterebbe l’ingresso di nuove squadre, perché oggi o si trova subito l’appoggio di un grande sponsor disposto a sganciare i milioni necessari a sostenere un World Team, oppure iniziare la scalata a livello Professional, o peggio ancora Continental, espone a troppe incertezze per poter programmare a lungo termine. Sapendo, invece, di poter ricavare una (sana) plusvalenza dalla vendita di un proprio corridore, diventerebbe molto più appetibile iniziare dal basso e con un progetto teso alla valorizzazione dei giovani. Non solo: potendo comunque mettere in mostra i gioielli della casa anche in corse di secondo piano, le piccole squadre Professional sarebbero meno dipendenti dalle famigerate Wild Card e, anche quando invitate alle corse maggiori, potrebbero avere maggior convenienza ad impostare tattiche di gara realmente competitive, insegnando ai propri ragazzi a lanciarsi in una volata o a provare a tenere nelle tappe più dure, anziché chiedere semplicemente loro di andare in fuga al pronti-via per far vedere la maglia.
Per la stessa ragione, un team cercherebbe sempre di portare i suoi corridori a gare tecnicamente valide, anziché schierarli in improbabili giri del Marocco o del Brunei in cui andare a fare incetta di vittorie ad uso sponsor, ma di valore pressoché nullo tra gli addetti ai lavori. Più in generale, esteso questo concetto alle categorie giovanili, dove ancor più deleteria è la ricerca del risultato in sé e per sé, sapere di poter monetizzare la futura cessione di un proprio corridore dovrebbe invogliare le squadre a lavorare sul lungo periodo, e cioè a costruire un corridore capace di primeggiare a 23-24 anni, anziché arrivare già spremuto al professionismo.
E poi, conseguenza indiretta ma non meno importante, aumenterebbe il potere contrattuale del singolo corridore che, se avvicinato da un top team, andrebbe a bussare alla porta della sua attuale squadra per chiedere un ritocco dell’ingaggio. Anche questo a prima vista potrebbe suonare un tantino antipatico, ma pensiamo a quelli che sono oggi gli stipendi, assolutamente risibili, dei ciclisti professionisti, compresi quelli dei corridori più forti, i cui compensi non sono minimamente paragonabili a quelli di calciatori, tennisti e piloti di vertice. Se fosse un calciatore, Tadej Pogačar varrebbe tranquillamente un Messi o un Cristiano Ronaldo, siamo d’accordo? Ed invece i suoi 6 milioni di ingaggio, che rappresentano in effetti una cifra folle per il ciclismo, sono gli stessi che alla Juventus prende, ancora oggi, un giocatore sul bollito andante come Alex Sandro (fonte Calcio e Finanza). E l’altro grande sloveno, Primož Roglič, dal basso dei suoi 2 milioni ancora si sogna addirittura lo stipendio di… Daniele Rugani: 3,5 milioni di euro l’anno pur non essendo esattamente il nuovo Maldini.
Consentire ai corridori di spuntare ingaggi migliori e, più in generale, migliori condizioni contrattuali, sarebbe decisamente auspicabile se servisse, ad esempio, a mettere in soffitta una pratica odiosa come quella di costringere certi ciclisti a pagare per correre – e qui, spiace dirlo, ma lo stesso Gianni Savio preso a modello in precedenza è stato invece coinvolto, al pari di diversi altri team manager, in casi quantomeno discutibili – oppure le clausole vessatorie che figurano nei contratti di qualsiasi professionista, che prevedono l’immediata rescissione ed il risarcimento al team in caso di positività all’antidoping. Prassi deprecabili che trovano giustificazione solo in un contesto in cui le stesse squadre sono totalmente spuntate dal punto di vista finanziario e cercano, dunque, di scaricare il “rischio d’impresa” sull’unico anello della catena ancora più debole. Che è, appunto, il corridore.